Erano gli amori dei poveri, amori di altri tempi in una Napoli di altri tempi.
Fenesta vascia narra appunto uno di questi amori, tra un guaglione e una guagliona che abita in una povera casa e che si nasconde dietro una finestra che resta chiusa. Siamo in un vicolo di Napoli e il ragazzo ha il cuore in subbuglio per quest'amore non corrisposto.
La canzone è di autore ignoto, risale al cinque-seicento, (forse al cinquecento, ma non è certo); si pensa che non sia mai giunta a noi così compiutamente come è stata pensata e scritta.
Se ce l'abbiamo, lo dobbiamo solo a un certo Guglielmo Cottrau, che dunque va considerato uno degli autori di essa.Cottrau scriveva, e tra le altre cose anche versi di canzoni in dialetto, oltre ad essere proprietario di una modesta casa editrice.
Era l'anno 1825, e questo signore si era preso l'arduo compito di cercare, studiare, e trascrivere - musicalmente parlando - le canzoni del secolo che lo vedeva vivere, e di quelli precedenti.
Egli dunque rintracciava testi antichi, o raccoglieva quelli che qualcuno gli portava, e li affidava, oltre a lavoraci su egli stesso, a collaboratori perché li rimettessero in sesto.
Questo testo lo passò al suo fido Giulio Genoino, poeta di un certo livello e conosciuto abbastanza all'epoca. Nato a Frattamaggiore, nell'entroterra napoletano, in una terra arsa dal sole e dimenticata da dio e dagli uomini, il poeta ci si mise sopra di buzzo buono, e riuscì in una impresa che gli fece onore: studiò a lungo le parole dialettali ormai dimenticate di quel testo, sorpassate da quelle attuali (ricordo, siamo nell'ottocento e trecento anni non erano passati invano), e le trasformò, le tradusse, possiamo dire, in altre che riscontravano più compitamente la lingua allora parlata.
Diciamo due parole sui due personaggi grazie ai quali oggi possiamo godere della canzone, Gugliemo Cottrau, che scrisse o trascrisse la musica, era nato nel 1797 a Parigi, per morire a Napoli ancora molto giovane, pensate aveva solo cinquant'anni quando avvenne la sua scomparsa, era l'anno 1847. Vi chiederete come mai giunse a Napoli dalla Francia, è presto detto: ilCottrau era di nobile famiglia e venne in Italia con i suoi; il padre era una persona molto appassionata di letteratura. Venne a Napoli al seguito di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore diNapoleone; e di Gioacchino Murat. Napoleone lo fece infatti re di Napoli nel 1806, e Giuseppe governò il Regno di Napoli per soli due anni, prima di essere nominato poi re di Spagna. Era già stato in Italia una decina di anni prima, sempre al seguito del fratello, e fu ambasciatore per conto di questi a Parma prima e a Roma poi. Girò a lungo per l'Europa come rappresentante dell'imperatore, fino a che nel 1841, tornò definitivamente in Italia, stabilendosi a Firenze, dove morì tre anni dopo. Murat, a Napoli, prese il posto di Giuseppe, quando questi ottenne il regno di Spagna, e dobbiamo dire che, grazie alle molte opere di interesse pubblico che realizzò, ma anche alla sua grande personalità - era anche una bella presenza - fu molto amato dalla popolazione.
I Cottrau facevano parte della corte dei due re di Napoli, e amarono molto Murat,che, tra le altre cose, riaprì la famosissima Accademia Pontoniana; ma non solo, fondò una nuova Accademia Reale delle Lettere. Peripezie belliche poi lo portarono in diverse guerre, e in fine a combattere in Calabria, dove fu arrestato e condannato a morte. Morì a Pizzo Calabro sotto i colpi della fucileria nel 1815 del governatore di quella regione. Ma torniamo a Guglielmo Cottrau, il quale proprio al seguito di Gioacchino Murat, grazie alla sua vasta cultura letteraria, assunse incarichi importanti nel campo dell'arte.
Il padre diGugliemo, voleva fare di lui un politico, che seguisse in qualche modo la sua carriera, ma il giovane, appassionato di musica e di lettere, come il padre del resto, non volle seguire i suoi consigli e si dedicò interamente alla carriera musicale; in particolare, insieme ad altri amici, si dette alla ricerca e alla trascrizione di testi antichi. Il fatto che venisse da un paese straniero, contribuì a far conoscere i suoi lavori musicali sui testi napoletani, anche fuori d'Italia.
