Festival di Cannes – Trionfa Kechiche. Sorrentino non ce la fa

Creato il 27 maggio 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

L’emozionante La vie d’Adéle si aggiudica la Palma d’Oro. Questo il verdetto finale della giuria presieduta da Steven Spielberg, che ha cercato di accontentare tutti, o quasi. A rimanere fuori dal Palmarés, film, autori ed interpreti di rilievo, ma in un concorso di così alto livello come quello di quest’anno, era inevitabile che ci sarebbero stati degli esclusi illustri. Tra questi, su tutti, Roman Polanski con il suo splendido La Vénus a la Fourrure, Paolo Sorrentino con il suo La grande bellezza, Steven Soderbergh e Michael Douglas, rispettivamente regista e interprete del bellissimo Behind The Candelabra. Ma delle scelte andavano fatte e la giuria ha deciso così. Per cui nessun rammarico e nessuna polemica, soprattutto per “l’Italia a bocca asciutta”, come si è soliti titolare dopo un festival in cui i nostri film non riescono a racimolare premi. Sorrentino si è difeso alla grande in una selezione notevole, ricevendo critiche ottime dalla stampa internazionale e vendendo il film quasi in tutto il mondo. Onore quindi agli sconfitti che si son battuti con onore e, ovviamente, ai premiati. Tutti. Compreso Amat Escalante, autore messicano del discusso e violento Heli, che ha ricevuto la Palma per la miglior regia. Perché se la sua “mise en scéne”, come la chiamano i francesi, non dimostra ancora piena maturità (ricordiamoci però che ha soli 34 anni), ha in ogni caso il pregio di essere sempre coerente a se stessa e di avere grande coraggio.
La Palma d’Oro a Kechiche (consegnata eccezionalmente anche alle due interpreti femminili, vera anima del film) è meritata, senza dubbio. Il vortice di emozioni in cui ti immerge totalmente il film del regista franco-tunisino non ha potuto lasciare indifferente la giuria. Il Grand Prix a Inside Llewyn Davis è invece l’ennesimo riconoscimento a due autori straordinari, Joel e Ethan Coen, che pur non realizzando uno dei loro film migliori, riescono sempre e comunque a sorprendere e a divertire con il loro inconfondibile stile. Meritatissimo il Premio alla Giuria a Kore-eda Hirokazu e al commovente Like Father, Like Son che avevamo messo da subito tra i favoriti per la vittoria finale, così come giusto il riconoscimento a un maestro come Jia Zhangke per la sceneggiatura di A Touch of Sin, film denuncia sulla violenza in Cina. Venendo agli interpreti, non sarà stato facile per la giuria arrivare ai verdetti. Di attori e attrici notevoli ne abbiamo visti tantissimi in questo festival, e anche i film meno entusiasmanti del concorso presentavano comunque perfomance toccanti (pensiamo ad esempio alla Marine Vacht di Jeunne & Jolie). Ecco perché siamo certi che alla fine l’abbiano spuntata due interpretazioni, sì notevoli, ma riconducibili a film che la giuria non voleva escludere dal Palmarés. Così i premi a Bruce Dern per Nebraska e a Bérènice Bejo per Le Passeé suonano anche come riconoscimenti alle pellicole di cui sono protagonisti.
Eravamo tutti d’accordo sui tre premi principali, ha affermato Spielberg. La parola “unanimità”, però, non è mai uscita dalla sua bocca, per cui siamo convinti che i giurati hanno avuto di che discutere durante le loro riunioni. E dovendo giudicare quella che forse è stata la selezione migliore degli ultimi cinque anni, era inevitabile.

di Antonio Valerio Spera


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