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Femen: la protesta in topless

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

La lotta per i diritti delle donne oramai coinvolge tutto il mondo. Sono tante le donne che manifestano nel web  (chiamiamole “piazze virtuali”) e nelle piazze cittadine, per rivendicare i propri diritti ad ogni minaccia sociale che tenta in ogni modo di cancellarli.

L’Ucraina è una di queste società. A tratti può sembrare l’Italia, alcune volte può sembrare un Paese più difficile perchè le donne hanno meno credibilità e meno  peso sociale. E’ proprio qui che un gruppo di giovani donne fonda l’associazione “Femen” nata per lottare contro la piaga del turismo sessuale e della prostituzione molto diffusa nel Paese e che coinvolge altrettante giovani donne che di fronte a scarse opportunità sociali decidono di vendere il proprio corpo.

E’ qui che certi uomini (sopratutto italiani), approfittano di questa condizione per usare ancora una volta (e anche di più) il corpo delle donne come un mero oggetto di consumo. Le Femen non ci stanno e da qui la ragione della loro protesta che avviene in modo particolare: protestando in topless.

Le attiviste hanno spiegato le ragioni del desabillèe un po’ hippie, spiegando che nel loro Paese le donne non avrebbero altrimenti voce, ragion per cui il seno nudo può essere utilizzato non solo come simbolo di libertà sessuale, ma anche come mezzo per “provocare” facendo scalpore, sopratutto in una società che vive di doppia morale.

Pochi giorni fa le attiviste Femen sono sbarcate a Roma per protestare contro Berlusconi e il Vaticano, due “elementi” che sono causa della posizione subordinata delle donne in Italia. Le attiviste non hanno fatto in tempo a spogliarsi che sono state strattonate dalla polizia (compiendo a loro volta una violenza sulla donna, fatta di codici etici creati dagli uomini per gli uomini), e soltanto in Italia vengono denunciate per violazione della pubblica decenza. Eppure da alcune foto non sfugge la doppia morale dei poliziotti: “sbavano” e arrestano, arrestano e di nuovo “sbavano”, c’è chi addirittura pare si fosse messo in posa con una di loro e un altro adirittura strappa di mano dalla manifestante uno striscione su cui scritto “Freedom for women”, infastidito dal fatto che una di loro chiedesse libertà per le donne. Da questo episodio cogliamo l’occasione per dire la nostra.

Mary : Personalmente non ci vedo nulla di male se questo movimento ha scelto di manifestare in topless per far sentire la propria voce. La nudità può veicolare messaggi diversi dipende dal contesto in cui la si impiega. Tuttavia, non capisco perché quei corpi femminili appaiano sempre giovani e belli e perché il movimento non ha puntato su corpi femminili tutti diversi, e perché no anche “brutti”, visto che in Italia (soprattutto) è molto diffuso il  pregiudizio della bellezza femminile e molto spesso, le donne, passano spesso per le forche caudine soprattutto per un aspetto estetico poco curato. Sono  convinta che vedere anche donne semi-nude non belle avrebbe dato più senso alla protesta e il messaggio sarebbe stato questo “questi sono i nostri veri  corpi, noi siamo libere dalle vostre gabbie sociali e la vostra percezione sui nostri corpi”, sarebbe come dire “prendiamoci i nostri corpi”. Le  manifestanti dello “slut walk” erano belle e brutte e tutte insieme si riprendevano il simbolo della minigonna, riportandolo all’origine: un indumento femminista  nato per protestare contro una società che divide le donne in sante e puttane, tempi ancora tristemente in voga. Comunque, resta il fatto che se uno vede solo le tette sfuggendogli il senso della protesta, come hanno fatto i poliziotti che le hanno fermate e denunciate per “atti osceni in luogo pubblico” allora il  problema è loro e non delle Femen. Il fatto che ciò è accaduto in un Paese dove il corpo femminile viene esposto senza pudore per vendere ogni cosa (con una marea di sostenitori, pronti a chiamarti “bigotta” quando critichi questa continua mercificazione delle donne) allora siamo di fronte ad una libertà apparente della sessualità femminile. Viviamo in un paese pieno di estimatori del corpo femminile nudo e sexy, che protestano perfino contro chi li ha privati delle Veline in tanga a Striscia la Notizia e due ragazze vengono arrestate per aver ostentato due tette. Io credo che bisogna fare una rivoluzione, l’ipocrisia italiana è vergognosa. Eppure gli uomini spesso d’estate girano indisturbati a torso nudo nelle strade come nei cantieri edili, non vedo perchè due seni femminili debbano ancora turbare la pubblica decenza, forse perché “esposti”nell’ambito di una protesta femminile, peggio ancora femminista, nelle vicinanze del Vaticano? Sono certa che se si fosse trattato della manifestazione di “Miss Maglietta Bagnata” o peggio ancora di uno spettacolo di lap dance in qualche noto localino romano, a tutti sarebbe andato bene, eppure abbiamo faticato tanto per conquistare il diritto del topless almeno nelle spiagge, per il resto pare che la nudità femminile sia concessa  solo in alcuni ambiti, riservata al compiacimento del sesso maschile spesso a scopo commerciale, ma anche privato. Ecco perché nonostante tutto, io sto con le Femen.

