Fashion Works: Fashion Editor

Creato il 17 gennaio 2011 da Plusg

In anticipation of new interviews that will start next week, we would like to propose what we believe was the best interview of 2010: the one with the fashion editor of A, Sciascia Gambaccini. This is one of those interviews that you would read a thousand times without ever tiring. Thanks again for your availability to Sciascia, who believed in our blog newborn.

ITA: In attesa delle nuove interviste che partiranno la prossima settimana, vi vogliamo riproporre quella che secondo noi è stata l’intervista più bella del 2010, ovvero quella con la fashion editor di A, Sciascia Gambaccini.  Questa è una di quelle interviste che leggeresti mille volte senza mai stancarti. Grazie ancora per la disponibiltà a Sciascia, che ha creduto nel nostro blog appena nato.

Presentati!
Sciascia Gambaccini, professione stylist, Fashion Director del settimanale “A”, Rizzoli. Residente a New York.

Come sei arrivata a fare questo lavoro e in cosa consiste?
Ho scelto questa professione, perche’ come spesso accade, lei ha scelto me. A 18 anni son partita da Firenze per Milano, per quello che doveva essere un breve intervallo prima di cominciare l’Universita’ di Vienna, dove volevo studiare lingue moderne.
Inutile dire che a Vienna non ci son piu’ arrivata, e che Milano (dove mi sono poi iscritta alla Statale) mi apri’ una porta che non avevo mai contemplato di aprire: la moda.
Erano gli anni 80, Milano era al top della creativita’, l’anti-couture: il lusso moderno ed elettrizzante di Giorgio Armani, Versace, Ferre’.
Fotografia, moda, bellezza erano espressioni affascinanti di un’arte diversa, che si avvaleva di risultati veloci ma spesso spettacolari. Come ci sono arrivata e’ una storia un po’ lunga, ma diciamo che, mentre studiavo e facevo l’aiuto segretaria per un professore (non sapevo neanche scrivere a macchina!) cominciai ad interessarmi di fotografia (una mia amica si era iscritta ad un corso), imparai i nomi dei grandi fotografi del momento (Helmut Newton, Peter Lindbergh, Giampaolo Barbieri, Avedon) e sognavo di far parte di quei set cosi’ glamourous, cosi’ sensuali, cosi’ all’avanguardia. Non sapevo neanche in che veste volevo farne parte, non sapevo cosa fosse una fashion editor. pero’ avevo una passione: il disegno, illustrazioni e cartoons. Ed e cosi’ che andai con il mio porfolio di disegni a conoscere l’allora direttore di Lei e Per Lui (due giornali teen che andavano per la maggiore negli anni 80). Il Direttore era Franca Sozzani, l’attuale direttore di Vogue Italia. Ed e’cosi’ che comincio’ l’avventura di assistente di redazione, da tuttofare a stylist, da totale imbranata che ero, avevo capito pero’ che anche un cappuccino servito alla persona giusta al momento giusto, poteva aprirmi uno spiraglio. Mi veniva chiesto di cercare accessori, vestiti, ed io con le altre assistenti correvamo in ordine sparso cercando di tutto, senza capire come e dove, ma con l’ansia e l’ambizione di “far colpo”. Questo mestiere ha cambiato molti volti negli ultimi decenni, e lo stato quasi divino che si da oggi alle stylist mondiali, non era assolutamente tale trent’anni fa. La stylist cercava i vestiti, faceva le valigie, organizzava il set per i fotografi, risolveva tutti i problemi logistici, come  una guida turistica con a seguito un gruppo di adolescenti in vacanza. Quando otto anni dopo seguii Franca Sozzani a Vogue, ero la stessa tuttofare, ma presuntuosamente sicura di esser pronta al grande passo. La realta’ fu ben diversa. Avevo quasi 25 anni, e non avevo mai lavorato con un grande fotografo. Il mio primo servizio per Vogue fu a New York col grande Steven Meisel ed un allora giovanissima Linda Evangelista. Alla fine dei tre giorni di lavoro Meisel mi disse “la prossima volta, portati un’assistente”. Non mi era neanche passato perl’anticamera del cervello che una stylist potesse avere l’assistente! In quegli anni ho capito che le opportunita’ arrivano e vanno prese al volo, e dopo qualche anno a Vogue, partii finalmente per New York. Non smettero’ mai di ripetere a tutti quelli che vogliono intraprendere questa carriera, di muoversi sempre, scoprire e viaggiare.  A New York ho avuto la fortuna ed il privilegio di lavorare con grandi maestri ma anche far parte di riviste leggendarie, da Interview a Harper’s Bazaar, da Marie Claire a Glamour e Jane. Non ho mai cercato il lato sicuro della professione (un posto fisso, una scrivania) ma bensi’ la liberta’ di espressione ed il “challenge”, una nuova avventura vale molto di piu’ di uno stipendio!

