«Il maschio scelto dalla femmina non è colui che le sembra più attraente, ma colui che la disgusta di meno».
Apriamo la recensione con questa massima di Charles Darwin, che poi è la stessa con la quale Fausto Brizzi da il là a Femmine contro maschi, seconda parte di un dittico che il regista di Notte prima degli esami dedica alla “guerra” dei sessi e al complicato universo dei sentimenti umani. Una citazione che riassume in maniera impeccabile una possibile e sottolineo possibile verità, una sorta di equazione matematica capace di fornire quantomeno una risposta ai tanti quesiti legati alle dinamiche di coppia e a ciò che spesso, inspiegabilmente, tiene unite due persone. Non sempre, infatti, l’amore nelle sue differenti manifestazioni riesce a supportare a pieno un’altra celebre massima che affonda le radice nella notte dei tempi, vale a dire «Dio li fa e poi li accoppia». Anche se nata dall’osservazione del mondo animale, questa sorta di equazione sotto svariati punti di vista non sembra di difficile applicazione a quello popolato dall’homo sapiens; ed è proprio da questa idea che Brizzi & Co. hanno tracciato le linee guida per trasporre in immagini e suoni la loro risposta al Manuale d’amore di Veronesi.
Con la trilogia del regista e sceneggiatore toscano, della quale vedremo presto il terzo capitolo, ci sono punti di contatto, legati soprattutto agli intenti e non di certo ai contenuti e alla struttura drammaturgica, che nel caso di Veronesi è rigorosamente ripartita in episodi. In Femmine contro maschi la concatenazione narrativa è il motore portante dello script. Le tre storie danno vita ad altrettanti episodi che viaggiano parallelamente per poi entrare spesso in contatto attraverso i personaggi e le situazioni. Ciò che li avvicina però è il tema trattato, ossia l’amore, e il desiderio di sottrarlo all’astrazione in modo da renderlo visibile attraverso storie nelle quali è facile rispecchiarsi. Nel suo personale processo di evoluzione della commedia romantica all’italiana, iniziato con la sceneggiatura di Oggi sposi (2008) per Luca Lucini e proseguito da regista, prima con EX (2009) e poi con il dittico formato da Maschi contro femmine e Femmine contro maschi (ai quali si andrà ad aggiungere il prossimo Sex 3D), Brizzi mira come il collega Veronesi ai sentimenti e ai rapporti umani piuttosto che alla critica sociale e all’impatto che tali rapporti possono avere al di fuori della dimensione intima. Ciò che li differenzia è che il primo usa solo ed esclusivamente l’arma dell’ironia votata all’intrattenimento, il secondo crea un mix di dramma e commedia che punta anche alla riflessione.
A distanza di qualche mese da Maschi contro femmine, arriva nelle sale nostrane con la bellezza di seicento copie griffate Medusa (la prima parte portava invece il marchio 01 Distribution) la riscossa del gentil sesso alle avventure vissute dagli uomini nel primo capitolo di un progetto che, per chiari motivi distributivi, ha subito una scissione. A giovarne è ovviamente il duopolio tricolore, con Rai Cinema che grazie alla prima parte si è portata a casa un incasso superiore ai 13,5 milioni di Euro. Facilmente pronosticabile allora che Medusa possa bissare, se non aumentare, il bottino finale, forte anche di una pellicola più riuscita e della fortunatissima stagione che sta attraversando la commedia made in Italy.
La suddivisione non ha influito minimamente sulla narrazione e sulla storia, al contrario, ha dato origine a due commedie diversissime tra loro, tanto diverse che non si può parlare di sequel, ma piuttosto di spin-off, perché sviluppa in tutto e per tutto i personaggi secondari di Maschi contro femmine. I film possono, infatti, vivere di vita propria e in piena indipendenza. Dal doppio confronto ne esce senza ombra di dubbio meglio la fazione battente bandiera rosa, con ritratti più forti e decisi rispetto alla schiera di mammoni ed eterni Peter Pan che caratterizza la controparte maschile. Il risultato premia però a conti fatti Femmine contro maschi, vuoi perché, nonostante lo stile scelto per raccontare le vicende rimane il medesimo, le storie al centro della pellicola sono senza ombra di dubbio più divertenti, vuoi perché gli interpreti chiamati ad animarle sul grande schermo funzionano decisamente meglio. Qui la struttura episodica a incrocio, tradizionalmente utilizzata nelle commedie corali come questa firmata da Brizzi, è più oleata e scorrevole. Le gag e i tempi comici funzionano molto meglio, per di più appaiono parte integrante del plot e non lampi ironici che fanno la loro comparsa per strappare sorrisi nel torpore generale.
Tuttavia proseguendo il percorso analitico è possibile fare un’ulteriore ripartizione e una scala di valori che consente l’individuazione delle note dolenti e di quelle positive. Di negativo c’è la mancanza di originalità in un’operazione che sul versante della scrittura (comunque fresca e di qualità) e dei temi trattati si aggrappa con le unghie e con i denti alla classica commedia in rosa super collaudata al box office che strizza l’occhio a quelle britanniche ed americane (Love Actually di Richard Curtis del 2003 ad esempio), per di più appoggiata ad una vagonata di volti noti che da sola funge da calamita per lo spettatore medio. Dall’altra parte ci sono moltissimi elementi che presi singolarmente ed estrapolati dal complesso danno alla pellicola una marcia in più rispetto alla tanta paccottiglia melò nostrana, figlia di una ruffianeria da cinema-zapping da supermarket dei sentimenti, dove il patetico si alterna al comico, la tenerezza alla farsa, l’ottimismo all’amarezza, il sentimentalismo al sarcasmo (Moccia insegna).
Francesco Del Grosso