Anno: 2014
Durata: 131'
Genere: Drammatico
Nazionalita: Francia
Regia: Mia Hansen-Løve
Mia Hansen-Løve, giovanissima e assai dotata regista francese (classe 1981), chiude la sua ‘prima’ trilogia (Tout est pardonné, Il padre dei miei figli, Un amore di gioventù) e cambia registro, lo sguardo si astrae dai rapporti individuali dei primi film per cogliere il respiro di una generazione attraverso una messa in scena attenta, originale, articolata in due capitoli, in cui ad essere analizzata è la vita di un gruppo di giovani francesi uniti dalla passione per la musica garage che, proprio in quegli anni, incontrò il favore di una vasta fascia di pubblico.
Si parte dal 1992, il protagonista, Paul (Félix de Givry), comincia la sua carriera di disk-jockey, mestiere che, nonostante tutte le difficoltà del caso, cercherà di portare avanti in un arco temporale di vent’anni: ne seguiamo le vicende, gli amori, le aspirazioni, il tutto accompagnato da una colonna sonora che diviene elemento portante della struttura del film. La regista evita brillantemente di cadere nel cliché di una resa iperrealistica, prediligendo un tono sobrio, fermandosi sempre un passo prima della rappresentazione dell’eccesso; il suo sguardo si posa insistentemente sulla quotidianità, favorendo una dilatazione temporale che restituisce un flusso emotivo in continua espansione, schivando qualsiasi scivolata spettacolarizzante. L’attenta selezione musicale, che attraversa il film incessantemente, è proprio ciò a partire da cui si dipana una doppia temporalità: da un lato uno sguardo che si sofferma sull’immagine, che rimane, diciamo così, attaccato ad essa, dall’altro, invece, un processo di storicizzazione che descrivere il percorso di salita e discesa rispetto alla parabola dell’esperienza. I dialoghi non sono quasi mai accesi, i toni appaiono soffusi, e la tragedia, che pure in un certo senso si consuma, è contenuta in una rappresentazione minimale, tenuta a freno, imbrigliata sapientemente da uno sguardo che rimanda tenacemente ad un fuori campo assoluto (non relativo), e il versante della fruizione (l’occhio dello spettatore) è convocato a partecipare a questo processo di ‘gestazione dell’immagine’.
Le atmosfere ricordano non poco quelle del fortunato film di Garrel Les Amants réguliers, in cui i personaggi, alla prese con le speranze e le delusioni del Maggio francese, annaspavano in un acquario in cui, pian piano, non smettevano di annegare. Qui il dramma è neutralizzato, nel senso che è già da subito annunciato, non ci sono ideali politici, cause da sostenere, e l’unico elemento in cui credere, la musica, si rivela fin dall’inizio assai debole. Paul parte annichilito e finisce annichilito, non riesce a costruire nulla di solido. Il suo lavoro si rivela un fallimento, visto che per portarlo avanti non può far altro che contrarre debiti e si ritroverà sulla soglia dei quarant’anni senza più alcuna risorsa economica. Il fronte sentimentale è anche peggio: le storie sono fragili, l’amore non costituisce quell’evento installandosi nella traccia del quale trascendere le miserie della finitezza. Non c’è nulla che redime. Tutto è in caduta, in perdita. E l’Eden pare proprio definitivamente smarrito.
Luca Biscontini