Abbiamo detto più sopra che molte sono le trascrizioni di versi non suoi, ma molte anche le musiche su canzoni che scrisse lui. Ma ad oggi non si sa ancora con precisione quali siano quelle e quali queste. Sicuramente gli sono attribuite due canzoni: una più bella dell'altra: questa, di cui parliamo, Fenesta vascia, e l'altra, celeberrima, Fenesta ca lucive, ispirata alla storia triste di origine siciliana, della baronessa di Carini.
Per la cronaca, va detto che tra i vari collaboratori del Cottrau, ci fu anche un certo Gaetano Donizetti.
Giulio Genoino, l'autore dei versi di tutte e due le canzoni sunnominate, come già abbiamo detto, era di Frattamaggiore, dove era nato nell'anno 1773, (morì a Napoli nel 1856.) E come Cottrau, collaborò colDonizetti per il quale scrisse i libretti per alcune sue opere liriche.
Di questi versi antichissimi, curò soprattutto la punteggiatura; e lo fece in maniera egregia, punteggiatura che, nel testo consegnatogli, era pressoché inesistente, e, laddove c'era, forse era stata distribuita a sproposito. I versi di Fenesta vascia sono sistemati in due strofe di otto versi l'una, con rime alternate, metrica propria delle storie di racconti popolari. Va detto che nel testo originale le rime c'erano anche se non erano propriamente giuste, fatte come si deve, ciò che forse era dovuto alla non perfetta preparazione dell'autore del cinquecento.
La musica è lenta, dolce e malinconica, proprio per meglio aderire alla storia raccontata, e meglio delineare la tristezza del ragazzo che implora amore dalla fanciulla, che lui sa nascosta dietro la finestra del basso, chiusa, povera; ragazza che lo vede soffrire ma non lo vuole aiutare.
Vogliamo riportare il testo della canzone qui sotto, perché il lettore possa gustarne tutta la dolcezza pur nella sua immensa malinconia, immaginando per ora la musica, che potrà ascoltare cliccando sul link che sta alla fine di questo saggio.
Fenesta vascia e patrona crudele
quanta sospire m'aje fatto jettare
M'arde sto core comm'a na cannela
bella quanno te sento annommenare
Oje piglia la sperienza de la neve
la neve è fredda e se fa maniare
e tu comme si tant'aspra e crudele?
Muorto mme vide e non mme vuò ajutare?
Vorria arreventare no picciotto
co na langella a ghire vennenno acqua
pe mme nne ì da chiste palazzuotte
belle femmene meje, a chi vò acqua?
Se vota na nennela da la 'ncoppa
chi è sto ninno che va vennenno acqua?
e io responno co parole accorte
so lagreme d'ammore, e non è acqua!
Finestra bassa di una padrona crudele/ quanti sospiri mi hai fatto gettare/
Quando ti sento nominare, bella mia/ mi brucia il cuore, come una candela/
Fai come la neve, ti prego / la neve è fredda, è vero, ma si fa accarezzare/
e tu, invece, perché sei così aspra, così dura, così crudele?
Vorrei tanto farmi un guaglione/ che va a vendere acqua con un orcio/
per girare tra queste case a gridare/ belle femmine, chi vuole acqua?
S'affaccia una "nennella" da lassù/ e dice: chi è sto ragazzo che vende acqua?
e io rispondo con parole "accorte"/ so' lacreme d'ammore e non è acqua
Il giovane appassionato vorrebbe farsi acquaiolo, così da passare per quelle case gridando, belle signore, c'è l'acquaiolo, chi vuole bere acqua fresca? E sperare che apra la finestra - bassa, chiusa - anche la giovane di cui è innamorato. Risponde - a una ragazza che s'affaccia da un piano superiore di una casa chiedendo chi è quel bel ragazzo che vende acqua, con uno dei più bei versi di tutta la canzone napoletana:
Sono parole dettate dal profondo del cuore, di un cuore "spezzato" per un amore non corrisposto.
Adesso, cliccando sul link qui sotto, potrete ascoltare una bellissima interpretazione della canzone " Fenesta vascia" eseguita dal grandissimo Roberto Murolo, in una esecuzione "matura", di quando cioè l'artista era all'apice della sua incomparabile carriera.
marcello de santis