E' sembrato un altro Festival di Sanremo. Non era cosa da Fazio, in effetti, il magma indefinibile, e ai limiti del sopportabile, andato in scena martedì, fra mancanza di ritmo, lungaggini inenarrabili e la gara fra cantanti messa in un cantuccio, nonché appesantita da brani difficilissimi da digerire al primo ascolto. Ieri sera altra musica, in tutti i sensi: fatte le debite proporzioni, qualcosa di maggiormente avvicinabile agli stilemi delle più brillanti edizioni anni Ottanta della rassegna. Uno spettacolo più snello e più brioso nella sua architettura generale, e canzoni che sono parse di almeno una spanna superiore, sul piano dell'immediatezza, rispetto a quelle presentate ventiquattr'ore prima. O sarà che la mancanza di elementi di tensione, e di altri estranei alla linea editoriale sanremese, hanno permesso di concentrarsi maggiormente sul fulcro della kermesse, ossia sul concorso canoro? AUDITEL NOTA DOLENTE - Poiché, però, gli errori si pagano, ecco piombare sul Festival, a metà mattinata, la notizia di un crollo di ascolti come da diverso tempo non si registrava (forse dal 2008, ultima stanca tappa dell'era Baudo). Sì, certo, la partita del Milan e il calo fisiologico della seconda serata, ma ridurre tutto a questi due elementi sarebbe poco onesto: la verità è che, dopo aver assistito a un vernissage fra i meno convincenti di sempre, una consistente fetta di pubblico ha abbandonato la baracca, e la si riuscirà a recuperare in toto, forse, solo per l'appuntamento conclusivo di sabato. Mi spiace, ma una prima serata di Sanremo, a parte gli imprevisti causati dagli aspiranti suicidi, non può essere considerata un "rodaggio": ogni dettaglio deve essere perfettamente a punto già dal martedì, altrimenti tutto il prosieguo dello show ne risente. Ed è un peccato, perché chi è stato assente ieri si è perso un gala di grana buona. LO SCANDALO GIOVANI - Il salto di qualità più evidente, si diceva, lo si è avuto grazie al sale della kermesse, ossia a cantanti e canzoni in lizza. E, si badi bene, non solo per quel che riguarda i Big: i primi quattro giovani, infatti, hanno proposto brani di gran sostanza, estremamente convincenti. Avendoli ascoltati con qualche settimana di anticipo sul sito della Rai, ne avevo già parlato in questo post gettonatissimo, ma vale la pena ribadirlo. Diodato e Zibba, qualificati secondo previsioni, hanno sicuro avvenire (anzi, il secondo ha già un notevolissimo curriculum da sfoggiare), Fillippo Graziani è stato forse penalizzato da un'orchestra che in certi momenti dell'esecuzione è parso sovrastarlo, Bianca ha sposato una linea melodica tradizionale ma ha talento e il pezzo si fa ascoltare. Rimane un punto dolente: tutti e quattro sono andati in scena ben oltre la mezzanotte, quasi a ridosso dell'una. Non è un Paese per giovani, l'Italia, e il Festival, invece di capovolgere l'assunto, lo segue e lo accentua, altro che rinnovamento faziano. Che non ci siano giustificazioni a questo indegno trattamento lo scrivo da anni, e anche la scusa dell'Auditel viene a cadere, dopo i risultati di oggi: voglio ricordare che, per lungo tempo, le Nuove Proposte a Sanremo hanno spesso aperto lo spettacolo, e i dati di ascolto non ne hanno quasi mai risentito, anzi. Bella trovata davvero, relegarli a notte inoltrata per dare spazio al maxi show di Baglioni, più o meno inaccettabile come l'ospitata di Ligabue (a favore del cantautore romano, come scritto nei giorni scorsi, solo un percorso artistico più lungo e onusto di gloria, ma la sostanza è la stessa, ossia: perché non in gara come gli altri?). IL FESTIVAL INIZIA STASERA - Per quanto riguarda i Big o Campioni, come detto, la seconda serata ha snudato un altro errore compiuto dall'organizzazione: artisti mal distribuiti, col meglio, perlomeno in fatto di "easy listening", concentrato ieri sera, al punto che, contrariamente a quanto successo per la prima tornata di concorrenti, mi è stato spesso difficile scegliere quale delle due proposte avrei voluto mandare avanti. Anche oggi ne parlerò in estrema sintesi: facendo quasi un copia e incolla di quanto scritto l'anno scorso, giova ribadire che la vera gara inizierà questa sera, quando sul palco dell'Ariston sfileranno, una dopo l'altra (si fa per dire, fra un'ospitata, un amarcord e un astronauta...) i quattordici pezzi finalisti. Le due eliminatorie sono state solo uno stanco preliminare, che piace ai cantanti (i quali possono dare vita a una performance più sostanziosa) e al loro management (che può promuovere ben due estratti del nuovo disco), ma che cozza sonoramente contro la tradizione della manifestazione rivierasca, contro i suoi meccanismi consolidati attraverso i decenni, e rende lo spettacolo difficilmente digeribile.
