Magazine Cinema
di Shunya Ito alla sua prima regia
Uh che film pazzo.
Si ispira a un manga di Toru Shinoara e si può far rientrare nel genere "women in prison" (in inglese fa più effetto), un sottogenere dell'exploitation ambientato nelle carceri femminili, dove le prigioniere vengono sottoposte ad ogni tipo di abusi e torture.
Qualcuno lo inserisce anche nel genere tutto giapponese dei Pink Film, pellicole softcore molto popolari negli anni '60 e '70. In effetti le nudità abbondano, e ci sono un paio di scene di sesso non troppo esplicite.
Ebbe un discreto successo e furono prodotti quattro seguiti, tutti interpretati da Meiko Kaji divenuta celebre nel ruolo di Nami Matsushima.
"Matsu" è la settecentunesima prigioniera di un carcere femminile giapponese. Il suo crimine è aver tentato di uccidere il suo amante Sugimi, dopo che lui l'ha usata per guadagnare la fiducia della Yakuza. Violentata da un gruppo di criminali, tradita dall'uomo che amava e infine incarcerata, diventa la vittima preferita delle guardie e delle perfide compagne, mentre Sugimi da fuori sfrutta le sue nuove amicizie per farla eliminare definitivamente.
L'idea è proprio elementare e il film è all'insegna dell'esagerazione. Per tutta la durata le prigioniere subiscono ogni forma di improbabili torture: vengono costrette a camminare nude su un ponteggio sotto gli occhi famelici delle guardie, vengono incaprettate e costrette a mangiare il cibo da terra, subiscono le angherie delle compagne di cella e gli abusi sessuali dei secondini... insomma, ogni occasione è buona per far saltare fuori qualche seno nudo.
I presupposti non potrebbero essere peggiori, e invece il film è divertente e ha un ottimo ritmo. Le scene di violenza, per quanto ingenue, sono sempre ben contestualizzate e contribuiscono a tratteggiare meglio il personaggio di Matsu, una donna glaciale tenuta in vita dall'odio e dal desiderio di una vendetta da servire rigorosamente fredda, una vendetta che Matsu attende passivamente e che lo spettatore pregusta per tutto il tempo, fino a quando finalmente non si presenta la buona occasione. Il finale non è esplosivo come mi sarei aspettato, ma lascia soddisfatti.
Anche la realizzazione tecnica non è malvagia, certo, ci sono le classiche zoomate violente sui volti carichi di rabbia, oppure gli schiaffoni con un brutto effetto sonoro e il taglio al momento sbagliato, però il risultato è piacevolmente kitsch e ci sono anche un paio di belle scene surreali in cui i volti dei personaggi acuistano i tratti delle maschere teatrali e il cielo si tinge di colori accesi.
L'interpretazione di Meiko Kaji è in linea con il film, praticamente si limita a lanciare sguardi in cagnesco al malcapitato di turno, ma lo fa così bene che è diventata famosa per questo. Per me è meglio come cantante.
Se si è disposti a tollerare le esagerazioni e i personaggi fortemente sopra le righe, si rimarrà certamente soddisfatti.
Il personaggio di Matsu ha sicuramente influenzato quello di Uma Thurman in Kill Bill.
Tarantino ha anche omaggiato il film inserendo nella colonna sonora il brano Urami-Bushi cantato da Meiko Kaji, che è il tema principale di Female Prisoner 701.
Bellissima:
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