Fëdor Dostoevskij
Si, noi facciamo poesie, cantiamo i nostri amori, le nostre angosce, le nostre delusioni, ma spesso personali e passeggere. I grandi dell’arte, della letteratura, della musica, ci hanno invece lasciato pagine stupende e parole pregne d’insegnamenti e profonde considerazioni di carattere universale, come quelle che Fëdor Michajlovič Dostoevskij fa dire al suo personaggio Ivan, che vorrebbe scrivere un poema sul grande inquisitore, l’alto prelato che incontra Gesù ritornato sulla terra e lo trascina in prigione. C’è qui condensata tutta l’angoscia dell’uomo, la sua spasmodica ricerca della Verità e l’incongruenza tra una Chiesa ricca, opulenta, superba ed il messaggio evangelico predicato agli albori del Cristianesimo. Parliamo quindi di Dostoevskij per trarne un insegnamento di vita e un’occasione di meditazione.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij La storia dell’umanità è caratterizzata da processi evolutivi che riguardano il suo soma, la sua psiche, ma soprattutto la sua conoscenza che dai primordi della civiltà fino ad oggi, sembra seguire, per dirla con Hegel, un andamento eliodromico e cioè da oriente verso occidente, come fa il sole durante il suo apparente viaggio quotidiano intorno alla terra. Solo che Hegel vedeva nella Germania del suo tempo il punto d’arrivo della civiltà gnoseologica, mentre noi oggi ci accorgiamo che forse il percorso continuerà fino a riguadagnare i luoghi di partenza : quella Cina e quell’ India che proprio oggi accrescono il loro peso nel mondo da qualsiasi angolazione le si voglia guardare. Questa premessa è necessaria ove si consideri che voglio parlarvi di quel Fëdor Michajlovič Dostoevskij che tanto ci ha affascinato con i suoi innumerevoli romanzi pregni di stimoli e di tensione emotiva. Egli nacque a Mosca nel 1821, quando il periodo illuminista, figlio in un certo senso della rivoluzione francese, aveva esaltato il ruolo della ragione, suscitando entusiasmi tali da sfociare poi in quel positivismo che sancirà il primato della scienza, ritenuta capace di spiegare le origini del mondo e il suo destino. L’entusiasmo per il sapere scientifico crebbe a punto tale che Laplace, a Napoleone, che gli chiedeva come mai non avesse lasciato nessuno spazio a Dio in un suo saggio filosofico, rispose: “Cittadino primo console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi”. Io non mi sognerei mai di contestare chi ricerca la verità anche al di fuori di Dio pur bocciando nel mio intimo l’ateismo proprio come faccio con qualsiasi credo dogmatico, ma ognuno, come diceva Voltaire, deve essere libero di esprimere il proprio parere e di ricercare la verità secondo le proprie inclinazioni e le proprie conoscenze.
Queste ultime aumentano di molto se si attinge, attraverso la lettura, ai grandi pensatori del passato, che illuminano la nostra mente con teorie, le più svariate e a volte contraddittorie, ma sempre costruttive per chi voglia allenare il proprio pensiero alla logica e alla dialettica. La storia della conoscenza non è certo lineare ma procede lentamente, talvolta negando le conquiste appena acquisite, ma apportando sempre nuovi contributi al sapere così come vuole la Scienza, che è per definizione falsificabile e assoggettata alla verifica sperimentale. Così all’entusiasmo positivista si contrapposero quei movimenti filosofici, che troveranno terreno fertile nell’esistenzialismo di Heidegger, nello spiritualismo di Bergosn o nella psicanalisi di Freud, menti inquiete che rivendicheranno la complessità dell’animo umano, che non potrà essere mai imbrigliato in complesse formule chimiche e matematiche, come la Scienza del tempo avrebbe voluto. Dostoevskij è come il precursore di questi grandi pensatori preludendo, con la forza dei suoi romanzi, sia all’esistenzialismo che alla psicanalisi di Freud ed entrando di prepotenza nel novero dei grandi filosofi del suo tempo. Egli visse in Russia, al tempo degli