Fenici...i commercianti dell'età del Ferro.

Creato il 06 marzo 2012 da Pierluigimontalbano

Ho pensato di dedicare una serie di post dedicati a questa grande civiltà del passato, frutto dell'integrazione di alcuni popoli del mare con i superstiti cananei delle città stato costiere del Libano, distrutte dagli avvenimenti del 1200 a.C.
Fenici è il nome dato dai Greci alla popolazione originaria della regione corrispondente all’attuale Libano. Il termine greco phonix (cioè “rosso porpora”), indica che già nell’antichità i Fenici erano ricordati come “gli uomini della porpora”.
Dal 1200 a.C. emergono quelle città stato costiere che saranno il punto di partenza di un’espansione economica e politica senza precedenti. I Fenici si fecero portatori di nuovi saperi, di nuove conoscenze, di nuove ricchezze, portando un po’ dell’oriente mediterraneo in cui erano fiorite le grandi civiltà antiche, nelle regioni occidentali; una colonizzazione pacifica e duratura, destinata a soccombere di fronte all’emergere del grande impero di Roma
I traffici commerciali delle città fenicie sono attestati sin dalla fine del II millennio a.C.: essi interessavano le regioni del Mediterraneo orientale, in particolare Cipro, le coste dell’Anatolia e l’Egitto. L’Antico Testamento riporta i patti stretti tra Salomone e il re di Tiro Hiram per la costruzione del Tempio di Gerusalemme: si ricorse al legno dei celebri cedri libanesi e alla manodopera degli artigiani della città di Tiro, specializzati nella costruzione di tetti in legno.
Le rotte commerciali permettevano ai Fenici di svolgere anche un ruolo di intermediari, caricando merci per conto di altri stati, tanto da creare ancora oggi difficoltà nel racchiudere queste genti in un popolo ben definito.
All'inizio del I millennio a.C. la ricerca di nuovi orizzonti commerciali, e la pressione degli Assiri che richiedevano il pagamento di tributi, spinse i Fenici sempre più a occidente per fondare empori stabili per l’importazione di materie prime, soprattutto metalli e derrate alimentari. Solo successivamente i centri portuali dell’occidente si trasformarono in vere e proprie città, grazie anche all’integrazione culturale e demografica con le popolazioni autoctone. In particolare in Sardegna si nota una progressiva integrazione con i locali nuragici che farà fiorire una koinè commerciale paragonabile alla moderna globalizzazione.
Con l'avvento dell'impero commerciale di Cartagine si assisterà a una evoluzione ulteriore, con la creazione di un'egemonia economica e politica che aggregava sotto la guida della città nord africana tutte le colonie fenicie occidentali.
Una menzione particolare meritano l’attività manifatturiera e il trattamento industriale del pescato, con una particolare attività, la specializzazione nella colorazione porpora dei tessuti, che contribuì a riconoscere queste genti con il nome che ancora oggi utilizziamo: Phoenix.
La manipolazione di un pigmento indelebile color rosso porpora era volto alla tintura di stoffe (lino e lana) prodotte localmente oppure importate (soprattutto dall’Egitto), con la creazione di un prodotto di altissimo pregio, poi esportato. La tintura porpora era già praticata in area minoica, ma l’apporto dei Fenici fu fondamentale sia per l’affinamento delle tecniche di estrazione, sia per la commercializzazione su larga scala. Il pigmento era estratto da molluschi reperibili in tutto il Mediterraneo: si estraevano le ghiandole ipobranchiali e si riversavano in ampie vasche poste ai margini dei centri abitati. Da esse si estraeva un liquido incolore che, durante un periodo di macerazione, assumeva la tipica pigmentazione e a cui si aggiungeva poi acqua di mare per diluirlo e ottenere le diverse gradazioni di colore (dal rosso al viola). Seguiva un processo di purificazione della tintura, che veniva poi bollita per circa dieci giorni fino all’ottenimento del colore prescelto e poi filtrata. Di questa imponente attività (erano necessari quantità enormi di molluschi) rimangono, in prossimità dei centri fenici, grandi cataste di gusci dei molluschi utilizzati.
L'immagine è tratta da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica, bronzetto n° 175 da Olmedo.

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