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"Favole in brodo" di Sandra Frenguelli per La gaia mensa

Da Silviamaestrelli

Sandra Frenguelli, per "La gaia mensa", il concorso letterario 2010 di Villa Petriolo, ci regala “Favole in brodo”.
Sandra racconta di sé: “Ho 45 anni, sono nata e vivo a Perugia dove mi sono laureata in Scienze dell’Educazione. Compongo racconti per passione: solo nel 2007 ho iniziato a renderli ‘pubblici’. Le soddisfazioni non sono mancate: ho ottenuto numerosi riconoscimenti in molti concorsi letterari. Nel luglio 2009, quale primo premio conseguito per il concorso ‘Il club dei Poeti’, la casa editrice Montedit ha pubblicato la mia prima raccolta di racconti dal titolo ‘In punta di dita’“.
Racconto “Favole in brodo” di Sandra Frenguelli
“E’ finita, ormai siamo alla frutta”.
Hai sbattuto la porta e te ne sei andata.
Sebbene la nostra separazione mi faccia sentire come un avanzo di limone lasciato a rinsecchire in frigo, non posso non riconoscere la sagacia della battuta: non potevi trovarne una migliore per piantare uno chef !
Cinque anni di vita insieme. Cinque anni trascorsi per lo più vivacemente nella cucina del nostro ristorante a ricercare ingredienti genuini e gustosi, ad inventare ricette e piatti succulenti, a sperimentare accostamenti con i vini e ad accrescere le nostre capacità di accogliere gli ospiti. Successi e conferme professionali non sono mancati. Ma una ricetta di felicità per la nostra vita non siamo riusciti a trovarla. Però, se oggi Martina cara, sono qui a scriverti è perché mi piace impastare la mia vita con te, mescolare i nostri umori, abbeverarmi al tuo spirito e assaporarti lentamente.
Ti ricordi il nostro progetto di un menu per elogiare la lentezza? Pensavamo ad un menu che potesse essere come un libro da sfogliare pian piano, per invitare al dialogo, alla riflessione. Ogni piatto, ci dicevamo, dovrebbe essere come un argomento di cui parlare, una trama da raccontare agli altri, un personaggio da interpretare, un carattere su cui confrontarsi. E’ rimasto solo un progetto, ne parlavamo solo distrattamente ogni tanto. Senza nemmeno accorgercene abbiamo finito per consumare troppo in fretta il nostro pasto. Eppure mi emozionano ancora i sapori della nostra mensa che salgono prepotenti dalla memoria.
Il nostro primo incontro durante quel happy hour in un bar del centro fu un antipasto delizioso. Piccoli assaggi di conoscenza solleticavano la mia fantasia, accrescevano il mio desiderio di approfondire il sapore degli stuzzichini delle tue parole, le tue labbra affondavano nei tramezzini, stillavano piccoli sorsi di prosecco e confondevo le bollicine con il lucore del tuo sguardo. Tornai lì ogni giorno sperando di rivederti dandomi del pesce lesso per non averti chiesto il numero di telefono. Ti ritrovai dopo una settimana. Stavi gustando dei bocconcini di mozzarella di bufala, non si può interrompere nessuno quando ci si gusta una meraviglia simile. Da un angolo del bar, sicuro di non essere visto, spiai la morbida crema bianca che entrava nella tua bocca e solo quando i tuoi occhi si riaprirono dopo la soddisfazione dei sensi, mi avvicinai porgendoti la mano. Quel contatto fu un’estasi burrosa. Il tuo sorriso una crocchetta calda e la tua voce una carezza di maionese. Accettasti il mio invito a cena. Fu un trionfo di sapori. Il dialogo fluiva come il rosso amabile che accompagnava l’arrosto aromatico, appagavi il mio palato oltre la mousse di cioccolato e solleticavi i miei sensi più dello spumante. “Voglio cucinare per lei”, non avevo che questo desiderio in circolo mentre osservavo le tue mani sollevare il cibo verso la tua bocca e sangue e spirito venivano permeati da un’attrazione definitiva.
Per la prima cena a casa mia ti preparai un piatto antico, caldo, familiare, fatto della pazienza e della lentezza che richiedono le famiglie. La minestra di pane angelico, ti conquistò. “Non me ne vado di qui fino a quando non mi avrai dato la ricetta”, dicesti. “Allora me ne guarderò bene dal dartela mai!” ti risposi. Quella sera stessa decisi che ogni mattina, prima ancora dell’aroma del caffè, avrei voluto sentire il profumo della tua pelle accanto a me. Decidemmo di chiamare “Pane angelico” il nostro ristorante e non potei non rivelarti la ricetta che però restò solo nostra. Per il menu del ristorante proponemmo “il pane angelico” come un dolce al cucchiaio a base di meringa e mandorle, con crema di arance in inverno, e di albicocche in estate.
