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Festival di sanremo 2015, la terza serata: noia cover, strafalcioni di conti e la vera satira di luca & paolo
Creato il 13 febbraio 2015 da CarlocaE' stata la serata di Sanremo più "contiana", quella andata in onda ieri. A metà strada fra "I migliori anni" e "Tale e quale show", ossia evergreen della canzone italiana rilette da artisti di oggi. Inevitabile che facesse breccia, e alla grande, presso il pubblico ultra - tradizionalista di Rai Uno, stabilendo un nuovo boom di ascolti che, a questo punto, sancisce definitivamente il successo di questo Festivalone targa 65. Per quanto mi riguarda, quello delle cover è un genere che proprio non riesce ad emozionarmi: preferisco da sempre le versioni originali, i rifacimenti di pezzi storici che davvero mi hanno entusiasmato, da quando seguo la musica, si possono contare sulle dita di una mano (ne cito uno a caso: "Un'estate fa" dei Delta V, correva l'anno 2001). NIENTE DUETTI PER LE COVER - La serata "intervallo" della rassegna ligure è da sempre la più pericolosa: si rischiano brutti cali di tensione, da parte dei protagonisti, che conseguenti intoppi nel corretto svolgimento del gala, e ieri qualcosa è accaduto, in questo senso, lo vedremo tra poco. E' una serata nata da quando la kermesse ha parzialmente modificato il suo DNA, passando da gara canora tout court a spettacolo per il piccolo schermo: prima, fino agli anni Novanta, non sarebbe stata neppure concepibile, perché il concorso fra canzoni inedite doveva giustamente essere sempre e comunque al centro dell'attenzione. E' una serata, anche, che dal mio punto di vista può assumere autentico appeal solo se strutturata in una certa maniera: cioè con l'esecuzione delle cover, sì, ma ancor meglio delle canzoni in gara in versione riveduta e corretta, da parte dei concorrenti accompagnati sul palco da artisti ospiti. In passato è accaduto spesso, era la cosiddetta "serata dei duetti", che solitamente raccoglieva consensi anche in occasione dei Festival meno felici sul piano dell'audience. Quest'anno le ospitate erano espressamente previste dal regolamento, ma, in pratica, l'unica ad avvalersene è stata Malika Ayane, con la presenza discreta del suo autore Pacifico. Un peccato, perché sarebbe venuta fuori una puntata - evento con potenzialità esplosive. OTTIMI NEK, MASINI E FABIAN - Così, ci si è dovuti accontentare di ricercare, fra le varie "riletture" dei classici, quella meglio riuscita o più innovativa. Di certo originalissimo è stato Moreno, con "Una carezza in un pugno" in salsa reggae ed ovvie venature rap. Accanto a lui, hanno ben figurato Nek, giustamente premiato in chiusura, che ha interpretato con energia "Se telefonando", Marco Masini che ha omaggiato con intensità ed emozione il buon Francesco Nuti e la sua bella "Sarà per te", la voce possente di Annalisa in "Ti sento" e quella piena di feeling di Lara Fabian in "Sto male". IRENE ROCK, DI MICHELE - PLATINETTE RIDANCIANI - Su buoni livelli anche Irene Grandi, che ha ritrovato il suo spirito finemente rock ravvivando "Se perdo te", e una eterea Chiara in "Il volto della vita". Abbastanza fedeli alla linea originale dei pezzi scelti i Dear Jack ( "Io che amo solo te"), Il Volo ("Ancora"), la Tatangelo ("Dio, come ti amo") e Malika ("Vivere"), tutti apprezzabili, mentre Biggio e Mandelli hanno reso in versione più seriosa, vagamente swing, la scanzonata "E' la vita la vita". I più simpatici? Di Michele e Platinette, che han quasi fatto di "Alghero" uno sketch a tutto tondo, certo più divertente di quello messo in piedi ventiquattr'ore prima da Angelo Pintus... Tutto questo, mentre il povero Luigi Tenco non ha trovato degna celebrazione nel generoso ma modestissimo tentativo di Bianca Atzei in "Ciao amore, ciao" (Grignani, con "Vedrai vedrai", è parso se non altro più in forma vocalmente). CACCAMO - BRANCALE, SCONTRO FRA TITANI - Il pathos? Decisamente assente, a meno che chi segue da appassionato il Festival non fosse davvero interessato a sapere chi si sarebbe imposto in questa artificiosa competizione fra cover. Le emozioni autenticamente sanremesi sono rimaste così confinate nella prima mezz'ora di trasmissione, con gli ultimi due quarti di finale della gara fra le Nuove proposte. Qui si è consumata la prima ingiustizia, figlia di un abbinamento infelice: mettere contro Giovanni Caccamo e Serena Brancale è stato un delitto, un po' come quel Real Madrid - Napoli (il Napoli d Maradona) al primo turno della Coppa Campioni 1987... Due potenziali vincitori di categoria costretti a "scannarsi" in anticipo: non era possibile lasciar fuori il siciliano, portatore di uno dei brani più freschi e di impatto dell'intera manifestazione, pezzi dei Big compresi, ma Serena è un'artista jazz già matura, e sono convinto di non espormi a brutte figure se le pronostico un avvenire radioso, quantomeno nella nicchia musicale che predilige. Più "povero" il confronto fra Amara e Rakele: ha vinto la cantante toscana con "Credo", la proposta più tradizionale fra le otto in gara, composizione che continua a non convincermi del tutto. Qui Carlo Conti ha sfiorato la figuraccia epocale, alzando il braccio di Amara ma proclamando vincitrice la giovanissima napoletana. LE GAFFE DI CONTI - E' stato bravo a rimediare con una simpatica arrampicata sugli specchi ("Visto che la sfida è stata equilibrata, ho voluto dare soddisfazione a entrambe", o qualcosa del genere), ma certo la gaffe c'è stata, simile a un celebre scivolone di Milly Carlucci in una passata edizione di Miss Italia. E non è stato l'unico inciampo di serata del "bravo presentatore", che, ad esempio, non ha saputo districarsi con un minimo di inglese nell'intervista coi Saint Motel (fra l'altro penalizzati da un microfono mal funzionante), e non ha colto il riferimento degli Spandau Ballet al loro lutto per la morte di Steve Strange. Lo avevo già accennato ieri: se un difetto va trovato, nello stile di conduzione dell'anchorman toscano, è il fatto di andare avanti come un mulo mostrandosi talvolta poco ricettivo alle battute e ai tentativi di coinvolgimento da parte degli ospiti sul palco. Commovente ritrovare, ospite a sorpresa, un più maturo e rockeggiante Federico Paciotti, a inizio secolo ragazzino imberbe nelle file dei teneri e gradevoli Gazosa. L'eccelsa Samantha Cristoforetti, come scritto tre giorni fa, era già stata televisivamente "prosciugata" da Fazio, e non ha aggiunto nulla di particolarmente originale: così, risulta solo una medaglia appuntata sul petto del Festival, una presenza che non poteva mancare nel massimo evento mediatico nostrano, ma è stata un'intervista molto istituzionale, senza squilli. E' migliorata Emma, piaciuta soprattutto per le "faccette buffe" dopo certe sue battutine sovente autocritiche (però avrei aspettato a dire "Preferivo essere qui in gara e non come presentatrice", frase che infatti il suo collega ha accolto con freddezza), mentre Arisa, infortunata a una gamba e sotto analgesico, è parsa vagamente groggy, e ne ha guadagnato in simpatia e autoironia... LA GIUSTA ASPREZZA DI LUCA E PAOLO - Ieri sera il "Corriere della sera" online ha titolato "finalmente si ride". Non ho letto però l'articolo, spero che il riferimento non fosse alla passerella di Massimo Ferrero. Cosa ci sia di divertente nel suo clownesco modo di porsi non riesco a capirlo, per tacere dei suoi pregressi personali a cui già ho fatto cenno nei giorni scorsi: non voglio dedicare troppo spazio al personaggio (che si credeva Armstrong nel '68, visto che non ne voleva sapere di abbandonare la scena, solo che lui non aveva alcun buon pezzo jazz da proporci...). Rimane una considerazione amarissima: da "Grande show di Ferrero" a "Ferrero sfonda anche al Festival", fino a "Ferrero mai banale", i media sportivi sono tutti incantati da questa persona, come ipnotizzati collettivamente: del resto sia l'uno che gli altri sono specchi fedeli dell'irreversibile declino di credibilità del nostro football. Ma non sono tanto convinto che tutti i tifosi sampdoriani siano contenti di essere rappresentati pubblicamente in questa maniera. Comicità, ecco: all'Ariston l'hanno finalmente portata Luca e Paolo. Comicità dura, satira pungente e a tratti cattiva (secondo i canoni italiani, ovviamente: all'estero, Stati Uniti in primis, si fa ben di "peggio", senza stare a scomodare il francese Charlie Hebdo): la canzone sugli artisti scomparsi non era offensiva verso questi ultimi, ma un feroce attacco ai media generalisti (e a chi li segue) ormai in larga parte dediti alla spettacolarizzazione della morte e del dolore, nonché al vizio di fare figli e figliastri anche davanti ai decessi (in tale ottica va letta la battuta, per quanto perfida, su "quel cantante grasso del Banco del Mutuo Soccorso", ovviamente il compianto Francesco Di Giacomo, mancato quasi nel disinteresse generale). Puntuta anche la scenetta "politically incorrect" sui matrimoni gay. Poche storie: il duo genovese ha confermato uno stato di grazia che dura ormai da almeno un lustro, fra creatività di scrittura e assoluta padronanza della scena.
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