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Federico II e Giorgio da Gallipoli

Creato il 10 dicembre 2010 da Cultura Salentina

di Augusto Benemeglio

Federico II  e Giorgio da Gallipoli

© Carlo Maci: Castel del Monte

Sappiamo che Federico II aveva dei fortissimi legami con la Puglia ( era nato a Jesi , ma si considerava “puer Apuliae” , figlio di questa terra ). Ma – mi è stato chiesto da un lettore di Espresso Sud – quali sono stati i legami , i rapporti , le coincidenze tra l’Imperatore e Gallipoli?

Federico II di Svevia

Al riguardo , Bartolomeo Ravenna , nelle sue Memorie Istoriche, ci dice che lo Splendor Mundi fu riconoscente alla “città bella” per la sua fedeltà e dedizione, ed è per questo che spedì, da Palermo, un diploma con cui riconosceva ai suoi abitanti: 1. che non fossero asportati per verun delitto, menochè quelli di lesa maestà; 2. che potessero comporre i litigi; 3. che rimanesse facoltata di eleggersi il proprio Giudice locale; 4. che non si inferissero dei danni al territorio; 5. che restasse abilitata la cura del lino nel ristagno detto li Foggi, cosa quest’ultima allora di notevole importanza, perché la semina del lino nel territorio era una delle maggiori fonti di guadagno.

Ma il fatto era accaduto nel 1200 e a quel tempo il grande Federico era un bambino di sei anni, che viveva più in strada che a corte, fraternizzando con la Palermo più umile e vivendo di esperienze disparate. Non crediamo insomma che, per quanto re di Sicilia da già tre anni, fosse “cosciente” di questi privilegi concessi a Gallipoli.

Un ‘altra occasione d’incontro derivò dalla sua mania di costruire o rifare i castelli della Puglia, che aveva trasformato in una sorta di cantiere permanente , un vero e proprio boom edilizio. Una smania irrefrenabile nell’erigere fortilizi, castelli, casini di caccia, rocche, palazzi. Quasi mai chiese o altri luoghi di culto religioso, anzi in palese contrapposizione ad essi, a eccezione della cattedrale di Altamura, l’unica costruzione sacra voluta dall’Imperatore. Ma Ettore Vernole, nel suo bel libro “Il Castello di Gallipoli”, praticamente non fa cenno di questi interventi dell’imperatore. Insomma considerare federiciano il Castello di Gallipoli sarebbe una grossa forzatura.

C’è infine – e stavolta il legame è forte, importante, – un uomo che unisce Federico a Gallipoli e si tratta di Giorgio di Gallipoli, il chartophilax, dignitario ecclesiastico bizantino, il rappresentante più importante della scuola poetica greca nel Salento bizantino.

Federico lo conobbe quando venne per la prima volta a Otranto, nel 1228, e conobbe il circolo di Nettario, di Giovanni Grasso e, appunto, di Giorgio di Gallipoli, che gli fu a fianco unitamente al notaio anche al momento del testamento e del trapasso, a Castelfiorentino, il 13 dicembre 1250.

Per Federico il rapporto con questi grandi uomini di cultura salentini, maestri di greco e di latino, ma anche poeti insigni, fu immediato, spontaneo, e scavò in profondità. Fu un fatto quasi naturale per una personalità come Federico, uno dei più notevoli ingegni di ogni razza e nazione , che parlava e scriveva correntemente l’italiano, il tedesco, il francese, il latino, il greco e l’arabo, con cognizioni di diritto filosofia medicina e storia natural , che fondò a Napoli un’università che sarà presto alla pari con quella di Bologna che chiama a Palermo dotti di ogni paese, che costruì – splendido diadema – un gioiello come Castel del Monte, che ebbe un senso ecumenico ante litteram (vanno bene tutte le religioni) , – avere un afflato con quella gente di cultura greca e quella terra d’Otranto, dove c’era, nel monastero di Casole, la più importante biblioteca di testi greci.

Lì avrebbe trovato conferma alle sue idee e risposte alle sue curiosità, così come nell’antiromanità ghibellina di un Giovanni Grasso (grammatico imperiale), nell’irredentismo religioso di Nettario e di Giorgio di Gallipoli avrebbe trovato conferma alle sue scelte, a certe sue preferenze, alle sue prospettive politiche.

Federico II  e Giorgio da Gallipoli

Federico II di Svevia

Giorgio di Gallipoli compose per lui un poema ecomiastico, in cui lo fa apparire come una sorta di Zeus tonante e fulminante dell’Olimpo greco (un frammento del suo poema fu stampato nel “Catal. Cod. Graec.”, Firenze, 1764 vol. 1 , pag,. 26) opera che fu largamente apprezzata dall’imperatore che quando si trovava nella terra d’Otranto – e vi si trovò in diverse altre occasioni – non mancava di far convocare Giorgio il Bizantino di Gallipoli, gran maestro di greco e gran poeta, che ebbe modo di testimoniare dell’incredibile energia , una forza vitale , taumaturgica, che emanava l’imperatore svevo. Del resto la virtù sovrumana dello Staufen era stata celebrata da molti maestri di penna in greco e in latino:

Tua vis, Caesar, non est in terminis, / Nam ( ea) virtutem trascendit hominis/Ut it dicam: cuiusdam numinis / Instar…

C’è una curiosa testimonianza di due secoli dopo la sua morte: la scoperta di una carpa trovata in uno stagno vicino a Heilbronn, in Germania, nelle cui branchie, sotto la pelle, era fissato un anello di rame recante un’iscrizione greca, prova certa che l’imperatore in persona aveva deposto quel pesce nello stagno, e che suscitò grande stupore e il desiderio di di studiare la lingua greca da parte dei tedeschi.

Con la morte dello “Splendore del Mondo”, il 13 dicembre 1250 – era ridotto ormai ad un vecchio stanco, roso e tormentato da un cancro allo stomaco, nonostante avesse solo 56 anni – per la terre di Sicilia e di Puglia si spense la luce. Da quel momento in poi, infatti, cadranno nel lungo tunnel delle dominazioni straniere e nel dimenticatoio della storia.


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