Ma la nostra minestra, te la ricordi ancora? Il brodo lento e sincero accoglieva le morbide palline tratte dall’impasto di mollica di pane leggermente inzuppata nel brodo, condita con il sapore forte e deciso del prosciutto grasso e magro tritato finissimo, con l’aggiunta di un suadente midollo di bue e poi parmigiano genuino, farina, uova e un pizzico di noce moscata. Modellavi le piccole noci di impasto con forme sempre diverse, non più anonime palline: cuocevi nel brodo fiori, cuori, sole, luna, stelle, forme di cielo e di terra, e io prima ancora di lasciar sciogliere in bocca quelle infinite morbidezze, mi scioglievo ammirato come un bambino ad ascoltare le storie che inventavi su ogni forma modellata dalle tue mani. Una volta mi ritrovai uno sorta di spada nel brodo, “mi vuoi dire qualcosa?”, esclamai tra il divertito e il preoccupato. Guardasti la spada nel mio piatto e con un sorriso maliziosamente innocente rispondesti “…oh, non con la spada, piuttosto dovrebbero esserci anche un paio di corna…” e prima del fragore della tua risata vidi le tue gote gonfiarsi come un soufflé mentre osservavi la mia espressione stupita. La minestra restò nei piatti quella sera, mi tuffai su di te come in un bignè.
Oh, Martina quando abbiamo smesso di preparare le nostre favole in brodo? Come è accaduto che sia qui da solo, insipido e inodore, in questa cucina con i fornelli spenti? Ci siamo impegnati a cucinare per gli altri, mentre i nostri pasti si facevano frettolosi e distratti. Ci siamo pian piano dimenticati del nostro tavolo che via via è divenuto disadorno, scontato e senza cura.
Abbiamo cominciato a vivere come mangiavamo: guardando gli altri farlo.
Il sapore, assieme al nostro spirito, si è fatto aspro, poi stanco e infine marcio.
Come quella coppia che entrò nel locale qualche tempo fa. Giovani ed eleganti, mano nella mano. Li accompagnasti al tavolo e rientrando in cucina mi dicesti “sembrano affettuosi, ma sono spenti come vino passato”. Li prendesti a cuore ed osservandoli sussurravi: “fanno tutto senza partecipazione: hanno scelto velocemente i piatti dal menu, bevono distrattamente e guardano gli altri mangiare, gustarsi il cibo e la vita”. “Fai qualcosa di speciale per loro”, mi dicesti. Ma non avevo cuore per capire e ti risposi seccamente: “Martina, abbiamo la sala piena di gente, non posso dedicarmi solo a quei due, lasciali perdere”. Offristi loro un bicchierino inebriante di vino passito ma rientrando in cucina amaramente commentasti “lei non è più interessata, nemmeno il passito l’ha emozionata”.
Oh Martina, tu non rifiuterai di bere al mio calice questa sera, vero?
Questa sera la cucina apre solo per te, per noi. Quando hai accettato il mio invito a cena, si è sciolto quel boccone acido che avevo nello stomaco, ho sospirato di gioia e speranza e ho cominciato a pensare a tutto quello che avrei voluto prepararti. Per giorni ho solo immaginato tutte le prelibatezze dall’aperitivo al dessert, ho curato ogni dettaglio nella mia mente per una cena perfetta e indimenticabile. Poi all’improvviso mi sono ricordato di un’espressione di mia nonna. Diceva, nel suo toscano : “La famiglia unn è mica la cena co l’antipasto, la pasta e l’arrosto. E’ il brodo che fa la famiglia: col’sapore di brodo nela casa, un si pole litigare!” *.
Sono qui, con il profumo di brodo che danza nell’aria, lentamente pervade ogni tessuto e appanna i vetri lasciando fumetti e disegni di bambini.
Il rosso sincero e morbido è già posto a decantare sulla tovaglia candida, i calici bramano le nostre labbra.
Ti aspetto. Aspetto le tue mani. Le voglio qui, intrise di mollica bagnata nel brodo, unte di prosciutto e midollo, solleticate dal parmigiano, confortate dalla farina, condite con le uova e profumate dalla noce moscata. Ti aspetto e mi impasto col pensiero di te.
*“La famiglia non è mai la cena con antipasto, primo piatto e arrosto. E’ il brodo che fa la famiglia: con il sapore di brodo in casa non si può litigare”.

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