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Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo Umano

Creato il 10 febbraio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il febbraio 10, 2012 | TEATRO | Autore: Manuela Marascio

Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo UmanoIl dramma dell’uomo emerge dalla distruzione, e in essa ricadrà, alla fine, dopo il vano tentativo di riedificare qualche impalcatura solida sopra le macerie dell’esistenza. Non è pessimismo, ma è la realistica sensazione che Fatzer Fragment suscita, rendendo tutti spettatori, e anche partecipi, dell’inevitabile corso degli eventi che travolge il singolo individuo, durante la sua disperata lotta condotta in nome di un ideale. La struttura stessa del Fatzer abbandona fin da subito la pretesa di risultare unitaria: Bertolt Brecht lavorò al testo tra il 1926 e il 1930, ma fu merito del drammaturgo Heiner Müller ricomporre le innumerevoli pagine di appunti lasciate dall’autore, delineandone una trama. Lo sforzo di Brecht di partorire una drammaturgia innovativa, attraverso quest’opera, è stata recepita e tramutata in una nuova fatica dal regista Fabrizio Arcuri, che, dopo il debutto a Berlino dello scorso 20 gennaio, ha portato a Torino la sua versione del dramma: «Brecht scrisse ricercando una nuova forma drammaturgica, aperta, ma questo suo percorso si spinse tanto in profondità da condurlo alla scrittura di un’opera che, per sua stessa ammissione, finì per diventare, pagina dopo pagina, irrappresentabile».

Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo Umano

Ma l’impresa ha avuto buon fine, e l’utilizzo di proiezioni video, riprese effettuate direttamente sulla scena, musiche dal vivo e continui giochi di luci, fumo e rumori forti, ha accompagnato, come una chiosa, la dialettica tra l’umanità dei personaggi e un’umanità più estesa, immersa in una dimensione metastorica. La struttura frammentaria del testo originale viene mantenuta e le fasi dell’evoluzione di Johann Fatzer sono scandite da ritmi di volta in volta più lunghi o più brevi. Spesso, sono i protagonisti stessi a interrompersi per dialogare fra di loro, tentando di trovare una spiegazione ai loro comportamenti, riconducendo i vari punti di vista a uno solo. Ma la pretesa di trovare un accordo non raggiunge mai risultati duraturi, perché diverse pulsioni animano ciascuno di loro e la spinta aggregante riceve una forza contraria, e ben più potente, dall’inconscio autodistruttivo. Fin dall’inizio, è stabilita la condanna dei personaggi; ma, più che di personaggi, forse, sarebbe più corretto parlare semplicemente di uomini, uomini che vivono e non recitano nessuna parte. Al centro della scena viene rappresentato il nulla, o meglio, il nulla che resta dopo che la forza devastante della violenza ha fatto il suo ingresso nello spazio umano: una macchina esplode, il fuoco divampa, c’è caos, rumore.

Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo Umano

E, poi, la quiete. Da quell’ammasso di ferraglia carbonizzato escono coloro che daranno voce alla rabbia, alla frustrazione, all’entusiasmo ostinato di un mondo in balia del cambiamento, ma pur sempre ancorato al sistema binario dei superbi e degli oppressi. L’intenzione di Brecht era di dipingere lo scenario desolante lasciato dalle catastrofi della prima guerra mondiale, un conflitto che aveva sovvertito ogni ordine logico, creando confusione tra alleati e nemici. Ma, qui, il regista Arcuri parla ai contemporanei, rendendo le voci portatrici di considerazioni valide in ogni epoca, dipendenti dalla storia, inevitabilmente, ma da una storia fatta di uomini, ovunque: «Dappertutto è l’uomo!»; è la consapevolezza dell’onnipresenza del genere umano che copre ogni centimetro di superficie, negando qualsiasi via di fuga. Johann Fatzer, più che un personaggio vero e proprio, è un’entità, rappresenta ogni singolo individuo: dopo aver riflettuto pochi minuti sul senso di tutto, si pone a capo di un suo personale movimento sovversivo, riconosce nella grande massa indivisibile la leva in grado di innescare la lotta e trascina i compagni con sé.

Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo Umano

Ma l’unica direzione possibile è quella verso la rovina: Fatzer viene ingannato dalle sue stesse contraddizioni, la continua tensione verso la rinascita collettiva si frantuma, piegata da una progressiva pretesa di affermazione di sé. I compagni lo additano come egoista, lo accusano per poi isolarlo, fino alla suprema decisione finale che sancisce l’ineluttabilità della sua morte. L’Uomo deve cessare, perché «essere deboli è umano», e anche Fatzer deve cessare. Il motivo del suo fallimento è da ricercare, forse, nel senso stesso della lotta: per cosa combatte, veramente, l’uomo? Per smettere di subire l’ingiustizia, o per riaffermare come giusti quei beni, così materiali, e, per questo, strettamente umani, che, nei tempi più difficili, gli vengono a mancare? E quand’è che l’uomo è da considerarsi tale? Quando agisce in mezzo alla massa, o quando si stacca da essa, rischiando tutto? Fatzer vive un conflitto interiore che trova una corrispondenza nella perdita totale di ogni speranza, che investe il mondo riducendolo all’ennesima bipolarità tra vincitori e vinti, o, in ultima istanza, all’estrema condizione di una sconfitta assoluta: «E d’ora in poi, e per molto tempo ancora, non ci sarà più alcun vincitore nel vostro mondo, ma soltanto vinti». Così, come tutto si era originato dalle macerie, alla fine, tutto vi fa ritorno: dappertutto è l’uomo, ma nella morte non c’è più.

I cinque scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Andrea Macchia

Fatzer Fragment: l’Egoismo del Troppo Umano

Fatzer Fragment / Getting Lost Faster

di Bertolt Brecht

Traduzione e consulenza drammaturgica: Milena Massalongo – Versione per la scena: Magdalena Barile

Regia: Fabrizio Arcuri – Scene: Gianni Murru – Disegno luci: Diego Labonia – Costumi e assistente alla regia: Marta Montevecchi – Video: Lorenzo Letizia – Musica: Luca Bergia e Davide Arneodo (Marlene Kuntz) – Elementi performativi: Portage

con Matteo Angius, Alessandra Lappano, Francesca Mazza, Beppe Minelli, Paolo Musio, Mariano Pirrello, Werner Waas, Enrico Gaido, Marta Montevecchi

Produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino

Lo spettacolo fa parte del progetto Fatzer geht über die Alpen, promosso dal Fonds Wanderlust della Fondazione Culturale Federale, che ha coinvolto la Fondazione del Teatro Stabile di Torino, la Volksbühne am Rosa-Luxemburg-Platz di Berlino, in collaborazione con il Goethe-Institut Turin

Torino, Cavallerizza Reale – Maneggio, dal 6 all’8 febbraio 2012



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