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Fenomenologia semiseria di una libreria

Creato il 23 gennaio 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
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Image source Wikipedia

di Umberto Scopa. Vorrei ripercorrere una serie di mie riflessioni sul modo in cui ognuno potrebbe organizzare la propria libreria. Per alleggerire un po’ il discorso racconterò questi pensieri in forma di dialogo, rappresentandoli in un’ipotetica dialettica domestica.

Tra i motivi di litigio intellettualmente più stimolanti nell’ambito di un rapporto di coppia, che vi suggerisco di provare, c’è quello sul riordino della libreria. Viene sempre un momento nel quale vi seduce l’idea di abbandonare la sistemazione casuale dei libri in nome di un qualsiasi ordine.

Naturalmente bisogna avere prima una libreria. Quando io dico una libreria i più pensano a un mobile. Mobile e libreria sono concetti distinti. Un mobile è fatto di assi, cassetti, mensole e supporti, ma una libreria è fatta di libri soprattutto. L’ultima volta che ho comprato una libreria all’Ikea ho spacchettato il tutto per constatare amaramente che c’era una vite in più e però non c’erano i libri. Convinto che non basti una vite per compensarmi della mancanza dei libri mi sono adirato, ma anche calmato subito perchè convincere il mondo delle mie idee è impresa ardua. E’ di tutta evidenza però che un frigorifero è tale anche se vuoto, mentre lo scaffale è qualificato dagli oggetti che vi prendono dimora, che siano urne cinerarie, vasi, soldatini, automobiline da collezione, o addirittura libri.

Riguardo ai libri, come a tutto il resto, io non ho molta memoria e questo suggerisce l’opportunità di avere una libreria ordinata. L’ordine sopperisce al difetto di memoria. Del resto il problema fondamentale che ogni libro pone al suo conservatore dalla notte dei tempi, e che nessun autore ha mai saputo risolvere, è trovarlo quando serve. A meno che non abbiate un solo libro. In tal caso ce la potete fare, ma se il libro in questione non è il Manuale delle giovani marmotte è difficile che quello sia sempre il libro giusto qualunque ricerca.

Se si è in due, non si è mai d’accordo sui criteri da adottare, naturalmente, a volte anche se si è da soli non si è d’accordo con se stessi, certo, ma restiamo al caso più comune, quello della coppia regolare. Occorrono criteri condivisi, quelli che il linguaggio mostruoso della politica definirebbe “bipartisan”.

Prendo in mano un libro a caso, lo rigiro nelle mani con una certa perplessità. Io e mia moglie ci guardiamo con quello sguardo colpevole che chiaramente significa “non lo abbiamo letto”. Succede di trovare nella libreria libri non letti. Ci chiediamo se catalogare libri non letti ci esponga ad un atto di presunzione, come quando si giudica un film che non abbiamo visto o roba simile. So che a queste parole il bibliotecario di professione inorridisce, ma si rassegni perché leggerà anche di peggio nel seguito.

Certo la copertina può offrire già le indicazioni sufficienti, si dirà, ma spesso non si considera quanto possano essere subdole e ingannevoli le copertine. Per esempio “Il cavaliere inesistente” non è un libro che parla dell’ex premier, e “Barbablù” di Kurt Vonnegut non è un libro di favole. Immaginiamo poi che dentro un libro se ne trovi un altro. In “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino è un bell’esempio. Il libro nel libro è un espediente molto usato in letteratura. E lo scoprite solo leggendo. Non potete escludere che il libro contenuto nella storia sia più importante del libro contenitore e sia il primo a dover essere catalogato. Generalmente mia moglie si innervosisce a queste considerazioni aizzata da quel senso pratico femminile di cui non sono provvisto.

Per inciso un altro problema, che non mi riguarda, ma che per completezza devo trattare è quello dei libri rubati. Molti li tengono nascosti e sottratti al piacere dell’esposizione sullo scaffale. Nessuno immagina quali complessi possa maturare un libro rapito e segregato per anni. Si può generare un mostro, senza saperlo. Conosco un tale che ha rubato un libro di Ghandi e dopo anni di isolamento forzato e segregazione era diventato Main Kampf.

Comunque vorrei tranquillizzare chi possiede libri rubati e anche chi li ha rubati. L’art 1153 del codice civile dice che se voi comprate un libro rubato, ma lo comprate in buona fede, cioè senza sapere al momento dell’acquisto che è rubato, il vostro acquisto è sano e inattaccabile. Se gli autori del furto siete voi potete sempre dire che lo avete comprato in una bancarella e siete a posto. Esponetelo senza problemi. Chiunque volesse rivendicarlo nulla può ottenere da voi. Viva il codice civile!

Veniamo ai criteri di catalogazione. La prima regola dovrebbe essere quella di non innamorarsi troppo dei criteri di catalogazione. Predefinire delle categorie astratte può portare ad innamorarsi dei criteri di catalogazione con l’infausto risultato di non comprare un libro solo perché non si inquadra in nessuna categoria predefinita della vostra raccolta. Per esempio se siamo innamorati del criterio si sistemazione per nazionalità dell’autore lo scrittore apolide lo metteremo in cantina. Bisogna invece adottare l’idea che ogni scrittore ha diritto di cittadinanza in una libreria, indipendentemente dalla cittadinanza.