Fabiana: Penso che in generale l’uso del corpo femminile sia sbagliato, che sia per pubblicità o per prostituzione non cambia. La prostituzione volontaria è un discorso (credo fortemente nella libertà di ogni individuo e quindi nella volontà di fare ciò che meglio crede della propria vita e del proprio corpo) e lo sfruttamento della prostituzione è un altro discorso assai più dannoso e assai più complesso! Una protesta come quella delle “Femen” sarebbe stata più efficace negli anni’70 quando le lotte femministe si basavano anche sulla liberazione dei corpi. Oggi come oggi i corpi si sono liberati; in APPARENZA. In realtà la continua nudità femminile di cui siamo bombardati 24h su 24 non è una vera libertà ma più che altro compiacimento maschile e -appunto- uso e utilizzo del corpo delle donne per qualsiasi genere di cosa : dalla pubblicità alla propaganda politica! Quindi una protesta come questa in Italia forse sarebbe necessaria ,ma sarebbe necessaria anche con donne più adulte e meno in forma di quelle viste nelle foto, e forse no perchè assolutamente veicolata e non capita dalla mentalità tipica italiana! Come spesso abbiamo detto in questo blog il nostro Paese potremmo benissimo definirlo il “Paese del burqa nudista” : spoglia le donne per farle credere libere ma in realtà è solo per altri fini (compiacimento maschile e utilizzo vario). Se invece la nudità nasce dalla spontanea volontà di una donna, le varie etichette troia o puttana sono assicurate! Infatti potremmo fare un velocissimo esempio per capire questo concetto: ai sexy car wash ci sono ragazze mezze nude con vestiti bagnati che inscenano mosse abbastanza erotiche ma nessuno mai si sognerebbe di denunciarle per atti osceni o atti indecorosi in luoghi pubblici (e spesso con moltissimi minori ad osservare lo spettacolo) invece le “Femen”sono state prima trascinate in caserma dai poliziotti e poi si saranno beccate certamente una bella denuncia. Come mai tutto ciò? Forse le “Femen” hanno ragione ad aver ideato una protesta simile!? A questa domanda forse, nessuno sa rispondere con certezza, ma una cosa invece è certa: il nostro paese socialmente è paragonabile ai paesi sottosviluppati quindi ogni manifestazione o protesta SERVE, qualsiasi cosa preveda.

Giulia: Le tre ragazze di Femen hanno protestato una settimana fa anche a Parigi; travestite da cameriere sexy in guepiere e calze a rete hanno ripulito dalla merda (così hanno dichiarato) il portone di casa di Dominique Strauss Kahn nel cuore della città, a Place des Voges. Quel Strauss Kahn accusato di stupro e tentativo di stupro che non è stato considerato colpevole per assenza di prove, in un caso, e per prescrizione di reato, nell’ altro. Le ragazze ucraine, pur essendosi denudate anche qui,  non sono state denunciate. I giornali che hanno riportato le foto di questa dimostrazione di dissenso ne hanno spiegato il senso a partire dal titolo, pur approfittando dell’occasione per mettere una galleria di foto di ostentate nudità; ma hanno anche scritto che si trattava di una messa in scena dall’intento politico attuata da attiviste femministe. Rispetto all’accaduto in Italia, anzi, nel territorio del Vaticano, penso che la differenza stia nel contesto. L’Italia è la patria dei moralismi, dove la nudità desta scalpore e poi il corpo nudo di una donna è però visibile ovunque, strumentalizzato e mercificato, conteso, maltrattato,  discusso fino all’esasperazione. Il video che mostra come l’attivista sia stata fermata dalla polizia  rischia di far ridere. In 20 a circondarla per far sì che il suo corpo non destasse scalpore o imbarazzo? E pensare che le chiese, gli affreschi, i dipinti, le pale d’altare, sono piene di corpi nudi….alcuni grondano sangue, altri sono eterei. Cosa c’è di vergognoso in un corpo che vuole farsi portatore di un messaggio? Quale la differenza fra queste carni egualmente esposte?La denuncia è ridicola e inspiegabile. Si trattava semplicemente di un gesto di protesta da valutare nel suo intento e nella sua voluta teatralità, senza ipocrisie. Anche io, in questo momento politico in cui si parla e si mostra maniacalmente il corpo delle donne, preferirei pensare ad un altro modo di manifestare contro lo strapotere e l’invadenza della Chiesa sulla gestione dei  nostri corpi  o contro il sessismo di una società incattivita e incolta. Ma resto comunque assolutamente favorevole all’uso del corpo per attuare pratiche di attivismo politico che ci permettano di riappropriarcene e di difenderlo. Le nostre azioni verranno sempre strumentalizzate o raccontate in modo distorto, ma questo non deve limitare la nostra volontà di far sentire la nostra voce. A ciascun* di noi la libertà di scegliere il come!