Raccontami una tua giornata tipo!
Una giornata tipo? Dipende dal periodo dell’anno. In questo mestiere non ci sono orari, regole  vere e proprie. Bisogna esser sempre disponibili. Penso che il Blackberry debba essere stato proprio inventato da una fashion editor! Molto lavoro e’ quello organizzativo: mettere insieme i talenti: fotografo, modella, location e team. Pensare al concept del servizio fotografico  e alla ricerca dei vestiti. E’ un mestiere dove puoi delegare ma fino ad un certo punto: il tuo team impara solo vedendoti lavorare non raccontandogli come si fa! Tutti i dettagli di un servizio sono messi insieme dalla stylist in collaborazione col fotografo. Il risultato deve essere un’armonia di elementi: stile, trucco, capelli, luce…Peccato che le varianti siano infinite (pioggia, voli cancellati, modelle capricciose….) e quindi il nostro lavoro diventa quasi sempre un’operazione d’urgenza, quelle come alla TV dove si resuscita il paziente quando era solo entrato per farsi mettere un cerotto…Questo e’ il lato negativo, ma anche positivo del nostro mestiere. Se va tutto liscio, non e’ una giornata “normale”. Gli imprevisti, inclusa la pioggia, sono l’elemento che rendono questo lavoro un’avventura.

Raccontami un aneddoto divertente.
Di aneddoti ce ne sono tanti. Ma uno di quelli che preferisco: era il 1992 e stavo collaborando con Calvin klein alla sua nuova campagna jeans. Lui sperava che la testimonial prescelta (vanessa paradis) accettasse di farsi fotografare. Erano ancora sulla trattativa, ed il suo team doveva prepararsi ad un’alternativa in caso vanessa non accettasse.  Qualcuno menziono’ un nome “Kate Moss”. Era sconosciuta, bassa, ma assomigliava molto a Vanessa Paradis.Calvin la volle conoscere subito ed appena lei entro’ nel suo studio lui si giro’ verso di me e disse “Oh my God!”.Quando riaccompagnai Kate all’ascensore le dissi “spero che tu sappia che da oggi la tua vita e’ cambiata”. Lei si morse un’unghia e sorridendo disse “i’m so scared” . Era terrorizzata.

Una domanda un po’ impertinente ma doverosa, e’ un lavoro remunerativo? Questo e’ un mestiere anche remunerativo, ma ha i suoi alti e bassi. La competizione e’ altissima. Ci sono mille modi per guadagnare, anche lavorare su faticosissimi cataloghi, ma spesso la mancanza di creativita’ su certi lavori e’ piu’ frustrante della mancanza di soldi. Poter trasformare un giornale, poter dar vita alla propria fantasia e’ una soddisfazione incomparabile.

Che caratteristiche dovrebbe avere una persona per poter diventare fashion editor?
Una fashion editor dovrebbe essere instancabile (lo dico perche’ io non lo sono purtroppo!) e dovrebbe avere un quadro di cultura generale ampio, anche senza particolari titoli di studio. Deve poter parlare le lingue, e’ un must. Deve sapersi adattare, capire quando essere una leader o quando sottomettersi a delle regole, deve volere tutto e subito ma non darlo ad intendere, mai. Deve avere il coraggio di spingere le sue idee, e saperle avvallare in modo concreto.  Deve capire la differenza tra il bello ed il brutto: anche se spesso quet’ultimo e’ al posto del primo.

Consiglieresti questa carriera al tuo migliore amico?
Questo e’ un mestiere ideale, e’ il piu’ bel mestiere del mondo, davvero. Ma oggigiorno tanti lo confondono con un’ossessione da celebrity dei giornali gossip, dove tutti sembrano cool e trendy. La gavetta qui e’ piu’ dura di quello che sembri e tanti aspetti cosi’ “glam” sono solo una facciata. Spesso sono proprio le persone meno prevedibili a sfondare in questo mestiere-quelli che ci arrivano per caso o quelli che almeno ci arrivano trasversalmente. Mia figlia ha appena cominciato l’Universita’ alla Parsons School of Design di New York. Le sue coetanee non riescono a credere che lei non abbia scelto nessun corso inerente alla moda. Le hanno dato della pazza. Eppure, crescendo in questo ambiente, io e lei sappiamo che ha forse preso una saggia decisione…