Ieri pomeriggio, a Catanzaro, si è chiuso un capitolo molto importante.
La Corte d’appello ha confermato la condanna, inflitta il 6 luglio 2011 dal tribunale di Cosenza, all’ex frate Fedele Bisceglia a nove anni e tre mesi per violenza sessuale su una suora. Stessa decisione per il suo segretario, Antonio Gaudio, per il quale è stata confermata la condanna a sei anni e tre mesi. Alla lettura della sentenza erano presenti gli imputati e alcune suore contro le quali una parente di Gaudio ha inveito. (fonte)
Nonostante la sentenza, alcuni giornali (come ad esempio il Quotidiano della Calabria), hanno continuato ad usare il termine “presunte” in riferimento alle violenze e agli stupri. Ma i mezzi di informazione non sono nuovi a tanto squallore, e continua a rimanere esemplare un editoriale apparso sul Corriere della Calabria (num. 3 del 7 luglio 2011) nel quale – dal punto di vista della “difesa”- si riteneva di poter scardinare l’accusa puntando sull’ attendibilità della suora.
Pesano come un macigno, e sono una ferita aperta per tutte-i, il riflesso mediatico di questa vicenda processuale e la percezione sociale della violenza di genere che ne è scaturita, attraverso gli organi di informazione e la collettività.
““…La vicenda dell’ex frate e della suora è emblematica di una città di provincia che si chiude a difesa delle proprie presunte certezze: è la storia che ha tutti gli elementi del boccaccesco immaginario del frate benefattore e della suora “brutta, bassa e tozza….” “” mi ha detto un’amica cosentina. Un’altra amica, mi ha raccontato di essere stata di recente a teatro e di essere stata apostrofata nei modi peggiori, per essersi alzata indignata a causa degli applausi fragorosi che la gente ha riservato a Bisceglie, presente anche lui in sala.
“[...] il Tribunale di Cosenza ha aperto una fase nuova che impone ad una città arroccata, durante questi anni, a facili giudizi assolutori in nome della virtuosità e dell’opera meritoria a sostegno dei più deboli, che di certo non riducono né scalfiscono la gravità dei fatti per i quali Bisceglia è stato condannato.
Accogliendo con soddisfazione la sentenza non ci esimiamo dal riflettere sul fatto che la ricerca di legalità sia emersa all’interno di un’aula di Tribunale più di quanto non abbia saputo esprimere la società civile cosentina e la stampa.” Questo, quanto scrivevano le donne del Centro Lanzino il 6 luglio 2011
D’altronde ne ho sentite (e lette) tante. Da chi ” conosco padre Fedele e so che non è un mostro“, a chi “conosco padre Fedele, nonostante tutto non avrebbe mai trombato una cozza”, a chi ancora “se aveva campo libero con donne consenzienti e bellissime, perchè andare a stuprare una suora brutta e racchia? perchè “sporcarsi” così le mani?”. A chi ancora” non mi importa se va a donne, ha fatto del bene”, oppure “questa è solamente la macchina del fango, è un complotto; senza padre Fedele, Cosenza ha perso la sua parte di anima migliore.”
Una città (in una regione, in uno stato), che mi appare come un paese di campagna che si stringe attorno al curato, pronto ad assolverlo perché – alle brutte – cosa mai sarà lo stupro di una suora, per giunta forestiera, rispetto a tanto bene fatto, per giunta a piedi scalzi?.L’ex prete tuona, inveisce e chiede l’intervento del vaticano; la suora, vorrebbe stare lontana dal clamore, ed ha chiesto attorno a sé solamente un silenzio rispettoso.
Orrori e iposcrisie che si svelano, e il ballo della quadriglia non finisce mai.
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leggi anche:
-a proposito di responsabilità (dei mezzi di informazione)
-orrori svelati
-lettera di un’infedele , di Anna Pascuzzo (sempre attuale)
comunicato stampa del Centro Lanzino
“Abbiamo ascoltato presso la Corte d’Appello di Catanzaro la sentenza di II° grado emessa nei confronti di Francesco Bisceglia e di Antonio Gaudio, che confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Cosenza.
L’atmosfera era tesa, pesanti gli sguardi e le reazioni dei familiari e sostenitori degli imputati nei confronti delle donne (suore e socie del Centro Antiviolenza) che testimoniavano con la loro presenza l’interesse per l’accertamento della verità.
Ancora una volta, tuttavia, l’interesse dei media si è soffermato sulle esternazioni dell’imputato, mentre i Carabinieri scortavano il gruppo delle suore per sottrarle alle rimostranze scomposte dei sostenitori degli imputati.
Eppure dovrebbe essere interesse di tutti dare spazio e voce al coraggio delle donne che denunciano gli atti di violenza sessuale, e utilizzare un processo così difficile per rilanciare la fiducia nella giustizia.
Le donne del Centro contro la Violenza “Roberta Lanzino” che hanno supportato in questi lunghi sette anni Suor T. e le Consorelle pensano che sia stata scritta un’importante pagina nella storia della giustizia italiana. “