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Fenomenologia dell'invito

Creato il 19 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Quando accettiamo qualcosa da qualcuno o quando offriamo qualcosa a qualcuno quali sono le ragioni che inducono a compiere questi atti? Possiamo farlo in ragione del fatto che siamo “costretti”; oppure perché ci “conviene”; infine, perché ci “eccita”. Quindi, possiamo farlo per obbligo, per calcolo o per piacere. Nel primo caso, se siamo costretti, lo facciamo per evitare un danno (o un pericolo), perciò il rifiuto prelude un altro comportamento, in quanto pone in atto una aspettativa; nel secondo, per trarne un beneficio (o per evitare un rischio), e anche in questo caso l’accettazione prelude un altro comportamento, in quanto pone in atto un’aspettativa; nel terzo caso, per soddisfare un nostro impulso. Ognuna di queste ragioni, in linea di principio, non esclude l’altra, tuttavia è difficile pensare che tutt’e tre possano convivere. Possiamo, ad esempio, anteporre la convenienza alla costrizione; oppure il piacere alla convenienza (unire l’utile al dilettevole), ma non è possibile mettere insieme la coercizione e il piacere.
Pensiamo all’atto di ricevere un invito. Capita sempre nella vostra vita che ci sia qualcuno che vi dica: «Se non vieni alla mia festa, mi offendo». In un primo tempo, vi sentite lusingati. L’altro, pensate per un istante, ritiene così preziosa la mia presenza alla sua “festa” che addirittura valuta il mio rifiuto come un’offesa personale. Ma poi vi rendete immediatamente conto che, se volete evitare che l’altro s’offenda, a questo punto non avete scelta: siete “obbligati” ad accettare l’invito. Allora cominciate a chiedervi: «Perché mai l’altro dovrebbe offendersi nel caso in cui io rifiuti di accettare il suo invito?». Comincia, dunque, a insinuarsi un dubbio nella vostra mente: «Sono io la persona preziosa o è chi mi fa l’invito?». In altri termini, l’invito accresce la vostra persona o accresce la persona di chi fa l’invito? Diciamo che entrambe le risposte sono sbagliate, perché ciò che è qui in questione non è l’accettazione dell’invito, bensì il suo eventuale rifiuto da parte vostra. Rifiutare da parte vostra l’invito, vuol dire sminuire il Sé altrui. Escludiamo pure che non sia affatto vostra intenzione offendere l’altro e quindi sminuire il Sé altrui, vi rendere conto allora che non avete altra scelta: o accettate, e quindi evitate di offenderlo, o rifiutate e quindi inevitabilmente lo offendete. L’unica via di fuga che vi rimane è giustificare il vostro rifiuto con una ragione plausibile, ad esempio, adducendo qualcosa (magari un impegno preso in precedenza) che vi impedisce di accettare l’invito. In tal caso il rifiuto viene motivato da ragioni che non attengono alla sfera personale di chi fa l’invito. In ogni caso, qualsiasi ragione adducete per rifiutare l’invito deve essere considerata superiore all’invito ricevuto, qualcosa a cui non potete rinunciare. Diciamo, in sostanza, un altro “obbligo” precedentemente contratto.

Qualsiasi cosa avevate previsto di fare per quel giorno, a meno che non si tratti di un impegno importante, dovete rinunciarci (se non volete offendere l’altro): se quel giorno avevate previsto di vedere una partita di calcio davanti al televisore, oppure di rimanere a casa a leggere un libro o di starvene semplicemente tutto il giorno a bighellonare, ebbene a tutto questo dovete dire di no se volete evitare di offendere chi vi ha fatto l’invito. Tuttavia, neanche la giustificazione dell’impegno importante o improcrastinabile vi salva del tutto, perché bisogna vedere di che si tratta, cioè bisogna entrare nel merito dell’impegno, in quanto se scegliete di dare la priorità all’impegno precedentemente contratto anziché all’invito ricevuto, vuol dire che attribuite più importanza al primo anziché al secondo. Quando qualcuno, dopo aver avanzato un invito, conclude dicendo: «Se non verrai, mi offendo», si capisce che dietro una richiesta del genere c’è una minaccia. La persona invitata non è il fine dell’evento, bensì è soltanto un mezzo per la buona riuscita dell’evento; pertanto, rifiutare l’invito vuol dire svalorizzare l’evento, ossia ciò che rappresenta, in quella particolare circostanza, l’immagine della persona che ha fatto l’invito. Diverso si presenta il caso in cui l’accettazione dipenda dall’utile che possiamo trarne: «Se manchi, perderai una buona occasione di…»; partecipare all’evento diventa quindi interesse dell’invitato; la sua assenza non viene percepita come un’offesa, ma come un’occasione mancata. Ad esempio, potrebbe essere una buona occasione per chiudere un affare o conoscere persone interessanti. In questo caso, la presenza dell’invitato non è indispensabile alla riuscita dell’evento e l’accettazione si fa soltanto in base a un calcolo di convenienza. L’evento è soltanto un mezzo per accrescere il nostro vantaggio, ma la valutazione se la partecipare all’invito accresce o non accresce il proprio vantaggio rimane comunque alla persona invitata; mentre, nel caso della coercizione, il fatto di provocare o meno un danno, nel caso in cui l’altro pone in atto un rifiuto, rimane una decisione della persona che ha posto in essere l’invito.
Quando, invece, un invito viene accettato per il piacere che ci aspettiamo di ricavarci tutto viene finalizzato alla circostanza immediata. Ad esempio, si accetta un invito perché esiste la prospettiva di poterci divertire, quindi dietro l’invito c’è un’attrattiva. In questo caso, la valutazione è del tutto soggettiva, perché soltanto ognuno di noi conosce ciò che lo può attrarre e quindi far piacere. Tuttavia, il divertimento o il piacere che si ricava partecipando all’evento è fine a se stesso, cioè è priva di conseguenza, in quanto non impegna gli agenti in un comportamento successivo, non è un preludio per porre in atto un altro comportamento, come accadeva nel caso in cui l’invito fosse imposto o proposto. La partecipazione non è né un mezzo per evitare un danno né un mezzo per ricavarci un utile: la partecipazione si esaurisce o ha il suo compimento con la fine dell’evento stesso. Inoltre, poiché il buon esito dell’evento piacevole dipende anche dalla nostra partecipazione o dal nostro impegno, allora possiamo dire che la nostra partecipazione è un mezzo per la riuscita dell’evento, ma che allo stesso tempo la buona riuscita dell’evento è il mezzo del nostro divertimento piacevole.

foto:flickr

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