Giovanna: Ammiro il loro coraggio del movimento “Femen” ma nel momento in cui si usa proprio il corpo femminile per protestare contro l’uso e l’abuso del corpo della donna, secondo me ci si mette sullo stesso piano di quelli contro cui si sta combattendo e si rischia comunque la
strumentalizzazione
. Inoltre si conferma che l’unico metodo efficace che una donna può utilizzare per farsi notare, nel “male” così come nel ”bene”, è
sempre quello di spogliarsi e usare il proprio corpo. Vorrei invece una rivoluzione culturale che non strumentalizzasse il corpo della donna ma  riuscisse nell’ intento con strategie veramente nuove!

Ecco il video:

Voi che ne pensate?

Mary



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COMMENTI (1)

Da Flavio Zabini
Inviato il 18 novembre a 16:39
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DSK, in quanto incarcerato e dimissionato ingiustamente, è vittima del femminismo. E si è pure scusato. Se ha sbagliato ha sbagliato a scusarsi. Scusarsi dovrebbero i magistrati a stelle e strisce, che hanno mandato in galera innanzitutto un cittadino innocente sino a prova contraria ancora prima di aver verificato l'effettiva gravità e soprattutto realtà degli episodi contestati in un regolare processo (possibilmente con qualcosa di più della semplice parola dell'accusa presa per vera a priori, anche senza alcuna prova concreta, solo perchè credibile in abstracto, e perchè altrimenti, se si chiedesse alla donna di portare riscontri puntuali, oggettivi e dimostrabili, se non si lasciasse all'accusato l'onere di discolparsi, se non si usasse ogni di lui tentativo di contestare o mettere in dubbio le accuse come ulteriore delitto e ulteriore prova di colpevolezza, femministe e cavalieri griderebbero alla "mancanza di rispetto per la donna" ed alla "seconda violenza", in maniera simile a quanto gli inquisitori facevano sdegnati, gridando al "crimine contro dio", verso streghe ed eretici, la gravità delle accuse verso i quali fungeva sempre da dimostrazione della colpa) e lo hanno liberato solo dopo che, per caso o fortuna, le accuse si sono rivelate palesemente infondate (mentre in uno stato di diritto non sarebbe necessario provare la propria innocenza per essere scagionati, gravando l'onere della prova oggettiva e indubitabile sull'accusa). Scusarsi dovrebbero gli pseudointellettuali d'oltreoceano i quali (con l'appoggio delle psico-intellettuali femminil-femministe d'europa) hanno voluto mettere la figura di dsk alla gogna mediatica, culturale ed oserei dire filosofica facendone l'esempio negativo (da associare addirittura allo stupratore per antonomasia di fanciulle povere e indifese) di un modello di vivere e pensare giudicato moralmente indegno e culturalmente inferiore rispetto al puritanesimo femminista (lo stesso che, incoerentemente, concede alla donna, nei comportamenti in un modo o l’altro legati alla sessualità la illimitata licenza nell’esprimere la propria natura (nel poter suscitar disio, attirare e mostrarsi) e impone all'uomo l'obbligo (nel disiare, seguire e mirare), a reprimere, limitare, nascondere la sua natura corrispondente, considera diritti inalienabile della donna mostrarsi in ogni dove bella e disiabile (consciamente, per capriccio, moda, vanità o gratuito sfoggio di preminenza erotica, o inconsciamente, dietro paraventi come "esprimere me stessa", "vestirmi come mi pare", "valorizzare la femminilità"), senza limiti nè regole nè remore (come in natura farebbe chi vuole indurre quanti più maschi possibile a farsi avanti per poi metterli alla prova e selezionare fra tutti chi eccelle nelle doti volute, anche quando non ha intenzione di conoscere uomo alcuno, perchè è appunto non la mente, ma l'istinto a volerlo), sfoggiare liberamente (per vanità, capriccio, moda, autostima, accrescimento di valore economico-sentimentale, o gratuito sfoggio di preminenza erotica) le sue grazie, nel modo che vuole, sotto (o senza) i vestiti che vuole e per il tempo che vuole, “tenere le cosce di fuori” passando sulla pubblica via, passeggiarmi innanzi (per via o, peggio, sul lavoro) mostrando liberamente le sue fattezze e suscitando consapevolmente o meno disio, e imprescindibili doveri dell'uomo non altrettanto liberamente guardare quanto (da lei) mostrato (secondo natura), non altretanto liberamente mirare, seguire e disiare e cercare di ottenere come sarebbe in natura, o (se da umani non si ha alcuna voglia di corteggiare), semplicemente esprimere con lo sguardo, la parola e il gesto il proprio naturale apprezzamento o commentare quanto il disio fa venire alla mente, non altrettanto liberamente abbandonarsi all'espressione sincera e immediata, più o meno vagamente poetica o più o meno direttamente prosaica, più meno raffinatamente letteraria o più o meno schiettamente popolana, più o meno implicitamente versificata o più o meno esplicitamente esclamata, più o meno rarefattamente nobile o più o meno robustamente volgare (ove volgare non significa offensivo ma semplicemente proprio del volgo), ma comunque pacifica e priva di venature offensive o minacciose e comunque considerata "indegna" (mentre degna resta l'espressione libera del corrispettivo e parimenti naturale e legittimo istinto della donna ad apparire in ogni modo tempo e luogo bella e disiata), evitare, nel medesimo luogo, di rivolgere ad esse lo sguardo e il disio (da lei per prima oggettivamente suscitato con il fatto stesso di mostrare pubblicamente quelle fattezze che, in conseguenza non della mia volontà, ma delle disparità di desideri volute dalla natura, hanno valenza sessuale), offende la ragione e la natura facendo corrispondere al loro diritto a suscitare disio il nostro dovere di reprimerlo, al loro mostrarsi il nostro non guardare (troppo), al loro esprimere liberamente il naturale istinto di sentirsi belle e disiate il nostro non poter mirare (disianti), seguire (con lo sguardo e l’azione) e cercare di ottenere (come sarebbe in natura) la bellezza, esprimendone il disio in maniera gioiosa, spontanea e per nulla ostile o violenta, al loro esagerare a piacere nel diffondere disio, nell’illudere e persino nell’irridere, nell’umiliare e nel far patire nel corpo e nella psiche il nostro obbligo assoluto a non uscire di un millimetro da limiti stabiliti peraltro non in maniera chiara ed oggettiva a propri, ma, a posteriori, in maniera vaga, soggettiva