Mia moglie ora esibisce con aria interrogativa un libro terribile solo a pronunciarlo: un testo di biblioteconomia. E’ un libro che ho usato per alcuni concorsi (ovviamente non andati bene). Le spiego che questo libro è l’unico che non ha diritto di cittadinanza nell’insieme degli altri. E’ un libro che spiega come catalogare gli altri libri e questo porta con se il suo destino. Il libro che spiega come catalogare gli altri libri è la fonte delle regole ed è su un livello sovraordinato rispetto alle regole stesse, per forza, come la sorgente di un torrente è più in alto del torrente che ne scaturisce.

Ma c’è anche una ragione pratica. Se il libro che stabilisce come trovare gli altri libri, viene messo tra gli altri libri diventa difficile da trovare come gli altri libri e la sua utilità svanisce. Qualunque sistema ordinato non è mai autosufficiente, ma dipende da un documento esterno ad esso e superiore che stabilisce come deve essere ordinato. Quindi se non può far parte della libreria, occorre trovare un’altra soluzione apposita per lui. Appenderlo al soffitto con una catenella, ben in vista. Nella dinamica del rapporto di coppia siate a buon punto, sulla strada del divorzio.

Per modeste raccolte di libri comunque si sconsiglia la classificazione Deway usata da tutte le grandi biblioteche. Più pratica potrebbe essere la sistemazione degli autori in ordine alfabetico. La cosa può avere effetti drammatici se Tolstoj Leone viene a trovarsi gomito a gomito con Totti Francesco, pure autore di libri di successo. O Pavese Cesare con Pavone Rita. Non tutti hanno lo stomaco per sorvolare su questo.

Ma ci sono anche altri criteri. Suddividere per epoche trattate nei vari libri per esempio. Nei libri che trattano gli anni 80 però mi trovo 1984 di Orwell scritto nel 1948 e la cosa mi disturba poi mi capita “Timeline” di M. Crichton, dove il tempo narrativo sbalza di continuo dal medioevo ad oggi e impazzisco. Bocciato.

Perché non ordinarle per case editrici allora?. Il criterio non è di aiuto nella ricerca e lo verifichiamo subito. Cercate un libro di Massimo D’Alema, bene, ditemi a chi verrebbe in mente in un paese normale di cercarlo tra i libri editi da Mondadori, la casa editrice del suo più acerrimo avversario, che incassa i proventi delle vendite. E invece è proprio tra quelli (le chiamano sinergie). Uno vorrebbe nella propria libreria fuggire da questo paese e invece eccolo lì, sempre in agguato.

Suggerisco un’ordinazione del tipo i libri alti vicino a quelli alti, i bassi vicino a quelli bassi, con un complessivo effetto visivo decrescente dell’insieme anche gradevole. Dicono che corrisponda ad una concezione anche decorativa della disposizione dei libri. E riduca la superficie d’appoggio della polvere, benché sia dimostrato che una concezione puramente decorativa della propria libreria tende ad accumulare molta più polvere. Per ovvie ragioni.

Però c’è un criterio che mi ha sempre affascinato. E’ quello che lo studioso Aby Warburg ha definito “del buon vicinato”. Warburg aveva una vasta biblioteca che pare abbia cercato di organizzare con questo criterio. La sua idea era che si potesse stabilire una rete di associazioni mentali che giustificasse la vicinanza di collocazione dei vari libri. Esempio: il libro di Walter Tavis “La regina degli scacchi” parla di una giovane campionessa di scacchi, Beth Harmon, il gioco degli scacchi è il tema dominante di tutto il libro. Questo libro starebbe benissimo vicino a “La variante Lunenburg” di Maurensig che racconta la storia di un abile scacchista prigioniero di una campo di concentramento nazista, che riesce a sottrarsi alla morte certa solo nell’estenuante prolungarsi di una partita a scacchi con il suo carceriere. Questi libro, sua volta, potrebbe stare a fianco de “Le mille e una notte”, dove la bella Sherazade raccontando al sultano ogni notte una nuova storia rimanda per mille e una notte la sua esecuzione. Ma il libro di Maurensig, descrivendo un lager, potrebbe stare anche a fianco del libro “Acido solforico” di Amelie Nothomb che descrive un campo di concentramento di fantasia dove si svolge un reality show. Il criterio è molto stimolante e molto soggettivo perché basato sui libri che uno ha a disposizione e che ha letto. Per un grosso quantitativo di libri ci si può fodere il cervello. Aby Warburg è morto pazzo e non vorrei che questa fosse la controindicazione del metodo proposto. Ma certo è affascinante.

In fin dei conti però, a pensarci bene, mi basterebbe un solo criterio, quello della suddivisione in base alla direzione di lettura del titolo sul dorso del libro. Cioè si mettono vicini fra loro quelli che hanno il dorso scritto dal basso verso l’alto e quelli dall’alto verso il basso. Le direzioni sono solo due, ma è già qualcosa. Si evitano capogiri quando si scorrono gli occhi sugli scaffali. Ma è un criterio un po’ rinunciatario, d’accordo.

Così rinuncio al riordino e annovero tutti i libri nell’unica categoria denominata “varie ed eventuali”, cioè la tomba di ogni classificazione.


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