Campo Grande, lungometraggio della regista brasiliana Sandra Kogut, classe 1965, approdata al panorama cinematografico internazionale con Mutum (Caméra D’Or al Festival di Cannes nel 2007) è ambientato proprio nella sua città natale, in un momento unico della storia del Paese.
È la regista a spiegare il contesto in cui si colloca il film; negli ultimi anni il Brasile sta attraversando una fase di boom economico, le città sono un cantiere in continuo movimento, nuove strade, reti metropolitane, centri commerciali; il tutto sta accadendo in un turbine esplosivo e precipitoso, tanto da sembrare un “disperato tentativo di civilizzazione condannato a fallire”. Per le classi sociali meno abbienti, “che non hanno mai posseduto un’automobile a hanno sempre sognato di possederne una, il traffico congestionato è simbolo di progresso”. L’idea di cittadinanza viene sempre più spesso identificata (e confusa) con il consumismo al punto tale che essere cittadino vuol dire “poter comprare”.
Campo Grande – ci tiene a precisare Sandra Kogut – non è un film sociologico; girato con un taglio che molto ricorda il realismo del documentario, tratto che contraddistingue anche gli altri lavori dell’autrice, le riprese sono state effettuate senza bloccare il traffico o far chiudere strade o chiedere permessi, come fosse un film documentario. “Non sarebbe stato possibile girare un film del genere senza quel contorno di caos e senza la cultura dell’informalità”.
Ygor (Ygor Manoel) ha otto anni e sua sorella Rayane (Rayane do Amaral) ne ha sei e vengono da Campo Grande, un quartiere malfamato nella zona ovest di Rio; vengono abbandonati dalla madre di fronte al portone di un elegante condominio di Ipanema, dove vivono Regina (Carla Ribas), una donna di mezza età che sta attraversando la difficile transizione dovuta alla recente separazione da suo marito, sua figlia Lila (Julia Bernat) e la loro domestica Wanda (Mary de Paula). L’arrivo inaspettato dei due ragazzini nel mondo ordinato e borghese di Regina la porterà ad un “viaggio” nella città alla ricerca della madre, che si rivelerà un viaggio nell’anima per Regina e soprattutto una ricerca del suo rapporto con la figlia.
Il contorno del film è realistico ma la sua dimensione riguarda il mondo interno dei personaggi, gli innumerevoli cantieri di Rio esistono realmente ma il caos che generano rappresenta quello che i personaggi stanno vivendo dentro di loro: si tratta prima di tutto di un film sull’imprevedibilità della vita, che non dipende dalla classe sociale a cui si appartiene. Ygor ha nove anni e Regina ne ha cinquanta, uno è povero l’altra è benestante ma in termini emozionali sono sullo stesso piano. Tutti e due stanno andando incontro, seppur bruscamente, a dei cambiamenti importanti e il film ci ricorda che questo può avvenire sempre e in qualsiasi momento. E a chiunque. Campo Grande non è solo il quartiere malfamato di Rio; prendendo alla lettera il suo significato di grande spazio apre ad una serie infinita di possibilità, nel bene e nel male, un territorio sconosciuto e sconfinato dove tutto può succedere. Per Ygor, è Ipanema è il suo Campo Grande, mentre per Regina, forse, la sua nuova vita dopo la separazione.
Il film è stato girato con attori non professionisti, come i due bambini, e altri attori non molto famosi; il cast artistico si è preparato per mesi prima di iniziare a girare, instaurando le relazioni che avrebbero dovuto rappresentare sul set; così infatti le interpreti di Regina, Lila e la domestica Wanda avevano coabitato nella stessa casa, nei ruoli che avrebbero recitato nel film. Questo ha una complicità e un affiatamento molto intensi; tutti gli attori erano sempre presenti sul set, anche quando non dovevano girare, proprio per fare in modo che anche con la sola presenza, quei legami tra personaggi si mantenessero sempre vivi. Hanno lavorato in un modo che “soltanto gli attori che sono fuori dallo star system possono permettersi” come racconta Sandra Kogut, che ha voluto dare al film una dimensione di intimità limitando “il circo delle riprese”, utilizzando un cast tecnico ridotto al minimo, per far sì che quando gli attori giravano non sentissero la presenza ingombrante di troppe persone, e soprattutto vietando le fotografie e l’uso di social media.
Anna Quaranta