e dipendente dal vostro solo capriccio, e considerando quanto provoca il minimo e presunto ferimento alla loro soggettiva sensibilità come punendo da leggi e costumi nella maniera più vasta e dolorosa possibile mentre quanto in maniera ben più profonda ferisce la nostra diversa e non già inesistente psiche viene considerato inesistente o irrilevante come gravità, normalità da sopportare da parte nostra, diritto della donna o addirittura bello di essere donna, che addirittura afferma la libertà di "fare la stronza", ovvero (come ormai divenuto costume nei luoghi di divertimento come in quelli di lavoro, negli incontri brevi e occasionali per via o in discoteca come in quelli più lunghi e sentimentali), ovvero trattare con sufficienza o aperto disprezzo chiunque tenti un qualsiasi avvicinamento erotico-sentimentale, mostrare pubblicamente, per capriccio, vanità , aumento del proprio valore economico sentimentale o gratuito sfoggio di preminenza, le proprie grazie solo per attirare, ingannare e sollevare nel sogno chi poi si vuole far cadere con il massimo del fragore, della sofferenza e del ridicolo, diffondere disio agli astanti e attrarre a sè (o addirittura indurre ad arte a farsi avanti e a tentare un approccio) sconosciuti che non si è interessate a conoscere ma solo a ingannare, far sentire nullità e frustrare sessualmente, dilettarsi, con (s)vestimenti, movenze, sguardi espliciti e atteggiamenti impliciti, silenzi eloquenti e parole ambigue, a suscitare ad arte disio per compiacersi della sua negazione (e di come questa, resa massimamente beffarda, umiliante e dolorosa per il corpo e la psiche da una raffinata, intenzionale e premeditata perfidia, possa far patire le pene infernali della negazione a chi è stato dapprima illuso dal paradiso della concessione), attirare chi si vuole solo respingere, illudere chi si vuole solo deludere, fingere di apprezzare chi si vuole solo disprezzare, attrarre intenzionalmente, scegliere fra tanti e invitare all’approccio chi si vuole poi trattare come uno qualunque, un uomo senza qualità, un banale scocciatore, chi poi si vuole far sentire un puro nulla davanti a sè e agli altri, chi si vuole poi chiamare “molesto” quando, in maniera magari maldestra, comunque sincera, cerca di carpire i favori, attirare e respingere con l’intenzione di infliggere continuamente tensione psicologica, ferimento intimo, senso di nullità , irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, inappagamento fisico e mentale degenerante se ripetuto in ossessione e disagio scivolante da sessuale ad esistenziale (con rischio, per il giovane maschio, di non riuscire più a sorridere nel sesso e di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita), usare insomma sugli l’arma della bellezza in maniera per certi versi ancora più malvagia di quanto certi bruti usino sulle donne quella fisica) ] e alla demagogia, imperante negli usa, volta a far sentire in colpa gli uomini “per natura”, in ogni momento della loro vita quotidiana, a prescindere dalle effettive azioni e idee dei singoli (nemmeno la propaganda di Gobbels era riuscita a far sentire in colpa gli “indesiderati” in maniera così capillare, a ricordar loro la loro “inadeguatezza” in ogn momento e in ogni intimità), ogniqualvolta desiderano, ogniqualvolta mirano, ogniqualvolta provano ingenuo trasporto per la bellezza non appena questa si manifesta ai sensi nelle lunghe chiome, del claro viso, nello slancio della figura, nelle membra statuarie, nelle forme rotonde dei seni, nella piattezza del ventre, nelle perfette e (a volte) lunghissime gambe modellate, nella pelle liscia ed abbronzata e nell'altre grazie che, come direbbe Dante, “è bello tacere” e a presentare non solo come peccato, ma pure come colpa, difetto e addirittura delitto qualunque tentativo di approccio o di (anche quando non ha nulla in sè di violento o molesto, ma ha la sola colpa di esprimere, con la naturalità di un fiore che sboccia, di un usignuolo che canta, di una primavere che giunge, di una cascata che irrompe, di una fiera che segue la femmina nei boschi o del riflesso, sull'onda lucente del mare notturno, di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna, il sincero e profondo e subitaneo trasporto dell'uomo verso il corpo della donna, e di non essere da questa a posteriori soggettivamente gradito, dopo che magari la stessa, con sguardi, movenze, vestimenti e ammiccamenti, parole taciute o gesti eloquenti, l'ha implicitamente indotta o addirittura socialmente pretesa, come nel caso del corteggiamento), massimamente il disiare, seguire e godere la bellezza nella vastità multiforme delle creature femminine (come se i desideri di natura potessero variare per contratto sociale o decisione ed educazione dei singoli!), quando si tratta semplicemente di desideri naturali (poligami) il cui inappagamento di fatto impedirebbe ad ogni uomo di vivere libero e felice nella sfera sessuale (e da lì in tutto), ma il cui appagamento de iure mostrerebbe quanto l'ideologia pseudoegalitaria politicamente corretta in senso femminil-femminista sia inconciliabile con la realtà (in quanto stabilita a partire da dogmi astratti la cui applicazione concreta è contraria ad ogni natura, ad ognir agione, ad ogni etica, ad ogni logica, ad ogni diritto, e ad ogni buon senso). Scusarsi debbono le cagne femministe, le quali hanno abbaiato al "maschio violentatore" sulla sola parola di una donna, senza curarsi non solo e non tanto se questa fosse una prostita o una santa (tutte hanno gli stessi diritti), ma anche e soprattutto, pretendendo di mandare in galera l'accusato anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta violenza, di vederlo condannato a pene da omicida (per un presunto crimine la cui presunta gravità manco è stata tale da lasciar segni sul corpo e la psiche della presunta vittima abbastanza segni da permettere di stabilirne la realtà con riscontri scientifici e da impedire alla presunta vittima di pensare al proprio tornaconto personale) e di considerarlo colpevole del massimo dei crimini immaginabili contro le donne lasciando ad una di queste il "diritto" a definire a posteriori e secondo i propri soggettivi, inconoscibili e mutevoli parametri il confine fra lecito e illecito, in spregio ad ogni principio di presunzione di innocenza, proporzionalità della pena ed oggettività del diritto.