RENGA IN POLE POSITION - Comunque: l'accoppiata Francesco Renga - Elisa ha prodotto una "Vivendo adesso" che sembra avere addosso le stimmate della vincitrice, mentre "Baciati dal sole" di Noemi, comunque destinata ad un buon piazzamento, ha tutte le carte in regola per sbancare gli airplay radiofonici e le classifiche di vendita. Giuliano Palma porta avanti "Un bacio crudele": la canzone è griffata Nina Zilli e si sente, perché gli echi di precedenti produzioni della cantante piacentina si avvertono fin troppo. Avrei preferito la frizzante "Così lontano", così come per Riccardo Sinigallia sarei stato più contento del passaggio del turno di "Una rigenerazione", dal sound insolito e avvolgente, arrangiamento da music maker di larghissime vedute, ma va detto che "Prima di andare via" rappresenta la summa della miglior produzione dei Tiromancino (di cui lui fu non a caso l'eminenza grigia, elemento fondamentale nella strutturazione dei brani), quelli a cavallo fra i due secoli. SORPRESA RUBINO - Di certo, Sinigallia ha portato sul palco una ventata di freschezza, come anche Renzo Rubino, per il quale alla vigilia avevo eccepito sulla qualifica di big (e, da questo punto di vista, rimango sulle medesime posizioni) ma che è giunto in concorso con due opere di ottimo livello e che con l'incalzante "Ora" si candida a possibile outsider della finalissima. Ron ha perso per strada la delicata (e più festivaliera) "Un abbraccio unico", mentre l'allegra e... campagnola "Sing in the rain" ne mette a fuoco la volontà di non fossilizzarsi in unico stile e di cercare di battere vie nuove. Infine, Francesco Sarcina, ma dire "Vibrazioni" sarebbe lo stesso: visto che la band non si è sciolta, avrebbe potuto tranquillamente andare a Sanremo coi vecchi compagni, perché lo stile è il medesimo, quel "melody rock" vagamente malinconico che, all'inizio degli anni Duemila, diede al gruppo enorme popolarità: passa "Nel tuo sorriso", dedicata al figlioletto e impreziosita dagli energici slanci vocali dell'interprete. RAI ONNIPRESENTE - Poco da dire sul resto dello spettacolo: la grande dignità di Franca Valeri, ben spalleggiata e omaggiata da Luciana Littizzetto (anche se sono convinto che ci sia un tempo per tutto, nella vita, ma rispetto la scelta della grande attrice di rimanere in campo fino a tarda età e nonostante i gravi acciacchi, però la resa sul palco è quella che è), un Rufus Wainwright che ha zittito l'assurda protesta dei Papaboys con una performance elegante e composta, quasi sotto traccia, e ha parlato con naturalezza (come dovrebbe esser sempre in un Paese moderno e civile, quale peraltro non è l'Italia) del suo esser gay, e poi l'amarcord, dalle Kessler al Santamaria in formato maestro Manzi: la Rai celebra il suo passato e tenta di lanciare il suo futuro (la fiction dedicata all'insegnante di "Non è mai troppo tardi"). Per il passato, continuo a pensare fosse meglio allestire un palinsesto ad hoc fuori dall'evento Sanremo (i 60 anni di tv, un compleanno quasi dimenticato, incredibile), per il futuro dovrebbero bastare i martellanti spot pubblicitari, mentre l'Ariston dovrebbe servire ad altro, ossia servire la musica italiana, e l'ente televisivo di Stato, pur essendo il "patron" della kermesse, dovrebbe evitare di cannibalizzarla in tal guisa. Ma questo è un discorso vecchio...