Il movimento di protesta che prende il nome di “Фемен” (Femen) è stato fondato nel 2008 da Anna Hutsol a Kiev. Perché proprio in Ucraina? Perché questa corrente femminista si ripropone in primo luogo di denunciare il fenomeno del turismo sessuale nei paesi dell’Est Europa, anche se, nel corso di questi cinque anni, le cause delle manifestazioni si sono moltiplicate: in pratica si sono estese a tutti gli ambiti in cui il corpo della donna viene strumentalizzato o questa viene considerata “sottoposta” all’uomo, come nel caso della cultura islamica e dell’obbligo di indossare il velo. In quanto a religione, non è solo contro l’Islam che protestano, ma anche contro il Papa. Oggetto del dibattito, oltre al ruolo della donna (o a come viene vista) nella religione cattolica, è anche l’omosessualità. A tutti questi campi di azione si aggiungono quello delle passerelle di alta moda che vedono sfilare ragazze sull’orlo dell’anoressia, quello più legato alla politica (anche italiana) con proteste contro Berlusconi che, come tutti sappiamo, è invischiato in scandali tra i quali molti sono di natura sessuale (anche con minorenni), oppure contro i movimenti neo-nazisti e fascisti o, ancora, contro i tagli alla spesa pubblica (vedi Olanda).
Difficile riassumere, quindi, gli ideali o, meglio, le prerogative di un movimento tanto caotico e “ramificato”.
Molto più facile descrivere la forma di protesta adottata dalle attiviste “Femen”: sono tutte ragazze giovanissime (mediamente tra i 18 e i 20 anni) che compaiono in pubblico a seno scoperto, con scritte provocatorie e/o aggressive sulla pelle, spesso avvalendosi di manifesti e striscioni, le braccia immancabilmente tese verso l’alto, non di rado una corona di fiori sulla testa o al collo, scatenando così le reazioni più disparate, caratterizzate principalmente da stupore e (credo) disprezzo.
Simile a una legge del contrappasso, queste giovani femministe rivendicano la libertà del proprio corpo mostrandolo libero e liberamente, nel senso più letterale del termine.
Per questo motivo c’è chi le accusa, tra le altre cose, di esibizionismo. Ma di fatto questo loro non lo negano e considerano, anzi, questa ostentata forma di esibizione sotto una luce positiva in quanto genera scalpore e obbliga la persone a prestare attenzione a quello che fanno.
Quello che fanno, e “come lo fanno”, è davvero calcolato fino all’inverosimile e questo è testimoniato anche da una fotoreporter ucraina che si è infiltrata nel gruppo francese di “Femen” e che è stata sottoposta a un duro addestramento. In poche parole le veniva insegnato dalle “veterane” del movimento anche di quanto alzare le braccia o piegare le gambe, o quanto sporgere in avanti il proprio seno, o alzare la voce, a come denudarsi o anche dimenarsi una volta caduta fra le mani di un poliziotto o guardia et similaria. Il tutto mirato a trasmettere nel migliore dei modi un’idea di aggressività, indignazione e rabbia, connotazioni nelle quali si dovrebbero riconoscere tutte le attiviste poiché (come si può leggere anche sul loro sito ufficiale www.femen.org) loro stesse si definiscono “soldati” (o “soldatesse?”).
Per chiudere la parentesi delle accuse rivolte alle FEMEN, è opportuno riportare quelle più “popolari”, ovvero: perché quasi tutte le attiviste sono belle ragazze dalla linea impeccabile? Poi c’è chi dice che il movimento è islamofobo, che dietro ad esso si celano i nomi più potenti del jet set europeo, che è un’operazione commerciale e che addirittura nascondono armi.
Come per la maggior parte di ogni cosa che ci circonda e che fa parte della realtà dell’uomo (vicende politiche, accordi internazionali, patti, organizzazioni, associazioni, conflitti fino ad arrivare alla realtà del partito locale o di un’impresa qualunque) la corruzione potrebbe trovarsi ovunque, ipoteticamente. Non c’è dunque da stupirsi se anche questo movimento di protesta al femminile sia coinvolto, o presunto tale, in “impicci” che hanno dell’ombroso.
Dopo aver riassunto in modo imparziale, anche se a grandi linee, la realtà di FEMEN, non mi sento “politicamente scorretta” ad esprimere un mio modesto parere personale che, in quanto preavvisato, può anche venire ignorato dai futuri lettori di questo articolo senza che io me ne offenda.
Sebbene sotto alcuni aspetti appaia effettivamente ambiguo e forse troppo radicale, non riesco a non provare una sorta di ammirazione nei confronti di questo movimento o addirittura potrei chiamarla “sorellanza”. Credo fermamente in tutti i principi che lo animano, pur restando sull’attenti per quanto riguarda i molteplici “lati oscuri” sopra citati. In primo piano come persona, e in secondo come donna, provo indignazione e disgusto verso pratiche quali il turismo sessuale che spesso si trasforma in turismo PEDO-sessuale, rabbia verso un sistema ancora basato su schemi, nella maggior parte dei casi, sessisti, che escludono le donne a priori o che sono strutturati in modo tale da rendere talmente arduo il percorso che, alla fine, ci si arrende. Ma anche verso tutti quei film o quegli spot televisivi, tanto popolari nel nostro paese, in cui una donna è da prendere in considerazione solo se stereotipo di erotismo volgare mentre se, nella realtà di tutti i giorni, si indossa qualcosa di appena più “provocatorio” ci si deve sentire oggetto di battute oscene. Perché, anche adesso, nello scrivere tutto questo così apertamente, devo reprimere una sorta di forma di imbarazzo o inadeguatezza? E senza aderire ad alcun movimento, senza appiccicarmi addosso un nome e un logo, trovo fondamentale difendere questo mio punto di vista ogni giorno e in ogni situazione valida che si presenti. Perché spero in un futuro in cui per una donna sia possibile mostrarsi nuda senza essere vista esclusivamente come un oggetto erotico.
Elena Corradi