Stupidità cavalleresca e demagogia femminista hanno seccato gli occhi di ogni mente, di ogni anima. Qualcuno è andato in galera sulla sola parola dell'accusa (presa per vera solo perchè credibile in abstracto, anche se non confermata da nulla di concreto), è stato trattato giudiziamente e mediaticamente da stupratore anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta violenza, è stato rilasciato solo dopo che si sono trovati prove della sua innocenza (le menzogne aperte dell'accusatrice) e lo scandalo mondiale risiede le fatto che lui andasse a puttane o comunque mirasse, seguisse e cercasse di ottenere la bellezza nella vastità multiforme di creature femminine? Ma siete scemi o bastardi?

Servi delle femmine! Abbacinati del femminismo! Lo scandalo è che chi non ha la fortuna o il denaro per trovare prove della propria innocenza in una situazione simile finirebbe condannato a pene da omicida per fatti di gravità e soprattutto realtà dimostrate solo dalla parola dell'accusa! Ecco dove si sono spinte stupidità cavalleresca e demagogia femminista. Basta che una cameriera, per patologico bisogno di sentirsi vittima o per calcolata volontà di risarcimento, per rancore personale verso uno o tutti gli uomini o per semplice autosuggestione ossessiva, esca urlando dalla camera di un cliente per sbattere questo in galera anche prima e anche senza riscontri oggettivi e testimonianze terze della presunta violenza. E non piango per Strauss-Kahn, ricco e potente e quindi capace, con gli avvocati e la fama, di difendersi, ma per gli uomini normali cui potrebbe capitare la stessa cosa, i quali non avrebbero la fama e le ricchezze per evitare la distruzione economica, psicologica, giudiziaria e pure fisica (se si considera il codice barbarico deic arcerati e le condizioni delle prigioni a stelle e striscie) della propria vita.

