In questo periodo Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, ha incassato una serie di endorsement da parte dei capi corrente del PD che, per quanto imprevedibili fino a poco tempo fa, segnalano l’inizio di uno spostamento di baricentri all’interno dell’organigramma del partito. Con questa nuova centralità, Renzi si è guadagnato anche una robusta dose di critiche più o meno lecite, ma spesso avvolte attorno allo stesso ordito.
L’altro ieri Carlo Galli sul sito web della rivista Il Mulino ha pubblicato un post, Democristiano, e molto ambizioso, in cui delinea il suo pensiero:
La sua indeterminatezza è tanto affascinante quanto ambigua, e non ha in sé alcuna caratteristica ascrivibile alla sinistra, comunque questa possa essere declinata. [...] In certe circostanze, i leader carismatici si propongono come lo strumento di un’Idea che grazie a loro si afferma nella Storia; in questo caso l’Idea coincide con il leader stesso: non c’è nessuno che voti Renzi per adesione al pallido blairismo un po’ vintage di cui è portatore; chi lo vota vuole proprio lui come persona, perché cacci gli altri, perché rivolti il partito come un calzino e ne faccia una macchina di consenso a disposizione del leader. Non vi è dubbio che questa avventura personale sorretta da un entusiasmo collettivo faccia di Renzi un prodotto estremo della personalizzazione della politica, che è seguita al partito-apparato; e che la sua sia una forma avanzata di politica-spettacolo, di democrazia del pubblico, di trasformazione della partecipazione in acclamazione (per il popolo) e in séguito (per i gruppi dirigenti).
Notare come le idee di Renzi – che, piacciano o meno, sono abbastanza definite – diventano nella versione di Galli nient’altro che un «pallido blairismo un po’ vintage» su cui soprassedere. In ogni caso, ieri è stata la volta di Giulio Cavalli, attore e attivista politico milanese, che sul suo blog ha scritto:
Tra i candidati attuali al congresso del PD c’è qualcuno che ha portato avanti da sempre i temi (e spesso anche i modi) che stanno a cuore alla sinistra come vorrebbe essere e a molti punti di programma di SEL: Pippo Civati. Civati tra Marchionne e FIOM è sempre stato dalla parte della FIOM (al contrario di Renzi, per dire), ha avuto sempre le stesse parole sui diritti in tutte le loro declinazioni, ha una visione ambientale vicina all’ecologismo europeo e ritiene questo Governo un tradimento del patto con gli elettori. Anche Renzi ha avuto la possibilità (eccome) di chiarire le proprie posizioni e i propri orientamenti: possono piacere o no ma la sinistra è un’altra cosa, per carità.
A me pare che, grosso modo, tutte le accuse al “renzismo” – che se non è diventato mainstream, poco ci manca – si muovano lungo queste direttrici. Il problema, però, è proprio insito nel contenuto di simili dichiarazioni: per contrastare e spiegare i mali di un leader autoritario e nemmeno celatamente «di destra», si ricorre a stravolgimenti e prese di posizione pregiudiziali e viziate. Chi, come Cavalli, crede che la sinistra del 2013 debba «stare dalle parte della FIOM» – lo dico col dovuto rispetto – non sa di che parla, perché non sono i sindacati le forze riformiste del lavoro e i garanti dei diritti nella società odierna. Ed è così da tanto tempo, nonostante le parole in buona fede di Cavalli e qualche militante. Dire che «la sinistra è un’altra cosa, per carità» equivale a sostenere che dove siamo stati finora (le politiche che abbiamo perseguito, il consociativismo che abbiamo rincorso e la retorica che abbiamo usato) è esattamente dove dobbiamo rimanere. Posto che sia la soluzione adatta a vincere le elezioni, dov’è il rinnovamento di Civati?
A Galli, invece, oggi hanno risposto Sofia Ventura sul Corriere di Bologna e il professor Francesco Clementi con un pezzo magistrale sul quotidiano Europa, con due profondità d’analisi, acutezze e piani di osservazione radicalmente diversi (e infinitamente più convincenti) rispetto ai due articoli precedenti. Cito prima uno e poi l’altro, per non finire col ripetere i loro concetti con parole meno precise ed efficaci:
Galli lamenta il fatto che Renzi scarti a priori l’idea di un partito che «organizza una parte della società», che la «ri-civilizza» (atto sentito come necessario dopo un ventennio di berlusconismo e di neo-liberismo, di quest’ultimo a dire il vero non me ne sono accorta, ma forse ero distratta), che favorisce «la partecipazione a un destino comune di emancipazione e progresso». Non vi è dubbio che Renzi scarti tutto questo, per il semplice motivo che non ha una visione dirigista e totalizzante della politica. Qualunque liberale, di destra o di sinistra, lo scarterebbe. Ma allora è forse questo il problema, ciò che non piace, ovvero che Matteo Renzi vuole dare una fisionomia liberale (come notava ieri il direttore de Il Mulino, Michele Salvati) alla sinistra italiana. E allora di questo si dovrebbe discutere.
Clementi:
Vorrei dire che a questo tipo di sinistra (quella del «partito che ri-civilizzi la società», NDa) è il Novecento che ha chiuso le porte della Storia (quella con la maiuscola). E lo ha fatto profondamente consapevole dei danni che hanno comportato le visioni assolutizzanti del vivere sociale, qualunque esse siano. Abbandonate le quali non c’è un nichilismo a-morale o un utilitarismo egoista senza valori, incapace di discernere “cosa è di destra, cosa di sinistra” (o tempora, o mores…) perché è incerto sulle sue gambe; c’è, invece, la consapevolezza delle grandi democrazie (e dei rispettivi partiti, di sinistra e di destra) che esiste una frontiera comune nella quale tutto il mondo opera – il liberalismo – e che esso è per natura continuamente sotto la fatica di doversi districare, fissando ogni giorno nuovi perimetri, tra i dilemmi che le sfide dell’eguaglianza, dell’opportunità, dei diritti e dei doveri determinano nelle nostre società. Matteo Renzi – per quanto mi consta e per come “lo leggo” – è dentro questo tempo.
In sostanza, è bene che chi si appresta a salire in cattedra e criticare le presunte derive destrorse del Partito democratico abbia ben presente di cosa sta parlando e – magari, se possibile – di com’è fatto il mondo intorno. Rinchiudersi in un recinto di retaggi culturali e affidarsi all’ennesima riproposizione del trinceramento identitario – quello fatto proprio da un apparato allergico al cambiamento e all’apertura alla società civile – ci ha già garantito diversi trionfi. Perché continuare su questa strada? Per paura di un «democristiano ambizioso» che propone cose che nelle grandi democrazie sono già dati di fatto?
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