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Felicità, a che prezzo?

Creato il 03 settembre 2012 da Tabulerase

Felicità, a che prezzo?Lo scrittore Carlyle a fine ‘800 scriveva che l’economia è una scienza triste. Da allora, la definizione ha più o meno accompagnato l’immaginario di tutti, non appena si sente parlare di moneta, tasso di interesse, inflazione, tasse o, per usare parole più recenti, debito pubblico e spread.

Forse è arrivato il momento di ridefinire le cose, però. La parola crisi, in greco, non a caso significa scelta.

Tentiamo di affrontare la questione in modo che sia il più possibile semplice, senza paroloni o tecnicismi. Vediamo, insomma, di parlare potabile, come in fin dei conti dovrebbe fare l’economia, almeno nel senso originario della parola utilizzata da Aristotele

 

Felicità, a che prezzo?

La curva che vedete qui sopra fa riferimento a quello che, nella letteratura economica, è noto come paradosso di Easterlin. Un fenomeno viene classificato come paradosso quando la teoria  dominante, all’interno di una disciplina, non riesce a spiegarlo convenientemente.

Richard Easterlin è un economista americano che, nel 1973, pubblicò su una rivista tra le più importanti di economia, l’American Economic Review, un articolo molto interessante. In esso, utilizzando dati relativi a un campione rappresentativo di cittadini americani, mostrava appunto una relazione non particolarmente intuitiva.

Rapportando la felicità al reddito, il ricercatore individuava, infatti, una strana dinamica: al crescere del reddito, come è lecito aspettarsi, la felicità delle persone inizialmente cresce. Passata, però, una certa soglia (un valore critico), la felicità delle persone comincia a ridursi.

Quali le possibili spiegazioni di questo grafico che sembra uno smile triste?

Ai tempi di Easterlin, le reazioni furono diverse: c’era chi contestava la validità della sua analisi empirica, anche se essa è stata replicata negli anni e in contesti diversi, producendo sempre i medesimi risultati.

C’è poi, all’interno del filone dell’economia sperimentale, chi sottolinea come la felicità sia uno stato edonico che le persone sentono in relazione a un punto di riferimento, e non rispetto a un valore assoluto. Se una persona vince al superenalotto, per capirci, sicuramente sarà molto felice nei giorni immediatamente successivi alla vincita. È tuttavia probabile che, nel corso del tempo, quella stessa persona tenderà ad adattarsi alla nuova condizione, e a valutare la propria felicità in relazione al nuovo reference point.

La spiegazione che mi convince di più, però, è quella che tiene conto dell’importanza delle relazioni nella vita di una persona. È possibile, cioè, che per guadagnare più soldi una persona lavori più ore. Arriva, tuttavia, un limite, oltrepassato il quale un’ora di straordinario finisce col togliere tempo da dedicare alla qualità della vita, che si tratti di relazioni amicali, sentimentali o delle ore da passare con i propri figli. A quel punto, è possibile che una persona diventi infelice.

Facciamo ancora una volta un esempio: immaginate un piccolo villaggio sulla costa calabrese. È un paesino con la spiaggia libera e dove le persone vivono prevalentemente di pesca, agricoltura e piccolo artigianato. Un giorno, in questo villaggio, arriva una grossa industria che, sicuramente, ha dei benefici effetti: offre lavoro e, di conseguenza, soldi agli abitanti, che iniziano una vita da operai.

Siamo nel tratto crescente della curva individuata da Easterlin.

Col passare del tempo, si manifestano vari effetti indesiderati: l’industria scarica in mare materie inquinanti, che rendono la spiaggia non balneabile. Gli operai, inoltre, hanno meno tempo libero di prima e, con gli straordinari, possono guadagnare i soldi necessari o ad acquistare l’auto (con cui recarsi nel primo paesino con spiaggia libera disponibile) o a pagare la piscina privata costruita da un imprenditore locale (il mercato, infatti, tende sempre a sostituire un bene, come la spiaggia libera, con un suo surrogato vendibile attraverso un prezzo). Le auto intasano la statale litoranea, le spiagge libere tendono a congestionarsi e quelle private sono sempre più care ed esclusive. È possibile che la felicità delle persone, lungo la costa, si riduca sempre di più.

Ora, se questa analisi contiene qualche spunto di riflessione interessante, non è forse ora di avviare un intenso lavoro politico, teso a costruire nuovi indicatori di benessere o una nuova contabilità che, appunto, tenga conto della felicità e di dimensioni non monetarie per valutare il benessere delle persone?

Siccome il lupo perde il PIL ma non il vizio, però, tutti i giorni leggiamo sui giornali solo dichiarazioni legate all’imperativo della crescita o alla minaccia dei mercati finanziari. Le parole di un grande saggio italiano siano di monito:

È ragionevole che ogni famiglia, anche modesta, aspiri al possesso della radio, che la tiene in contatto con il mondo, che consente audizioni musicali elevatrici, con minimo costo e senza danno per l’adempimento dei doveri familiari. Ma la radio fu altresì il frutto della rabbia sentita del demonio che è in noi contro lo spirito di critica il quale conduce gli uomini a ribellarsi contro la ripetizione, contro l’ordinario, contro ciò che tutti dicono e pensano; e in quel giorno l’uomo-demonio inventò questo che può diventare strumento perfettissimo di imbecillimento dell’umanità quando cada in mano a chi se ne serva a scopo di propaganda. Propaganda orale e vocale, insinuante, quotidiana, mille volte più efficace della propaganda scritta e stampata… Il passaggio dalla radio che allieta ed istruisce e fa dimenticare i dolori, alla radio che è causa di imbecillimento dell’umanità è graduale. Chi sa premunirsi dall’andare oltre il punto critico nell’uso della radio?

Si parlava, ai tempi, dell’uso propagandistico di un mezzo di comunicazione, ma il ragionamento è altrettanto valido nella società dei consumi omologati.

La domanda è: se riconosciamo che il denaro non può essere tutto e che il lavoro debba avere dimensione umana e positiva, fondante la vita delle persone come la stessa Costituzione Italiana dice all’articolo, siamo pronti ad assumerci la responsabilità di essere felici?


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