P.S. Essere ossessionati dal sesso non è un delitto. E nemmeno disiare, seguire e cercare di godere della bellezza nella vastità delle forme femminine non appena questa si mostra ai sensi nelle lunghe chiome, nel claro viso, nelle labbra angeliche, nella linea slanciata, nella pelle liscia ed indorata come sabbia dall'onde, nelle braccia modellate, nelle forme dei fianchi scolpite come da un divino artefice, nell'aspetto soave come di pesca intatta, nelle bellezze d'un giovane corpo di dea, nella figura statuaria, nelle rotondità del petto, nelle lunghissime gambe abbronzate, nel ventre piatto e levigato e nell'altre grazie ch'è bello tacere è ossessione. E' natura. Ossessione è la morale che la danna e la condanna, il femminismo che la presenta come colpa, mancanza, ineleganza o addirittura oppressione.

Se sulla questione DSK cade la maschera sulle stupratrici del diritto, su quella della prostituzione (e sul vostro giustificare l'uso del nudo per ottenere attenzione e alla fine pure ragione) si smaschera la natura tirannica. Ecco a cosa si riduce la vostra lungimiranza: la solita incoerenza femminil-femminista. Se riconoscete come una debolezza il bisogno maschile di godere della bellezza attraverso le grazie corporali delle donne come fate a non riconoscere la posizione di superiore (o comunque paritaria) forza contrattuale delle "sacerdotesse di Venere" (le quali, esattamente come loro, mettono scientemente a frutto il desiderio suscitato dai loro corpi per fini personali, ma, a differenza di loro, lo fanno all'interno di un rapporto di scambio dichiarato e consensuale, non nuocciono a nessuno e non hanno l'obiettivo, attraverso il sesso e di lì in tutto, di irridere, umiliare, tiranneggiare e far vivere infelice e inappagato un intero genere)? Per le donne inneggiate alla libertà di sfogare in ogni modo, tempo e luogo, senza limiti nè remore nè regole, l'istinto naturale femminile ad apparire in ogni dove belle e disiabili (e a suscitare in ogni astante, per vanità, interesse o gratuito sfoggio di preminenza erotica, un disio che non hanno almeno in quel momento e comunque non per tutti, intenzione di appagare), mentre per gli uomini vorreste imporre l'obbligo costante a reprimere il corrispondente istinto a mirare, disiare, seguire e cercare di ottenere il godimento della bellezza (se necessario anche pagando). Per le donne reclamate tutti i diritti e per l'uomo tutti i doveri. Bella parità! E poi avete il coraggio di parlare di "etica". Con quale diritto e quale autorità potete definire (per tutti, e con valore di legge) "non etico" un rapporto consensuale fra adulti solo perchè motivato non da concessione amichevole, coronamento amoroso, capriccio, vanità, vendetta sentimentale, stronzaggine o quant'altro, come nei rapporti "normali", ma da interesse dichiarato (in questo caso economico), e implicante una visione dell'amore e del sesso (e della vita privata e lavorativa in genere) da voi non condivisa? Vi è forse sotto una versione laicizzata del pregiudizio paolino sul corpo, per il quale esso, in quanto vaso destinato ad accogliere lo spirito santo, dovrebbe mantenersi "puro", essendo ogni peccato compiuto su esso paragonabile ad un sacrilegio pari all'usare il templio per il mercato? Perchè altrimenti considerare accettabile vendere la propria preparazione, il proprio tempo, il proprio intelletto, le proprie abitudini di vita, le proprie braccia o le proprie capacità mentali e non momenti d'ebbrezza e piacere dei sensi attraverso il proprio corpo sessuato?

Perchè dovrebbe essere considerato indegno offrire al mercato quella parte di sè atta a concedere momenti d'ebbrezza e piacere dei sensi e non, invece, la propria forza fisica, le proprie abilità manuali o le proprie capacità intellettuali? Vendere un servizio attraverso il proprio corpo sessuato e non, invece, un servizio svolto attraverso le proprie braccia o il proprio intelletto? Perchè dovrebbe essere consderato "di valore infinito" (ovvero non commerciabile, non vendibile, non scambiabile alla pari con nulla pena perdita della "dignità") l'offerta delle proprie grazie, l'appagamento del disio di bellezza e piacere e non l'offerta di una prestazione lavorativa, di una fatica fisica (o mentale) importante, di una abilità sensitiva o intellettiva costata anni o decenni di studio, applicazione, sacrificio, immedesimazione?

