Magazine Diario personale

Fenomenologia delle risse da bar

Da Chiagia

Ho già detto che quando sono al bar per il caffè voglio stare tranquillo, l’ho già detto.
Quindi, voi che entrate nel bar con fare bellicoso e intendete spendere la vostra pausa caffè in un litigio, scegliete un momento diverso da quello in cui ci sono io.
Anche perchè poi finisce, come oggi, che mi distraggo dalla Gazzetta e mi concentro – anche essendo in periodo Rothiano – nei tic della bestia umana impersonata, nell’occasione, da due operai che entrano, si salutano, chiacchierano amabilmente del più e del meno.
Poi, d’improvviso – e senza l’aiuto dell’alcool, giuro – il tono di uno dei due inizia a salire.
Dice che il tale è un ladro, l’altro prova a difenderlo, il primo urla che quello si è fregato i soldi ed è scappato.
Poi spunta una barca, mi sono perso come perchè stavo leggendo di Ibra, nel senso che quello più incazzato si mette a dire che la barca gliel’ha bucata l’altro.
Prima lo dice, già da incazzato, indirettamente, tipo “quelli che mi hanno bucato la barca”.
Poi via via che l’altro alza la difesa il suo assalto si fa più frontale fino al fatidico “non mi prendere per il culo, me l’hai bucata te”, urlato.
L’ultima parte che ho sentito è stata quella cosiddetta “dei giuramenti”.
Uno, che nella sua vita dice che non giura mai per abitudine, ha giurato sul figlio piccolo che la barca gliel’ha bucata l’altro.
Che, pur disabituato al giuramento, si è sentito in dovere di giurare su un nipotino (ancora più piccolo, quindi) che non era vero.
A quel punto ho pagato il caffè, incrociato lo sguardo con la vecchia barista che mi sembrava abbastanza robusta da reggere l’ormai prossimo scontro fisico, e mi sono tolto dai coglioni.
Con un ultimo pensiero ai due bambini giurati, uno dei quali, giocoforza, ormai è andato.



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