E’ di pochi anni fa il caso di un curioso film-documentario intitolato ”Super-size me“, che negli Stati Uniti ha sollevato un certo clamore, oltre ad aver riscosso un discreto successo di botteghino, suscitando di riflesso anche nel vecchio continente qualche interesse mediatico e curiosità (seppur non in misura adeguata alla sua importanza sociale).
Fatto del tutto prevedibile, del resto. Sì, perchè, se qualcuno non lo avesse capito, sto parlando della fatica cinematografica (e mai come in questo caso l’ espressione è stata più appropriata, come capirete fra poco) diretta e interpretata da Morgan Spurlock nel 2004, che si proponeva di dimostrare con fatti ben documentati in che misura sia insalubre il regime alimentare servito nei cosiddetti “fast food“, che ormai impazzano non più solo in America, ma in ogni parte del mondo “civilizzato”, e di essere al contempo un monito per i più affezionati clienti di tali punti di ristorazione.
Denunciare la più grossa delle multinazionali del junk food (come viene etichettato nei Paesi anglosassoni quello che da noi di solito viene chiamato “cibo-spazzatura“), ossìa la McDonald’s, di cui nessuno può non aver sentito parlare, data la fama planetaria, era quindi, in sostanza, l’ obiettivo del coraggioso regista ispiratosi ad un fatto di cronaca:
Nel 2002 due ragazze americane, abituali frequentatrici della nota catena di fast food, citarono in giudizio la McDonald’s, per essersi ritrovate entrambe in una condizione di obesità clinica. Ma la compagnia ebbe partita vinta, non essendosi potuto dimostrare un nesso causale univoco tra la dieta e la indesiderata condizione. E poi rimane il fatto che andare a mangiare regolarmente in un fast food è una libera scelta.
Da questo episodio nacque così l’ idea all’ improvvisato cineasta di fare da cavia per un singolare esperimento: consumare tutti i pasti giornalieri in un McDonald’s ininterrottamente per un mese e stare a vedere quel che succedeva, essendo certo di poter in tal modo fornire le prove di ciò che tanti pensano e vorrebbero poter dimostrare.
Ovviamente per fare le cose in perfetta regola tutto l’ esperimento si è svolto sotto la supervisione di una equipe di tre medici specialisti (un nutrizionista, un gastroenterologo e un cardiologo), che hanno monitorato il soggetto sia prima che si sottoponesse alla prova (per poter ovviamente disporre di dati precisi da confrontare), che per tutta la sua durata, con controlli periodici frequenti, e quindi al termine di quella che poi si rivelò una faticaccia non priva di rischi seri per la salute, come gli stessi medici dovettero ammettere, una volta di fronte a risultati ben peggiori di quelli che si aspettavano all’ inizio.
Il soggetto infatti, che prima della prova risultava agli esami clinici in forma quasi perfetta e pesava 84 kg. per un’ altezza di 188 cm., alla fine aveva guadagnato ben 11 kg., con un incremento quindi del 13% della massa corporea;
Scontati poi i livelli di colesterolo e trigliceridi, entrambi pericolosamente cresciuti (di cui però non dispongo di dati) e disturbi al fegato;
Ma ciò che può sorprendere qualcuno, dato che, nella mentalità comune, quando si parla delle conseguenze di una cattiva alimentazione si pensa sempre e soltanto a problemi di peso, è che gli effetti di tale regime non si erano limitati al livello fisico, perchè il protagonista dell’ esperimento, che nel film (realizzato in chiave di commedia)si racconta mostrandosi in tutti i momenti più significativi dei suoi trenta giorni di avventura (al momento dei pasti, come pure ai controlli medici e nel privato), ebbe a lamentarsi ben presto di depressione, che si manifestava in improvvisi sbalzi d’ umore, oltre ad affaticamento, letargia, mal di testa, attacchi di tachicardia e perfino disfunzioni sessuali certificate dalla sua stessa fidanzata (che, ironicamente, è una cuoca specializzata in cucina vegetariana).
Ma quanti sono quelli che vanno a pensare ai disturbi sessuali o alla depressione come conseguenze di ciò che si mangia? (continua)
Michele Nardella