Quanto può, volendo, essere svolto nel breve volgere di una notte (o di qualche ora) con assai poco coinvolgimento (se non quello recitato) e non quanto magari richiede la fatica di un mese e la preparazione di una vita? Quanto può essere (come il rapporto sessuale) agito "impersonalmente" (anche quando lo si offre con grazia unica e stile particolare, alla pari di un personaggio romanzesco), ponendolo sul palcoscenico senza tangere la sfera realmente personale o addirittura svolto in modo anonimo, indistinguibile da quanto ci accumuna per natura ai mammiferi, senza entrino in gioco sentimenti (e correlati rischi di ferimento intimo), e non quanto (spesso, specie per i giovani) coinvolge il proprio studio, la propria preparazione, le proprie capacità qualificanti, le proprie esperienze e le proprie doti innate individuali, la propria individualità, le doti per cui crediamo di distinguerci dagli altri ed essere particolarmente apprezzati dal mondo, la parte più pura di sè, quello in cui si ha sperato, faticato, offerto (in tempo, fatica, impegno) e sofferto negli anni della giovinezza o comunque influenza lo stile di vita, il modo di pensiero, il rapporto con il prossimo, a volte la visione del mondo (perché se si deve entrare nel mondo del lavoro si deve scendere a compromessi, se non altro materialmente, su tutto ciò, e alla lunga si cambia anche l'ideale) e obbliga spesso a simulare doti non possedute (esattamente come si fa con i prodotti della reclame), falsificare la propria percezione della realtà (per adeguarla al racconto che fa marketing) e deformare il proprio curriculum (ingigantendo, della propria personalità, del proprio studio, del proprio vissuto, quanto può piacere al mercato e tacendo quanto ci qualificherebbe ma potrebbe non risultare "vendibile")?

Perchè dovrebbe essere non-commerciabile solo ciò che la donna può offrire attraverso le proprie grazie corporali e di cui l'uomo ha per natura bisogno come del cibo, dell'acqua e del sonno mentre resta tranquillamente vendibile, scambiabile, commerciabile senza alcun patema tutto quanto nell'arte come nella religione, nella politica come nella storia, nel pensiero come nella società, l'uomo ha comunitariamente costruito e individualmente continua a costruire (con il lavoro, lo studio, la posizione sociale) per compensare in desiderabilità e potere il privilegio naturale femminino? Questo significa usare il pregiudizio paolino sul corpo (peccare con il corpo, vaso sacro destinato ad accoglire lo spirito santo dopo la resurrezione, farne mercato, quale peccato massimo, sacrilegio pari all'entrata dei mercanti nel templio) per conferire alla donna un vantaggio in desiderabilità e potere infinito e non più compensabile dall'uomo con l'offerta e lo scambio di quanto (denaro, posizione sociale, abilità pratiche, conoscenze e doti intellettuali) eqli può costruire con la cultura, la fatica, l'impegno e lo studio, con le proprie braccia o il proprio intelletto, e di cui la donna può sentire bisogno e brama di forza pari a quelle che muovono il disio maschile verso le di lei bellezze. Stronzi!

