Si può scrivere il manuale del perfetto tifoso? Si può analizzare cos’è il tifo e renderlo argomento di una discussione organica e dettagliata? Ma quello che più conta: si può psicanalizzare il tifoso di calcio?
A mio avviso la risposta è un triplice si. O, perlomeno, Nick Hornby in Febbre a 90′ c’è riuscito alla grande.
Non dev’essere stato facile scrivere un libro quasi autobiografico in cui si racconta la propria esperienza con il mondo pallonaro senza stendere veli pietosi su fatti di cui ci si vergogna, perché il tifoso ha sempre qualcosa che ha detto o fatto durante la partita per il quale dopo sentirà il bisogno di vergognarsi.
Parliamo di una passione, attenzione, non di una scienza esatta quindi è davvero molto difficile cercare di tirare fuori un’analisi ben organizzata e di fatto il modo migliore che Hornby ha escogitato per farlo è stato quello di scegliere di auto-psicanalizzare i suoi comportamenti: quello che ne viene fuori è un’analisi piuttosto lucida sulla condizione del tifoso di calcio che però non vuole convincere chi ancora non lo è a diventarlo ma piuttosto vuole spiegare che cosa si prova ad esserlo e magari invitare a chiudere un occhio se l’amico tifoso di una certa squadra antepone la visione della partita ad un’uscita insieme o a una capatina in pizzeria.
Penso che Febbre a 90′ sia un libro adatto soprattutto a chi non è mai piaciuto il calcio; rappresenta un ponte culturale tra quello che viene considerato un mondo di burberi ignorati e ululanti (i tifosi di calcio) e il mondo della tifoseria elitaria (che magari spende 1000 euro per il weekend di Formula 1 o fa 4 ore di fila per vedere giocare Roger Federer), e soprattutto tutto ciò che questo romanzo mette nero su bianco non implica automaticamente che tutto lo sport che non sia calcio faccia schifo, anzi, lo sport è bello in tutte le sue forme ma ognuno sceglie a quale donare per intero il suo cuore di tifoso.
Hornby ha avuto la fortuna/sfortuna di nascere e crescere a Londra. La capitale del Regno Unito conta ben 14 squadre per cui quando da piccolissimo Nick ha scelto che il calcio sarebbe stato il suo sport preferito si è trovato di fronte ad un’ampia scelta per quanto riguarda la squadra per cui tenere.Però Il calcio - come ripete sempre il telecronista Sky Fabio Caressa – è una materia strana perché niente di quello che ha a che fare con esso è prevedibile o razionale, per cui scegliere l’Arsenal per il nostro autore aveva la stessa percentuale di probabilità di una qualsiasi delle altre 13 squadre: con l’aggravante che alla fine degli anni 60 i Gunners non erano il club di tutto rispetto che sono diventati oggi ma, in Inghilterra non è come qui da noi dove lo scudetto (in un modo o nell’altro) va sempre alle stesse squadre, lì infatti tutti lottano per il titolo finché la matematica non scrive l’inequivocabile parola fine a tale progetto. Hornby ci spiega in poche parole il concetto di tifoso – Una cosa è certa sul tifo: non è un piacere parassita, anche se tutto farebbe pensare al contrario, e chi dice che preferirebbe fare piuttosto che guardare non capisce il concetto fondamentale. Il calcio è un contesto in cui guardare diventa fare - Ecco spiegato, quindi, il comportamento del tifoso allo stadio o davanti alla tv che finisce per sudare come i calciatori in campo e per provare le loro stesse emozioni; ecco il motivo per cui ha un senso usare espressioni come “abbiamo giocato“, “abbiamo vinto“, “abbiamo fatto schifo“: il non essere in campo fisicamente è solo un dettaglio secondario.
Un altra caratteristica del tifoso che Hornby prova sulla sua pelle e spiega in maniera esaustiva è il legame tra l’umore personale e i risultati della squadra per cui si tifa. Prima di metabolizzare ogni sconfitta e ogni vittoria il tifoso tende a identificare tutta la realtà che lo circonda nel risultato di una partita, diventando eccessivamente contento in caso di esito positivo o, al contrario, insopportabilmente burbero in caso di risultato negativo. D’altra parte, come ci spiega l’autore stesso, fare il tifo per una squadra comporta un’amarezza di fondo, e non puoi fare nient’altro che conviverci e accettare che il calcio professionistico debba essere amaro per poter significare qualcosa – e soprattutto – le squadre di calcio sanno essere incredibilmente fantasiose quando si tratta di fare soffrire i propri supporter.
Un aspetto del calcio che spesso si tende a considerare molto poco è quello che poi si rivela essere l’unica cosa essenziale in una partita: il gol. Hornby ci dice che un gol, per ragioni che richiederebbero un libro intero per essere spiegate, è un gesto provocatorio. E’ un gesto che comincia con il giocatore che segna fisicamente il gol e finisce nelle centinaia di tifosi che in preda ad un’isteria collettiva si lasciano andare alla gioia più incontrollata e poco, anzi quasi per nulla, importa se stiano guardando una partita di Coppa Italia piuttosto che un’amichevole pre-campionato. Il gol nel calcio è tutto e non è paragonabile a nessun altro tipo di punto in nessun altro sport, come ci spiega lo stesso Hornby – i gol hanno quel valore della rarità che i punti e i set non hanno, e quindi ci sarà sempre quel fremito di vedere qualcuno fare qualcosa che può essere fatto solo tre o quattro volte in tutta una partita se sei fortunato, neanche uno se non lo sei. E mi piace la velocità, la mancanza di una formula prestabilita; e adoro come gli uomini piccoli possano distruggere quelli grandi in un modo che negli altri sport è semplicemente impossibile, e il fatto che la squadra migliore non necessariamente vince.
Ho trovato particolarmente divertente il catalogo delle condizioni che una partita deve soddisfare per essere veramente appagante. Ve lo riporto, giustamente privato delle parti narrative, per non spoilerare la trama del romanzo.
1) Più gol possibile
2) Arbitraggi scandalosi (meglio se subiti)
3) Pubblico rumoroso
4) Pioggia e terreno scivoloso
5) Almeno un rigore sbagliato dagli avversari
6) Almeno un avversario espulso
7) Un episodio vergognoso di qualche tipo
Io credo che leggendo Febbre a 90′ chiunque sia tifoso di una squadra di calcio ci troverà dentro delle cose interessanti e si riconoscerà in alcuni atteggiamenti del protagonista, per quelli che di calcio proprio non ne vogliono sentir parlare, invece ci sarà un ottimo romanzo, con sottofondo calcistico, autobiografico scritto in maniera schietta e onesta e davvero molto godibile.
P.S. Ho letto questo libro in un periodo che posso considerare come il peggiore nel rapporto tra il mio io sportivo e il calcio. Troppi dubbi sulla regolarità del campionato italiano, sull’operato dei club e soprattutto sulla verità o meno di partecipare ad un circo falsato in cui tutti viene deciso dal dio denaro. In Febbre a 90′ per molti tratti ho ritrovato le stesse identiche incertezze, la stessa condizione di vivere in un limbo esistenziale che chi ha avuto la fortuna (o la sfortuna) di non tenere ad una squadra non capirà mai. Ho anche imparato a distinguere tra Tifosi e tifosi, ovvero tra gente che da casa o dallo stadio guarda il calcio per quello che è, un bellissimo gioco, e chi, invece, si dichiara un grande supporter ma a fatti, infine, è un gran bugiardo.
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