zar, quando l’espressionismo dei Van Gogh, dei Gauguin, dei Munch, o dei Matisse, non era ancora arrivato a scavare nei più reconditi recessi dell’animo umano, eppure i suoi personaggi dimostrano una tensione interiore, una mescolanza di umori, che sfociano nel dramma, nel pathos, regalandoci pagine di sublime bellezza ed eleganza, che nulla hanno da invidiare all’espressività pittorica. Forse tale capacità gli derivavano in parte dalla sua vita inquieta, ricca di episodi tragici e devastanti per la sua psiche. Episodi che egli apparentemente superò, ma che gli valsero un’esacerbazione dei suoi attacchi epilettici cominciati quando il padre, ricco possidente della nobiltà russa, fu assassinato dai suoi stessi contadini, che così punivano la sua tracotanza e la sua eccessiva severità. La stessa severità che gli contestava il nostro romanziere augurandogli quella morte che, quando sopravvenne, gli fece credere di essere stato un parricida latente, motivo per il quale il nostro eroe, anzi la sua psiche, si puniva aumentando la frequenza dei suoi malori. Un altro episodio che lo segnò profondamente, fu la condanna a morte che sia pure commutata proprio all’ultimo momento in un certo numero di anni di reclusione da scontarsi in Siberia, pure gli comportò un trauma psichico dal quale non si sarebbe più liberato.
Dostoevskij 1863 (da Wikipedia)
Troveremo traccia di questi funesti episodi in Delitto e castigo e ne L’idiota mentre nelle Memorie della casa dei morti ci descriverà il degrado cui può arrivare l’umanità nelle estreme condizioni di disagio cui la reclusione lo indusse. Il Giocatore tratteggerà ancora il masochismo di un Dostoevskij proiettato nel protagonista che si abbandona al gioco fino a perdere tutto, anche la propria dignità, mostrando un uomo schiavo dei propri sensi di colpa, quelli che derivano probabilmente da un’interpretazione troppo severa dei principi etici e religiosi. Essa proromperà in modo assai evidente, nel suo massimo capolavoro, I fratelli Karamàzov, l’ultimo impegno della sua vita, che esalterà un bisogno di Dio, che emerge tra dubbi, ripensamenti e continui conflitti tra dogma, ragione, morale e libero arbitrio. Molti autori moderni considerano Dostojevski più un filosofo che uno scrittore, ma credo sia interessante ricordare che Freud invece lo considerava un precursore della psicoanalisi ma anche un nevrotico affetto da bisessualità, complesso edipico e tendenza al masochismo. Freud descrive nel saggio “Dostojevski e il parricidio” il nostro grande scrittore come un essere in perenne conflitto con se stesso, combattuto tra l’obbedienza allo zar e il credo cattolico e con una personalità potenziale criminale, dotata di un’aggressività, che egli dirotta verso se stesso imbrigliandola in un evidente masochismo. Io non so se l’analisi freudiana sia esatta anche perché considero la psicoanalisi una grande conquista, ma non ancora assurta alla dignità di scienza, essendo troppo assoggettata al parere dell’analista, il che la relega ancora nel campo dell’ermeneutica, ma , in questo caso, ci aiuta a conoscere la profonda tensione emotiva che percorreva la mente del grande scrittore russo. Dostojesvki, comunque sia, ci regala pagine di profonda meditazione e certamente raggiunge il culmine della sua maturità, con i fratelli Karamazov e, dentro di essi, in quella meravigliosa pagina del “grande inquisitore” dove si evidenzia la sua magistrale abilità di coinvolgerci nei suoi dubbi e nelle sue angosce.
D’altronde ogni grande artista si esprime anche attraverso il proprio subconscio, dove regna sempre quel pizzico di costruttiva pazzia come dirà Jung, un altro cultore di problematiche esistenziali. Più semplicemente di queste menti eccelse, il grande regista francese François Truffaut era solito definire questo stato creativo con questa pittoresca espressione: “Tutti coloro che scrivono sono un po’ matti. Il punto è rendere interessante questa follia.”