Tutte le considerazioni negative sulla prostituzione volontaria derivano difatti dal presupposto secondo cui chi vende momenti di sesso attraverso il proprio corpo venda una parte di sé. Ciò è errato, in quanto esistono persone per le quali il sesso è un'attività umana come le altre (senza necessariamente avere coinvolgimenti sentimentali o implicazioni "terribili") e non ha nulla di "sacro e pericoloso" per cui le persone (adulte e consenzienti) non dovrebbero essere libere di farne ciò che vogliono (sentimento, coinvolgimento o, al contrario, recita e straniamento). Chi o che cosa ha diritto ad entrare nella vita privata delle persone e indagare, quando non vi sono violenze e costrizioni, sui motivi per cui si accoppiano (eros "apollineo", legato all'innamoramento e all'affinità di coppia, o al contrario "dionisiaco", piacere puro, assoluto discinto da ogni legame sentimentale e da ogni dovere di corteggiamento, o ancora, per gli uomini, ricercare l'anima gemella oppure un'attrice che interpreti, a pagamento, il proprio sogno estetico, e, per le donne, concedersi per divertimento o passione, per amore, amicizia oppure, perché no, interesse e quindi soldi)? In base a quale principio (o a quale legittimità di interpretazione) si dovrebbero vietare ad esse determinati comportamenti attenenti la sfera privata e sessuale? Dov'è il diritto divino? Tralascerò di ricordare ai tutti come nessun cliente voglia "comperare una donna" (cosa, già in senso "extramorale", estremamente svantaggiosa, implicando costi di mantenimento anche in caso di vecchiaia e malattia), bensì semplicemente la sua recita completa (e a tempo) da amante. Non si tratta di una vendita (la quale, implicando un'alienazione definitiva del bene, non sarebbe possibile nel caso del corpo non esistendo vita al di fuori di esso), ma di un'offerta di servizio attraverso il corpo (esattamente come nel caso dell'operaio che offre il lavoro delle proprie braccia o del giornalista che dovrebbe, ma non sempre è così, offrire il servizio del proprio intelletto), con la sola differenza che il servizio in questo caso è di tipo sessuale. E' questo il problema? Sarei tentato di citare Einstein e di sostenere (dopo tutto quanto evidenziato) che si tratta (se non altro per l'incoerenza di cui parlavo prima, ammessa implicitamente fin da principio dalle "femministe") dell'ennesima dimostrazione dell'infinità della stupidità umana. Purtroppo però queste di femen sono tutt'altro che stupide: sono piuttosto (alla pari dei tanti "preti" che hanno, dalle origini all'inquisizione, sfruttato la religione e la morale per fini "umani e troppo umani") delle perfide calcolatrici. A me sembra che dietro l'uso del termine "dignità" per vietare la prostituzione vi sia semplicemente il tentativo scientifico di rendere non "impossibile da stabilire", ma semplicemente "infinito a capriccio" il valore (in desiderabilità e potere) di ciò di cui si vuole vietare la vendita esplicita (e generalizzata): il corpo femminile o, meglio, il suo potere di suscitare disio, di attrarre tutti e di soddisfare un ineludibile bisogno di natura (l'inappagamento del quale provoca infelicità da sessuale ad esistenziale, con rischi di ossessione e conseguenze variabili dall'anoressia sessuale al suicidio). Si vuole insomma far divenire il rapporto sessuale quanto di più sacro e al contempo pericoloso esista, la fonte di ogni diritto (da cui le distorsioni del diritto nell'ambito delle definizioni e delle applicazioni giuridiche nei casi di violenza/molestia, con tanti saluti alla tassatività e all'oggettività della legge e alla presunzione di innocenza), il centro di ogni "sacralità inviolabile", intesa ben al di là dell'ovvio diritto all'autodeterminazione individuale nella sfera della sessualità (che infatti viene negata alle prostitute e ai clienti), ai confini con il "diritto a ferire, ingannare, irridere e tiranneggiare" gli uomini attraverso il bisogno erotico-sentimentale, o comunque con l'opportunità di portare alle estreme conseguenze una situazione di "monopolio sessuale" (a costo di eliminare in un modo o nell'altro le donne che, come appunto le prostitute, ree di permettere all'uomo di godere della bellezza senza passare per le forche caudine del corteggiamento, "rompono" tale monopolio). La vostra non è emancipazione, è solo una forma di atteggiamento morale a metà fra il comportamento oligopolistico degli arabi dell'Opec, motivato in questo caso dall'intenzione di aumentare il proprio valore economico sentimentale, per permettersi un esercizio di vanità, tirannia e diletto sadico senza pari e volto quindi a rendere l'appagamento dei bisogni naturali di bellezza e piacere dei sensi quanto di più raro, difficile, duro, faticoso, costoso (da ogni punto di vista materiale e morale) e a volte pure ridicolo e umiliante (quando si pretenderebbe dall'uomo la recita da giullare cui irridere nel disio o da seduttore con cui compiacere la vanagloria o quando lo tratta da cavaliere servente pronto a dare tutto in pensieri, parole ed opere per un solo sorriso e una sola speranza o addirittura da mendicante alla corte dei miracoli "d'amore", costretto, mentre assieme agli altri attende la sportula, a guardare dal basso verso l'alto, pregando e aspettando colei da cui tutto può essere dato e tutto tolto) possa esistere sulla faccia della terra) e lo schema "cristiano" del vietare e condannare ciò che si vuol fare massimamente desiderare (per poi, con il bisogno di quello e il senso di colpa, avere in mano i corpi e le anime di tutti gli uomini). Voi aspirate solo a diventare tiranne dell’uomo attraverso il suo bisogno di sesso, e chiamate la vostra tirannia “difesa della dignità della donna”. Demagogico poi il riferimento alle "giovani immigrate". Quando vengono in occidente per fare le badanti, le colf o le infermiere sono ben accette e non sono dette sfruttate se guadagnano una piccola frazione dell'occidentale medio in mestieri che gli europei d'occidente non vogliono più fare, mentre se decidono di prostituirsi per guadagnare di più la cosa non va più bene perché immorale e, per vieterglielo senza incolpare delle donne (che sarebbe politicamente scorretto) sono dette "poverine" e "vittime". Ovviamente che le associazioni di prostitute libere rivendichino da decenni tanto la liceità quanto la libertà della loro scelta non ha alcun valore per questi politici. Infermiere sì e accompagnatrici no? Minigonna per le donne-manager e le studentesse sì e abiti succinti per le passeggiatrici notturne no? Ma saranno le donne, prostitute o meno, a dover decidere che fare del proprio corpo e della propria sessualità e della propria esistenza lavorativa o privata? O dovrebbe essere, secondo un principio neogiacobino o neostalinista, lo stato a dover accompagnare tutti dalla culla alla tomba ed imporre la propria "virtù" come in ogni totatlitarismo da Robespierre a Stalin?