di Rina Brundu. 2012DA14? È un asteroide di 45 metri che viaggia nello spazio alla velocità di 8 chilometri al secondo. Venerdì 15 febbraio, alle 20.25 (GMT), mentre l’Italia si preparava a seguire la sua Sanremo Story, ha sfiorato la Terra passando ad una distanza da noi di 27.600 chilometri circa, un’inezia in termini cosmologici. 2012DA14 è uno delle migliaia di corpuscoli spaziali, con orbite vicinissime allo spazio terrestre, che, nel caso di cambio di traiettoria (opzione non del tutto improbabile, considerando le loro dimensioni ridotte e quindi la loro maggiore esposizione a giochi gravitazionali procurati da oggetti, quali per esempio i pianeti del sistema solare, ben più grandi), sarebbe capace di generare una esplosione di diversi megaton, vale a dire di replicare la potenza della bomba atomica di Hiroshima centinaia di volte.
Detto altrimenti, sarebbe tendenzialmente in grado di annichilire la vita di questo pianeta così come la conosciamo e di accelerare la scomparsa dallo stesso di moltissime specie: è accaduto per i dinosauri potrebbe accadere anche per noi. Certo, mi rendo conto che con l’approssimarsi delle Elezioni politiche italiane e dunque delle trasmissioni televisive straordinarie e ordinarie pensate per approfondire l’argomento in questione, dei salotti politici radical-chic, di quelli nazional-popolari, delle interviste a questo o quel leader trombato, a questo o a quel pseudoleader esaltato, a questo o a quel leader inquisito, investigato, arrestato, corrotto, colto nelle mani nel sacco, nella marmellata e dovunque ci sia qualcosa da rubare, la prospettiva di un annientamento cosmico non è poi delle più inquietanti. Come a dire che le vere palle-spaziali che ci rompono davvero i maroni sono altre, ma tant’é.
Tuttavia, mi ha colpito-strano. Mi ha colpito strano come neppure un pericolo così potenzialmente grave riesca a impensierirci. A impensierire noi specie umana in generale e noi specie italica in particolare. Per esempio, in questo periodo dell’anno, in Italia tutto può attendere (naturalmente, anche negli altri periodi, ma facciamo finta che così non sia per amor di cogitamento razionale): tranne Sanremo. E allora, ho concluso, se proprio dobbiamo sorbircelo meglio la versione faziana (o faziosa??) di quest’anno piuttosto che l’immondo spettacolo a cui si è dovuto assistere l’anno scorso. Certo, neppure in questa occasione si è riusciti a liberarsi totalmente della Sindrome Cuore-Amore-Donne-Sempre-Meno-Suore-Spiro-Tanto-Sentimento che tutto pervade sul palcoscenico “spettacolare” italiano; a mio avviso, infatti, si sarebbe potuto fare tranquillamente a meno di invitare Carla Bruni, di inquadrare Serena Dandini, dei continuati spot pubblicitari alla fiction modugnica (perché non si riesce a lasciarlo in pace il grande Modugno?), del fantasma di Pippo Baudo riapparso all’Ariston per promettere (o minacciare) che intende continuare a fare TV, nonché delle usate presenze made in Albano e made in Toto Cutugno. Ma quanti anni ha costui? Che si mantenga così grazie ad un qualche avanzato protocollo ibernativo testato dall’Armata Rossa (ahi Lenin, come sei caduto in basso!), in quel di Siberia? Il dubbio mi assilla.
In compenso lo stile low-profile (furbesco e voluto) di Fabio Fazio questa volta ha colpito nel segno. Ottima l’idea dello spazio riservato alla musica classica, ottima la scenografia che riconciliava il festival col sapore mitico dei programmi di una volta. Ottimo il non aver invitato Saviano (non me ne voglia, ma nel contesto ci sarebbero cascate le balle!) e tutto il parterre intellettualeggiante di “Che temo che fa”. Ottima l’idea delle due canzoni in gara. Ottima la tolleranza dialettica e stilistica con una Luciana Littizzetto assolutamente effervescente, straordinaria, che con questa partecipazione sanremese ha compiuto un passo sostanziale nella trasformazione da brutto anatroccolo in bellissimo cigno. Fenomenale quindi la sua capacità mimica (cosa rara in una donna, cosa che ricordo al meglio solo nell’incommensurabile Tina Pica), il suo spirito libero, la sua carica umana, i suoi fondamentali culturali che le hanno permesso di lanciare in maniera leggera ma importante una serie di messaggi rilevanti, primo fra tutti quello dell’essenza femminile e del suo diritto ad esistere come meglio crede, liberata dalla paura degli orchi bigotti e violenti che pur continuano a spadroneggiare e a vivere impuniti. Ottimo infine lo spazio destinato alla carica trascinante della fantasia che è l’elemento che segna, che marca il tempo e fa ricordare il passato con nostalgia, e che in questo caso ha visto nel gruppo Elio e le storie tese (premio della critica, come a dire che per una volta l’hanno imbroccata!), l’eccellenza di turno.
Meno bene, occorre dirlo, la totale sottomissione all’input censurativo politico, una costante di Fazio per certi versi. Da questo punto di vista male il flop (occorre sottolineare pure questo, perché di flop si trattava!) di Maurizio Crozza, male la sua apparente incapacità di gestire professionalmente (i.e. come comico), il mugugno dei presenti (pensate a quando nei teatri di avanspettacolo il pubblico usava lanciare pomodori e verdure, mi domando, cosa avrebbe fatto Crozza allora?), male il tentativo del conduttore di nascondere il pasticcio, peggio l’accompagnamento fuori dal teatro dei mugugnatori, e non meglio la performance bisiana di ieri sera laddove per non colpire il padre, l’eletto, si è preferito lanciare le pietre al figlio, l’elettore italico. Elettore italico che, intendiamoci, non è immune da colpe, ma se comincia a diventare il caproespiatorio per nascondere la nostra fobia di combattere il sistema, anche solo con la satira, allora vuole proprio dire che siamo davvero alla frutta….
Featured image, 2012DA14, fonte NASA.