Magazine Cultura
La civiltà Mediterranea
di Pierluigi Montalbano.
Sono convintissimo che ci fosse un accordo condiviso da nord a sud sulla politica isolana. I sardi delle coste erano dediti alle attività marinare, alla manutenzione dei porti, alla tutela delle vie di accesso verso l'interno (sempre in accordo con i sardi dell'interno), e quindi...allo sfruttamento di pesca, sale e intermediazione del commercio.
Fenicio è quindi il modo di vivere di quell’epoca, la cultura diffusa, la contaminazione globale. Già in passato i ciprioti formavano, insieme a cretesi e sardi, l'asse dei commerci del rame, del bronzo e, in seguito, delle altre mercanzie. A questi si unirono filistei, tiri, gibliti, sidoni, siriani, aramei...
Teniamo conto che il periodo è lo stesso della Stele di Nora. La scritta (in caratteri definiti fenici) nella grande e importante stele dedicata ai sardi (o comunque ad un tempio in Sardegna o a una fondazione in Sardegna) mostra con sicurezza che il territorio isolano era ancora saldamente in mano al popolo delle alte torri. Troppo potenti i sardi per consentire ad estranei di mettere radici profonde sul proprio territorio. Al limite possiamo ipotizzare che i levantini avessero all’interno una forte componente amica (sempre proveniente da quei popoli del mare che costituiscono l'unica spiegazione al rinnovarsi del sistema politico, sociale ed economico del post-1200 a.C.).
Per quanto riguarda la quasi assenza di strutture architettoniche cosiddette fenicie nelle coste sarde possiamo dare una spiegazione semplice e logica: i levantini fruivano delle strutture sarde per attraccare, riposarsi, commerciare, collaborare, integrarsi e...fondersi con i locali. Esattamente come avveniva da sempre...e fino ad oggi. Non avevano bisogno di edificare semplicemente perché i sardi avevano già dotato le coste di tutte le strutture necessarie ai commerci navali. Le cose cambiano, ma non molto, quando appaiono sulla scena i Cartaginesi. Questo popolo era figlio di quella Tiro che cambiò radicalmente assetto sociale e politico a seguito delle invasioni del 1200 a.C. che la rasero al suolo. La popolazione fu sterminata e la città ricostruita e popolata da genti nuove. I cartaginesi (dal VI a.C.) iniziarono ad allargare le proprie mire lungo le coste (cosa ovvia trattandosi di un popolo del mare) e si scontrarono presto con gli altri grandi navigatori dell'epoca (greci ed etruschi, anche questi discendenti di quei popoli del mare che ho citato prima). La flotta fu distrutta completamente nella battaglia di Alaria (detta anche del Mare Sardo) ma anche greci ed etruschi ci rimisero le penne. Infatti, proprio in quel decennio, i romani decisero di avviare l'epopea che conosciamo: stipularono accordi con le altre potenze, organizzarono il proprio sistema legislativo e allestirono un forte esercito che nel giro di pochi secoli riuscì ad imporre l'egemonia del senato romano in molti territori.
Ai poveri cartaginesi restò la consolazione del controllo di mezza Sicilia (l'altra era greca) e un accordo con i sardi che consentiva di collaborare commercialmente con benefici reciproci. Non ci fu nessuna colonizzazione cartaginese in Sardegna, questa ipotesi non regge, avremmo avuto notizie dalla letteratura, invece...niente. Solo patti di non aggressione fra Cartagine e Roma. E anche i romani ebbero notevoli difficoltà ad imporre le proprie regole in Sardegna. Solo lungo le coste riuscirono a inviare legioni per il controllo. L'interno rimase sempre saldamente in mano ai sardi. A quasi nessun condottiero romano fu concesso "il trionfo", e questo la dice lunga sulle vicende che invece abbiamo studiato a scuola. Nessun dominio evidente, al limite si può accettare l’ipotesi di un controllo armato che si sfaldò nel giro di qualche secolo. I romani pensarono bene di farsi amici i sardi: meno problemi e più tasse facili da riscuotere.
Ritornando alle poche evidenze architettoniche levantine, qualcuno potrebbe affermare che nella nostra isola non ci sono solo due muri a Cagliari e un pavimento in battuto a Nora, infatti per quanto attiene all'età arcaica, cioè fino alla fine del VI a.C. si conosce ben più che qualcosa: Cagliari è un caso particolare perché la città moderna non ha ancora restituito stratigrafie arcaiche se non nello scavo di via Brenta. A Nora c'è una tomba in cista litica della fine dell’VII a.C. e sotto il foro romano c'è un quartiere con abitazioni, pozzi, siloi e da tutta la penisola norense proviene materiale ceramico di età arcaica (levantino, con frammenti di cultura greca, etrusca e sarda). A Bithia c'è una grande necropoli e ceramiche sparse dall'abitato. A Pani Loriga e Monte Sirai abbiamo una necropoli ed evidenze dell'abitato. A Sant'Antioco c’è il tophet, l’abitato e qualche frammento dalla necropoli. A Portoscuso una decina di tombe, le più antiche della Sardegna, contemporanee all'avvio della presenza levantina nel Sulcis. A Othoca abbiamo necropoli e abitato, a Tharros idem più un tophet e a Neapolis materiali recenti fenici di VIII-VII a.C. Sulla costa orientale notiamo evidenze a Villasimius. Si potrà ancora affermare che sulla conquista cartaginese ci sono tracce letterarie: il generale Malco, Asdrubale e Amilcare sono personaggi noti. Ma la carenza di fonti è notoriamente un problema della ricerca sui fenici e i punici così come tra qualche millennio sarà difficile farci un'idea non americo-centrica della storia irachena o afghana. In mancanza di fonti l'archeologia si appoggia dunque agli indicatori della presenza punica, ossia di quei fenici nord-africani che dal VI a.C. abitarono Cartagine e non solo. Tiro, Biblo, Sidone, Arado, Beirut, Sarepta condividevano un bagaglio culturale comune, retaggio del tardo bronzo cananeo. Una stessa lingua, usi e costumi, ma ogni popolo conservò alcune peculiarità, e da queste riusciamo a distinguere le differenze.
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