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Femminicidi, quando il caldo frigge i neuroni

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

La notizia è di qualche giorno fa, ma ci tengo a tornare sull’argomento in quanto la superficialità e il sessismo con i quali è stata trattata meritano di rimanere nella storia, se non altro del blog. Mi riferisco al brutale femminicidio avvenuto a Fano.

Su Repubblica.it la vicenda è stata narrata nei seguenti toni da rotocalco scandalistico:

Fano, uccide la moglie in un raptus di gelosia

L’uomo, di origini albanesi, ha accoltellato la donna, che ha tentato di difendersi inutilmente, dopo un violento litigio davanti ai quattro figli. Poi ha chiamato la polizia che lo ha arrestato

Un albanese ha ucciso la moglie questo pomeriggio, poco prima delle 16, a Fano, nell’abitazione della coppia in via Goldoni. Sembra che l’omicidio sia da attribuire alla gelosia dell’uomo nei confronti della vittima. L’uomo, che è un muratore di 40 anni, incensurato, ha accoltellato la moglie, 32 anni, al culmine di un litigio. La coppia ha 4 figli. L’albanese subito dopo l’omicidio si è costituito alla polizia. Ora è in commissariato in stato d’arresto. La vittima si chiamerebbe Mariola e l’aggressione sarebbe avvenuta davanti ai figli della coppia. L’uxoricida avrebbe infierito più volte con un coltello sulla vittima, che ha cercato inutilmente di difendersi.

Analizziamo l’articolo punto per punto e proviamo a evidenziarne i punti deboli con l’aiuto del codice etico per la stampa in caso di femminicidio proposto dal blog femminismi.it:

1. I giornalisti e le giornaliste devono mettere in evidenza la motivazione di genere (svalorizzazione simbolica, discriminazione economica e sociale) come causa profonda della violenza contro le donne. Essi devono fare buon uso delle informazioni di casi studio e statistiche disponibili, sia quando segnalano casi di violenza contro le donne sia quando danno notizia di casi di sfruttamento sessuale e della prostituzione, collocando le notizie in un contesto più ampio che riveli la motivazione di diseguaglianza a cui sono sottoposte le donne che ne soffrono e tutte le vittime che sono femminilizzate (discriminate come se fossero donne – ad esempio omosessuali, transessuali).

Nell’articolo in esame, nonostante non vi siano dubbi sul fatto che si tratti di un caso di femminicidio, non si fa menzione delle motivazioni di genere alla base del gesto. Molta più enfasi viene data al contesto socio-economico (lui muratore, lei senza lavoro, con quattro figli a carico) e razziale (l’origine albanese). Questo tentativo di collocare il femminicidio in un contesto “speciale” ha lo scopo di tranquillizzare il lettore, insinuando l’idea che i femminicidi siano qualcosa di estraneo alla realtà di tutti i giorni. Un fenomeno da osservare da lontano, con la certezza che mai coinvolgerà direttamente la nostra placida routine. Nulla di più sbagliato.

2. I giornalisti e le giornaliste devono scegliere con cura il linguaggio da utilizzare per dare conto di casi di femminicidio, evitando di comunicare in modo anche implicito che la vittima sia da biasimare per qualche motivo legato al suo essere donna e al suo abbigliamento o atteggiamento, ai suoi orari e abitudini.

Fortunatamente, in questo caso non sono presenti allusioni a presunte corresponsabilità della vittima. Anche se l’accenno alla gelosia dell’uomo potrebbe essere derubricato a reazione rispetto a comportamenti ambigui o poco corretti della donna.

3. I giornalisti e le giornaliste devono inoltre rappresentare i personaggi della notizia come uomini e donne veri, reali, evitando accuratamente di ricorrere a stereotipi che li incasellano in ruoli patriarcali privi di attinenza con il fatto specifico e reale (l’innamorato pazzo, il marito deluso e depresso, la mogliettina che sopporta, la ex fidanzata come preda perché in passato era in possesso dell’aggressore-fidanzato).

