L'ispirazione ci è venuta dall'anniversario del suicidio di Sylvia Plath, che ricorre l' 11 febbraio. La scrittrice e poetessa, famosa soprattutto per i suoi Diari, si tolse la vita l'11 febbraio 1963, infilando la testa nel forno a gas, dopo aver scritto l'ultima poesia, Orlo, e preparato la colazione per i figli. Tra i suicidi più noti, è anche tra i più discussi (secondo alcuni fu una morte accidentale).
Questo episodio introduce il primo aspetto sul quale vogliamo soffermarci: la macabra attenzione al dettaglio di critici e studiosi quando si tratta di scrittori suicidi. Non ci sembra opportuno sindacare sulle scelte di (non) vita di questi scrittori, sul rapporto tra genio e depressione e così via, non è la sede opportuna e non è di alcun interesse sotto il profilo letterario.
E' quantomeno curioso, tuttavia, l'attenzione perversa che gli ultimi gesti degli scrittori suicidi ha ricevuto. Da ciò deriva il secondo peculiare aspetto che caratterizza il tema: il rapporto tra fama e suicidio. Chi dubita che Sylvia Plath non avrebbe avuto il successo che ha avuto (soprattutto una lettura fortemente intimistica come quella dei suoi Diari) se non si fosse suicidata? E che dire di altri scrittori, la cui morte appena vagamente incerta è stata subito riformulata come suicidio, fosse solo per poter vendere di più? Sarebbe questo il caso di Kurt Vonnegut, l'autore di Mattatoio n.5, morto a 85 anni il 10 aprile 2007 in seguito a un "incidente domestico". Chiunque penserebbe che, per un uomo della sua età, un'accidentale caduta, con conseguente trauma cerebrale (causa ufficiale della sua morte), basti a spiegare la sua morte; non l'hanno pensata così studiosi, giornalisti e altri che vi hanno visto un misterioso e inspiegabile suicidio.
Lasciamo tuttavia la polemica e vediamo una rapida carrellata dei più noti scrittori suicidi (almeno, quelli accertati), che tra mal di vivere e inquietudine esistenziale potrebbero avere parecchio da comunicare. Virginia Woolf, tra le più grandi scrittrici del Novecento (e non solo), non riuscì a trovare scampo alla depressione e scelse di annegarsi nel fiume Ouse, poco lontano dalla residenza di campagna, il 28 marzo 1941; il suo particolarissimo sucidio, insieme al racconto della sua ultima fase di vita, è raccontato nel famoso libro Le Ore di Micheal Cunningham. Ernest Hemingway, maestro della narrativa breve, era depresso e soffriva di manie di persecuzione; si sparò con un fucile il 2 luglio 1961. Robert Ervin Howard si spara alla tempia in mezzo al deserto l'11 giugno 1936, devastato dalla malattia della madre (che muore il giorno dopo). Tra gli italiani ricordiamo Cesare Pavese, che si dice afflitto da inquietudine esistenziale, tuttavia suicida in seguito a una delusione amorosa, per overdose di sonniferi il 27 agosto 1950; Primo Levi, la cui incancellabile esperienza nei campi di concentramento nazisti, insieme a una serie di lutti nella sua ultima parte di vita, lo spinse a gettarsi dalla tromba delle scale l'11 aprile 1987; nonché Emilio Salgari, che stremato da una vita piena di vizi e difficoltà, tenta dapprima il sucidio rituale gettandosi su una spada, poi, salvato in tempo, ritenta facendo harakiri il 25 aprile 1911. Il singolare rituale ci porta in Giappone, segnato dalle morti di Yukio Mishima e Yasunori Kawabata. Spettacolare la morte in diretta di Mishima, che il 25 novembre 1970 occupò l'ufficio del generale dell'esercito di difesa giapponese, proclamò un discorso dal sapore nazionalista, in favore dell'Imperatore giapponese e contro l'apertura all'Occidente, e fece seppuku. La morte, avvenuta in circostanze ancora misteriose, di Kawabata, avvenuta due anni dopo, pare essere stata ispirata, o quanto meno una conseguenza, del sucidio rituale di Mishima, cui Kawabata era letterariamente legato. Terminiamo la carrellata con il più recente e mediatico suicidio: quello di David Foster Wallace, impiccatosi il 12 settembre 2008. Personalità complessa, a lungo sotto farmaci, fu anche ricoverato in una clinica psichiatrica; amato e odiato, una volta morto suscitò improvviso scalpore e compassione. Dalla sua morte sono stati pubblicati quattro libri postumi, tra le proteste di amici scrittori che hanno urlato allo sciacallaggio. Chiudiamo dunque con Wallace, e con una sua profetica dichiarazione, dal romanzo Infinite Jest:
La persona che ha una così detta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette "per sfiducia" o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme.