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Festival di Roma: “Trash” di Stephen Daldry (Gala)

Creato il 24 ottobre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2014

Durata: 113'

Distribuzione: Universal Pictures

Genere: Avventura, Drammatico, Thriller

Nazionalita: Gran Bretagna/Brasile

Regia: Stephen Daldry

Il giovane Billy Elliot, alla domanda: “Cosa è per te la danza?”, rispondeva: “Elettricità”. E sembra che Stephen Daldry – autore dell’omonimo famoso film del 2000 – dia la stessa risposta con il suo stile di regia. Con soli 5 film all’attivo, il regista britannico ha dato prova di essere un sofisticato direttore d’orchestra, capace di coordinare alla perfezione i magici strumenti che ogni pellicola dovrebbe possedere per (ri)suonare in modo magico. Sceneggiature possenti, cast di attori sempre di altissimo livello (nel suo The Hours vinse l’Oscar una certa Nicole Kidman che vestiva i panni di Virginia Woolf e in The Reader si aggiudicò ancora il prestigioso Oscar per la migliore interpretazione femminile una superba Kate Winslet) e un’enorme carica di pathos sia nella narrazione che nel montaggio. Lo stesso pathos e la stessa elettricità li ritroviamo nel suo ultimo lavoro: Trash.

Daldry colloca l’occhio della macchina da presa lontanissimo dal benessere occidentale passivo a cui siamo abituati, decidendo di raccontare una storia ai margini del mondo: nelle favelas brasiliane. Una storia vera. Non “vera” perché i fatti sono realmente accaduti, ma perché incredibilmente verosimile nonostante gli eventi che si susseguono sulle schermo possano apparire straordinari. È sicuramente fuori dall’ordinario che tre ragazzini di 14 anni ritrovino un portafoglio appartenuto a un importante attivista politico rovistando nella spazzatura, oppure no? È certamente improbabile che gli stessi 3 ragazzini non accettino dalla polizia locale una lauta ricompensa in cambio di quel portafoglio, o no? Sono tante le domande che affollano la mente durante la visione del film. Domande curiose, accompagnate da immagini di azione ricche di tensione emotiva, che ti incollano alla poltrona e ti pervadono di una strana sensazione: un mix tra un senso di forte pericolo e di frizzante avventura. Non è una dote comune, per un regista, saper mescolare in modo sapiente diversi generi cinematografici; ci si accorge subito che l’obiettivo è stato centrato quando, a sorpresa, ti ritrovi catapultato dentro la storia e ne vivi sulla tua pelle i suoi drammi.

Il cuore, la trama e il significato del film girano tutti attorno a questi invisible children brasiliani: vivaci, coraggiosi, imprevedibili. Aggettivi riferiti non solo alle caratteristiche dei lori personaggi, ma ai pregi dei giovanissimi attori di talento che li interpretano. Sono spinti da un’irrefrenabile voglia di cambiare il mondo, tipica non solo di chi vive in una condizione di povertà e disperazione, ma soprattutto di chi vive dentro sé un forte senso di giustizia e lealtà. Qualità che, tra l’altro, possiedono i popoli dalla cultura e dalla mentalità rivoluzionaria. La rivoluzione. Merce rara, di questi tempi. La giustizia. Sbeffeggiata dagli uomini di potere e considerata un’utopia dalle genti disilluse dagli stessi, ipocriti burattinai dei governi. Quante persone metterebbero a repentaglio la propria vita per un ideale giusto? I 3 bambini sono convinti che ne valga la pena e iniziano ad indagare sul contenuto di quel portafoglio, intuendo che si tratti di qualcosa di tanto misterioso quanto rischioso. Si accavallano scene risalenti ad episodi passati con quelle che ritraggono il presente che, pian piano, diradano la nebbia fitta dell’enigma. Si respira una nera atmosfera di thriller e subito dopo si passa a momenti più leggeri e ironici. I bambini, con la loro innocenza ma al tempo stesso con la loro candida saggezza, si scambiano diverse battute brillanti che regalano al film una lieve (ma sagace) connotazione di commedia. Si nota come Daldry abbia concesso molto spazio alla recitazione spontanea, che ha dato modo ai giovani talenti di potersi esprimere al meglio tramite l’improvvisazione scenica, sia per quanto riguarda la sceneggiatura che i piani sequenza d’azione più adrenalinici. Vedere correre la piccola comitiva di brasiliani sui tetti della baraccopoli, inseguiti dalla polizia a cui, spesso, veniva esposto loro il dito medio…è senza dubbio materiale ottimo per una sana, catartica risata. Il film mantiene fino alla fine una sua coerenza, esalta l’umanità di un semplice gesto di amicizia e solidarietà tra chi ha un percorso in comune che  necessita di essere portato a termine con tutte le forze. Un messaggio ben preciso di vera speranza contro il triste cinismo dilagante. Un elogio alla purezza.

Oltre all’inedito cast di attori brasiliani, riconosciamo due volti hollywoodiani: Martin Sheen che interpreta il prete del villaggio e arricchisce l’opera con la sua evidente, sostanziosa esperienza attoriale e Rooney Mara, il cui ruolo avrebbe dovuto comunicare una dolcezza tipicamente femminile ma che si è rivelata inspiegabilmente catatonica. Si piange, si balla (attenzione, niente a che vedere con la favola di Danny Boyle, The Millionaire), si lotta fianco a fianco dei protagonisti. E poi esplode un grande applauso in sala che ti scalda come un abbraccio. Se si tenesse fede allo stesso calore provato davanti a uno schermo anche quando si ritorna alla realtà, sarebbe certamente un mondo migliore.

…dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

Giovanna Ferrigno


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