Ed eccoci qui. Il marito geloso, ruolo ripreso dai classici del cinema italiano del dopoguerra, è l’indiscusso protagonista di questo articolo. Non la donna in quanto tale, bensì in quanto moglie. La soggettività della vittima viene spiazzata rispetto alla sua collocazione all’interno di un contesto familiare rigido e di stampo patriarcale. Nella società patriarcale l’uomo ha diritto di vita e di morte sui familiari, che vengono considerati alla stregua di sue proprietà. Il delitto d’onore, abolito in Italia solo nel 1981, aleggia su tutto il resoconto di questo femminicidio come un fantasma.

4. I giornalisti e le giornaliste devono in ogni modo evitare di usare l’equazione “odio uguale amore” e mai utilizzare frasi che possano giustificare in qualche maniera simbolicamente la violenza come gesto sconsiderato o addirittura “folle” e quindi non del tutto legato alla responsabilità individuale. Da evitare in senso assoluto anche il presentare la violenza sessuale, domestica, e il femminicidio come amore passionale incontrollato con frasi dal vago sapore romanzato e romantico (follia d’amore, pazzia d’amore, amore e sangue) – La violenza e l’omicidio sono i più gravi crimini che si possono compiere contro un altro essere umano donna o uomo.

Odi et amo. Vi è un duplice accenno alla sequenza amore-gelosia-femminicidio, il primo dei quali già nel titolo. Pericolossissimo. L’amore e la gelosia non hanno mai ammazzato nessuno. Gli uomini sì. Sono gli uomini che afferrano coltelli e uccidono le donne, e lo fanno per motivi sempre più futili, in un gesto estremo di salvaguardare la propria autorità di pater familias. Tutte le altre sono patetiche giustificazioni. Sarei inoltre curiosa di sapere se il giornalista è in possesso di una laurea in medicina con specializzazione in psichiatria, e se è in virtù di questa che si è permesso di effettuare una perizia-lampo sull’omicida: definire “raptus” un femminicidio non è solo una minimizzazione, è anche un falso se non si è in possesso degli strumenti adatti per poter fare un’affermazione del genere.

5. I giornalisti e le giornaliste devono evitare di esemplificare i casi di violenza contro le donne, o contro altre vittime femminilizzate, con la teoria del ciclo di violenza che inserisce i soggetti violenti in una quasi giustificazione del loro operato a causa di un’infanzia con esperienza di violenza, o a causa di esperienze violente in qualche modo patite. Dovrebbero anche evitare di presentare le violenze come causate semplicemente dal consumo di alcool o da altri problemi sociali o disagi psichici.

Nell’articolo non si parla della spirale-della-violenza-dalla-quale-si-innesca-altra-violenza, anche se il giornalista ci tiene a sottolineare come l’omicida fosse incensurato. Tuttavia, ci sono vari accenni a una possibile situazione di disagio sociale (lui muratore e con quattro figli e una moglie a carico). In questo c’è parecchia superficialità di analisi del problema: come se i femminicidi non si verificassero in qualunque contesto socio-economico! Ma forse il punto è proprio questo: il nostro giornalista è convinto di star discettando di un qualunque fatto di cronaca, non ha riconosciuto di essere davanti all’ennesima conferma di un fenomeno -il femminicidio- che in Italia sta assumendo proporzioni sconcertanti.

6. I giornalisti e le giornaliste devono rispettare la privacy e la dignità delle vittime, rispettare la dignità delle vittime significa anche non utilizzare senza consenso foto delle vittime, e tantomeno foto in cui le vittime siano rappresentate in momenti gioiosi o in abiti succinti – Rispettare una persona che soffre a causa di una violenza subita riguarda anche l’uso che si fa della sua immagine.

In questo caso, non sono fortunatamente presenti immagini della vittima. Forse non era abbastanza giovane e fotogenica? Ah, quanto sono cinica…



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