Fenomenologia del Disoccupato in 5 fulgidi esempi

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Una volta entrati nel meraviglioso, magico mondo della Disoccupazione, che ci spalanca le sue porte come il regno di Oz alla fine della strada lastricata d’oro, ci capita di incontrare una razza di umani che prima avevamo sentito nominare solo nei documentari o sui telegiornali, esattamente come certi tipi di animali quasi estinti o che vivono in continenti lontanissimi dal nostro: i Disoccupati.

Non c’è cosa che dia più fastidio ad un Lavoratore o ad un Occupato, infatti, che sentir parlare, o addirittura venire in contatto con un Disoccupato. Un portatore della peste del terzo millennio.

Teme egli infatti, il Lavoratore, che la Disoccupazione sia contagiosa, e gli si attacchi addosso risucchiandolo nel baratro, e se ne sta quindi ben lontano da tutti i territori frequentati dai disoccupati, e, se per caso ne conosce qualcuno, prima o poi più o meno silenziosamente trova il modo di sbarazzarsene, di smettere di frequentarlo, dimenticare che sia mai esistito. Sia mai che l’anatema lo colpisca anche da distanza.

Noi disoccupati, così, ci ritroviamo quasi sempre in compagnia solo di altri disoccupati, dei nostri familiari (che ormai sono perduti) e pochi altri coraggiosi. O disperati.

È in questo modo dunque che sono giunta a riconoscere i diversi tipi di disoccupato che popolano questa vasta e brulla terra: ognuno con la sua magnifica identità, e tutti accomunati da una cosa. La Disoccupazione, ovviamente.

Anzitutto c’è il Coraggioso. Colui che non demorde. Qualsiasi cosa gli capiti, l’affronta a testa bassa, senza mollare mai. La prende come una sfida, questa condizione, ma senza troppi scavezza menti cerebrali: la sua sfida non è imparare qualcosa, migliorarsi, o che.. la sua sfida è sopravvivere. Contro tutto e contro tutti. Sopravvivere e basta.

Il coraggioso è un pò come lo struzzo insomma, che ficca la testa sotto la sabbia, aspettando che passi.

Poi c’è l’Iperattivo. Colui che passa le sue giornate cercandosi le occupazioni più disparate, e correndo qua e là in ogni angolo e pertugio, alla disperata ricerca di qualcosa da fare. Qualcosa che non gli permetta di fermarsi (Aborro!) e pensare (aborro triplo!).

L’iperattivo è come la formica, che non sa neanche perché fa quello che fa, ma lo fa.

Poi c’è il Menefreghista. Colui che forse nemmeno aveva bisogno di lavorare, ma che ora che non ha un lavoro non se ne lascia scalfire più di tanto. Nessuno sforzo, solo il minimo indispensabile. Quello che un tempo gli faceva passare le 8 ore di lavoro senza spillare una sola goccia di sudore, e che ora gli serve per restare nel servizio di assistenza e sussidio statale… a godersi “la mancia”.

Se abbiamo appena visto la formica, non possiamo che pensare che sia come la cicala, che passa il suo tempo a cazzeggiare mentre gli altri si arrabattano per tirare avanti e mettere via qualcosa. Ma la cicala si sa, ha mangiato bene fino a ieri e, com’è tipico delle cicale, mangerà bene anche domani, perché conosce uno, che conosce uno, che conosce uno che può lavorare per tutti e tre, e mantenerli.

Poi c’è il Disoccupato Medio. Egli passa la sua vita da disoccupato fra terribili altezze e spaventose bassezze, vive sulle montagne russe dell’emozione, e si sfinisce. Un giorno è felice, il giorno dopo disperato, un giorno gli danno una buona notizia, sente già profumo di assunzione, il giorno dopo ci spiace, abbiamo trovato un candidato più idoneo di lei.

Egli è come il carro di Apollo, trainato da due cavalli che tirano in direzioni opposte, e che quindi finiscono per tirarlo avanti diritto diritto, lungo la linea mediana.

Poi c’è il Lamentino. Colui che passa la sua vita, in ricchezza e povertà, in salute e malattia, in occupazione e disoccupazione, a fare l’unica cosa che sembra saper fare: lamentarsi. Di tutto, di tutti, ma soprattutto delle sue proprie personali sfighe e disperazioni, che sono sempre più profonde di quelle degli altri, più grandi, più impietose, …più tutto insomma. Egli si dipinge ai nostri occhi come un moderno Ulisse perseguitato dagli dei, cui capitano tutte una dietro l’altra, e noi, anche se siamo sulla stessa barca, è implicito che certe cose non possiamo nemmeno lontanamente immaginarle.

Egli è. Né più né meno, come quei vecchi che incontri per strada e ti fanno l’elenco dei loro innumerevoli, terribili, incurabili mali, che non lasciano scampo (tipo il mal di schiena o la gotta – perché loro no che non se lo perdono un pasto-). Ma anno dopo anno, è sempre loro che incontri: sempre lì, sempre sulla stessa strada, sempre a lamentarsi, e a “tirare a campare”.

Ora, io non so quale di questi tipi sia giusto essere, o diventare, quale si salverà e quale creperà di fame per primo… ma mi sento di dire una cosa a ciascuno di loro, di noi: al Coraggioso auguro di smetterla di combattere contro i mulini a vento, e di trovare la sua pace; all’Iperattivo auguro che buon pro gli faccia tutto quello che ha accumulato nel suo fremito ansiolitico di “fare” e “avere” e “dimostrare”; al Menefreghista ricordo di guardare fuori dalla finestra con attenzione: l’estate è già finita da un pezzo, ma gli batto anche le mani, perché è lui quello che se la cava sempre e comunque, in ogni situazione, grazie anche e soprattutto a scapito degli “amici”.

Al Disoccupato Medio do una pacca sulla spalla per il coraggio: benché Ligabue ne abbia fatto una canzone, infatti, la vita da mediano è veramente una merda.

E infine al Lamentino ricordo che i compagni di Ulisse erano con lui sulla stessa barca, ed hanno condiviso la sua stessa sorte, ma: di loro non si è mai sentito parlare – non un lamento, né altro- e in più hanno avuto anche la sfiga di dover sopportare lui.

A buon intenditor… il canto delle sirene.


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