dimenticato nei giorni nostri, come un oggetto finito tra altre virtù nel museo dell’antichità. Tutto è relativo, si fanno le cose solo se ci si sente: appena appena si avverte un po’ di dolore, si abbandona subito. Non è così. La fedeltà si vaglia nella sofferenza. Essere fedeli ad un ideale e fare di tutto affinché non si tradisca mai, nonostante il sostenimento di esso, abbia portato il nostro cuore a sanguinare è la stessa fedeltà che portò Gesù sulla croce. Fedeltà è essere fedeli nonostante tutto a quel sì iniziale che ha compromesso l’intera esistenza: gli uomini forse non riconosceranno quel sì, ma Dio che sa tutto dell’uomo, sa quando quell’anima ritorna fedelmente al suo sì iniziale, nonostante abbia la libertà e anche la possibilità senza rischio di peccato, di dimenticare quel sì modificato dagli eventi della vita. L’anima fedele non riuscirà a dare il suo cuore ad altri se non a Dio. Non si può tradire il primo sì dato a Dio, perché quel sì era autentico. Si è conosciuto Dio, almeno un po’ e tanto è bastato per donargli totalmente il cuore. Accadde questo a Saulo. Conosciuto Gesù non poteva più tradire il suo ideale. Fedele per predisposizione, ha conosciuto il vero volto di Dio in quel momento e ha compreso che quello che aveva conosciuto fino a quel momento, non era il Dio vero. Pure nel libro di Giobbe troviamo quest’affermazione: “Ti avevo conosciuto per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono!”. Quegli occhi avevano visto Dio e quando si vede Dio si comprende la fedeltà anche nel dolore e nel tradimento. Ecco perché i santi ne passarono tante: la fedeltà è una virtù che non deve finire nel dimenticatoio, ma deve essere curata giorno per giorno, perché è la base della spiritualità solida cristiana. Allora si può comprendere quando sia grande la fedeltà di Dio nei nostri confronti: nonostante gliene facciamo tante, lui ci ama, non può tradire il suo amore…
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dimenticato nei giorni nostri, come un oggetto finito tra altre virtù nel museo dell’antichità. Tutto è relativo, si fanno le cose solo se ci si sente: appena appena si avverte un po’ di dolore, si abbandona subito. Non è così. La fedeltà si vaglia nella sofferenza. Essere fedeli ad un ideale e fare di tutto affinché non si tradisca mai, nonostante il sostenimento di esso, abbia portato il nostro cuore a sanguinare è la stessa fedeltà che portò Gesù sulla croce. Fedeltà è essere fedeli nonostante tutto a quel sì iniziale che ha compromesso l’intera esistenza: gli uomini forse non riconosceranno quel sì, ma Dio che sa tutto dell’uomo, sa quando quell’anima ritorna fedelmente al suo sì iniziale, nonostante abbia la libertà e anche la possibilità senza rischio di peccato, di dimenticare quel sì modificato dagli eventi della vita. L’anima fedele non riuscirà a dare il suo cuore ad altri se non a Dio. Non si può tradire il primo sì dato a Dio, perché quel sì era autentico. Si è conosciuto Dio, almeno un po’ e tanto è bastato per donargli totalmente il cuore. Accadde questo a Saulo. Conosciuto Gesù non poteva più tradire il suo ideale. Fedele per predisposizione, ha conosciuto il vero volto di Dio in quel momento e ha compreso che quello che aveva conosciuto fino a quel momento, non era il Dio vero. Pure nel libro di Giobbe troviamo quest’affermazione: “Ti avevo conosciuto per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono!”. Quegli occhi avevano visto Dio e quando si vede Dio si comprende la fedeltà anche nel dolore e nel tradimento. Ecco perché i santi ne passarono tante: la fedeltà è una virtù che non deve finire nel dimenticatoio, ma deve essere curata giorno per giorno, perché è la base della spiritualità solida cristiana. Allora si può comprendere quando sia grande la fedeltà di Dio nei nostri confronti: nonostante gliene facciamo tante, lui ci ama, non può tradire il suo amore…
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