Ferdinando Pacciolla, “ l’Uomo gamma ” di Gallipoli. Quando la realtà supera la fantasia
9 settembre 2015 di Redazione
di Lucio Causo
Una vita straordinaria, avventurosa e piena di rischi, quella di Ferdinando Pacciolla, l’Uomo Gamma di Gallipoli. Una vita che ricorda i film di guerra “Uomini sul fondo” e “I sette dell’Orsa Maggiore”, nonché l’agente segreto James Bond, alias 007, frutto della fervida fantasia dello scrittore Ian Fleming.
Nato a Gallipoli il 19 marzo 1918, Ferdinando Pacciolla si arruolò nella Regia Marina a 16 anni. Le straordinarie doti di nuotatore gli permisero di classificarsi al 15° posto su 300 al corso dei reparti speciali della Marina Militare.
Nel dicembre del 1942, in piena seconda guerra mondiale, entrò nei reparti di assaltatori subacquei della X Flottiglia MAS. Faceva parte degli “Uomini Gamma”, valorosi marinai che svolgevano missioni estremamente pericolose di incursori subacquei, sabotatori, assaltatori, palombari, spesso senza ritorno. Per un certo periodo appartenne al glorioso reparto dell’Orsa Maggiore” reso famoso dal film di Duilio Coletti nel 1953.
Fu così che prese parte alle azioni subacquee per minare i depositi di carburante e le chiglie delle petroliere inglesi ormeggiate nel porto di Gibilterra. Nella notte tra il 6 e 7 aprile 1943 c’era lui su uno dei barchini d’assalto che tentarono di forzare il porto di Bona, in Algeria, pieno di navi inglesi. Ferdinando fu l’unico Uomo Gamma a non essere mai catturato dal nemico. Ricorda il figlio Maurizio, che vive a Gallipoli nella casa materna, trasformata in un piccolo museo: “Il 21 marzo del 1999, la nave scuola “Orsa Maggiore”, a causa di una forte tempesta, si rifugiò nel porto di Gallipoli. Presentatomi al comandante della nave, Capitano di Corvetta Paolo Saccenti, divenuto poi Ammiraglio, vidi per la prima volta lo stendardo del glorioso reparto, tra la commozione mia e dello stesso Saccenti”.
Dopo l’armistizio, Ferdinando dovette scegliere tra la galera e lo sminamento dei porti italiani. Preferì andare al Nord e far brillare le mine sott’acqua. “La morte si divertiva accanto a lui – racconta Maurizio – Mio padre si faceva fotografare mentre disinnescava le mine di profondità che potevano saltare in aria solo per lo spostamento dell’acqua che qualche pesce sfortunato provocava”.
Il 20 giugno 1948, con passaporto n.10939116P, professione “palombaro”, Ferdinando entrò in Egitto. Era il primo di numerosi viaggi che avrebbe fatto in Mediterraneo per svariate missioni come agente segreto. Secondo il figlio Maurizio, partecipò ai lavori di ampliamento del canale di Suez, alla creazione del Corpo Incursori Egiziano e alla guerra dei sette giorni della R.A.U. (Repubblica Araba Unita) contro Israele. Per questi servigi resi allo Stato egiziano, gli fu conferita la Croce dell’Ordine del Nilo.
Rientrato in Italia, negli anni 1957/58 si dedicò ai genitori, ai fratelli e nipoti. Ferdinando era molto generoso. Erano gli anni della guerra fredda e ben sette reti spionistiche operavano nel Mediterraneo: la più pericolosa era quella filo-israeliana, ove militavano numerosi mercenari, anche italiani. L’Europa e l’America cercavano di contrastare l’Unione Sovietica che ambiva mettere un piede nel mare Mediterraneo. Ferdinando collaborava con i governi occidentali; era molto efficiente ed apprezzato: non aveva mai fallito una missione. Venne contattato da vari servizi segreti perché collaborasse con loro nel tentativo di eliminare Nasser, diventato molto potente ed in grado di tenere unito il mondo arabo. Ferdinando rifiutò sempre con ostinata determinazione. Ma fu coinvolto lo stesso nella guerra di spie. Nel 1959, improvvisamente, vennero respinte tutte le sue richieste di rientro in Egitto. Si rivolse al Governo italiano senza alcun esito. A Gallipoli s’accorse di essere pedinato da agenti del controspionaggio palestinese che controllavano tutti i suoi spostamenti. In quel periodo ci fu l’attentato alla vita di Nasser e gli egiziani scoprirono che sul loro territorio erano state impiantate diverse reti spionistiche, compresa quella degli israeliani, acerrimi nemici. Maurizio racconta che suo padre sapeva di essere sospettato, ma era sicuro di poter dimostrare la sua innocenza e che lui con gli israeliani non aveva niente a che fare; perciò decise di partire aiutato dai servizi italiani. Appena mise piede in territorio egiziano, Ferdinando venne arrestato dagli agenti del governo della R.A.U. per volontà dello stesso Nasser, che aveva firmato il mandato di cattura. Tradotto immediatamente in carcere, fu interrogato e torturato. La sua determinazione e la forza delle sue ragioni, impressionarono talmente la giuria che alla fine del processo decise di commutare la condanna a morte come spia nemica, in condanna ai lavori forzati per quindici anni. Dopo quattro anni, per intercessione del Governo italiano (Giulio Andreotti era Ministro degli Esteri), ottenne finalmente la grazia e la libertà.
Nel 1964 rientrò in Italia, ormai era diventato famoso, perfino il “New York Times” diede la notizia della sua liberazione.
Nel dicembre del 1965, Ferdinando sposò Lucia Spinola, anche lei di Gallipoli. Fra i due c’era una differenza di quindici anni, ma tutto andò bene. Riuscì a trovare un impiego alla “Minova” di Brindisi ed arrivarono i figli: Maurizio e Federica.
Dopo qualche tempo Ferdinando si ammalò. Era l’anno 1969, i medici diagnosticarono un tumore ai polmoni. Aveva 52 anni quando morì, lasciando la giovane moglie e i due figli da crescere.
Maurizio racconta che mentre suo padre stava male, alcuni funzionari dei servizi segreti italiani, giunti da Roma, si trattennero nella stanza dell’ospedale per alcune ore, a porte chiuse. Pare che successivamente anche Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Flottiglia MAS si fosse trattenuto in quella stanza d’ospedale.
Quando Ferdinando morì, la moglie Lucia rimase sola; dovette ritornare subito al lavoro per poter crescere Maurizio e Federica. Non ebbe alcun aiuto dallo Stato, nessun riconoscimento, nessuna pensione di guerra per il servizio prestato in Marina dal povero Ferdinando. Lucia ha potuto contare soltanto sulla pensione di 150 euro al mese per il lavoro prestato dal marito presso la “Minova” di Brindisi. Della famiglia di Ferdinando Pacciolla si erano dimenticati tutti.
Lucia Spinola, il 23 ottobre 2007 si ammalò gravemente e fu ricoverata in ospedale. Il 30 dicembre dello stesso anno si spense in un sonno sereno, dice Maurizio, che era rimasto accanto alla madre fino alla morte.
Nella sua casa sono perfettamente conservati ed esposti documenti, passaporti, lettere, fotografie, cimeli del tempo di guerra e la Croce di Cavaliere dell’Ordine del Nilo. Sono oggetti preziosi, ricordi di una vita intensamente vissuta dal caro padre e che Maurizio e Federica custodiscono gelosamente.