Conoscendo ormai il grande capo, sia per la mia collaborazione con Taxi drivers, sia per altri motivi, so che quando si spinge fino a varcare fisicamente la soglia del mio negozio significa contemporaneamente due cose: idee assai gagliarde in progress, ma anche lavoro aggiuntivo per tutti.
Sarà per questo che quando me lo sono visto comparire sull’uscio, nel bel mezzo dell’anticiclone Caronte, non ho potuto fare a meno di sentire un brivido freddo corrermi lungo la schiena.
In effetti quando tra le altre cose mi ha proposto di andare a seguire un festival di corti in quel di Montefalco (PG) non ho potuto non preoccuparmi.
Si, è vero che scrivo su una rivista di cinema ed è altrettanto vero che storia e critica del cinema è ciò che ho studiato, tuttavia a queste innegabili verità va aggiunta la realtà altrettanto innegabile che non mi occupo di festival da tempo immemorabile, ossia la mia gioventù, risalente ormai, anno più anno meno, al Mesozoico superiore. Aggiungiamo inoltre che la forma espressiva del corto non è tra quelle cui mi sono specificamente interessato (con le dovute eccezioni per i lavori di genere horror e fantastico) e che, infine, la mia rubrica tratta tutt’altre cose.
“Ombre” di Emanuele Pica
Ne ho abbastanza per cominciare a gettare continue occhiate all’armadietto dei medicinali alla disperata ricerca di un analgesico per il mal di testa nervoso che inesorabilmente comincia a montare.
Il gran capo è diplomaticamente perentorio. Agosto è il mese critico, la redazione al gran completo è mobilitata per i festival, etc, etc, etc… per dirla come Rutilio Namaziano : “il bisogno di tutti, richiede l’aiuto di ognuno”…. O per dirla come l’ispettore Giraldi “a Venticè, nun frignà, te tocca”. Non mi resta quindi che fare appello al mio senso del dovere e riconciliarmi con l’idea di dover vincere la mia naturale avversione per il treno: si parte.
In Umbria ho fatto il servizio civile e non ho mai smesso di ricordarla come una terra accogliente e l’ospitalità che l’organizzazione riserva agli addetti ai lavori è coerente con la mia memoria. Dall’agriturismo in cui siamo alloggiati ai ristoranti, dalle interpreti, che dipanano per noi la babele di lingue proveniente dai lavori di tutto il mondo, alla splendida location del teatro comunale per le proiezioni, tutto sembra mosso dai rodati ingranaggi di una grande produzione, la cui esperienza si è sedimentata nei decenni. Sembra incredibile quindi che a far funzionare un evento che è appena alla sua terza edizione, sia soprattutto la passione di un piccolo gruppo di volontari poco più che ventenni – e la cosa gli farebbe già onore così, a prescindere dal risultato finale.
Il solo fatto di realizzare una proposta basata esclusivamente su un genere di nicchia come il cortometraggio in Italia, dove vent’anni e passa di Pieraccioni e Vanzina hanno appiattito il gusto medio di gran parte del grande pubblico su un tipo di produzione commerciale preconfezionata con una logica meramente industriale, è assolutamente eroico.
Ma conoscendo meglio il festival mi accorgo che non sono solo i principi e le buone intenzioni a dover essere lodati, ma anche i fatti.
Fin dalla sua prima edizione il festival ha avuto una partecipazione a livello Europeo, nella seconda aveva già raggiunto la dimensione internazionale.
Per Marica, la poliedrica tuttofare che segue le questioni tecniche dall’ufficio stampa alla logistica, non è chiaro se questa sia una vittoria o una maledizione. “il lavoro ci impegna praticamente tutto l’anno a tempo pieno e sul territorio la risposta degli appassionati che potrebbero darci una mano come volontari è scarsa … tant’è che dobbiamo farli venire da altre regioni come nel caso delle interpreti”.
Fisico e volontà robusti, non si lascia intimidire e non si risparmia, nemmeno per imprese funamboliche come far quadrare il cerchio di un appuntamento internazionale con un budget di 10.000 euro. Proprio nella scarsità di fondi lei individua una delle cause della poca partecipazione, confessando che questo provoca un minimo di senso di solitudine, ma, nel contempo, butta il cuore oltre l’ostacolo progettando connessioni e collaborazioni future con altri festival, “di sicuro non Italiani” si lascia sfuggire.
“Disinstallare un amore” di Alessia Scarso
Stessi problemi, stessa fatica e stessa passione anche per Nicola Papapietro, vent’anni appena compiuti, direttore artistico della manifestazione.
A dispetto del fisico minuto la sua tenacia è impressionante e paragonabile solo al suo idealismo. Una persona pulita, come se ne vedono poche, se lo dovessi giudicare con due parole.
Un anno al DAMS di Roma tre, subito mollato perché infarcito con troppa teoria e lui, sia benedetto il suo giovanile entusiasmo, è uno che preferisce agire concretamente.
Inizia quasi per gioco a realizzare cortometraggi finché uno dei suoi lavori non viene proiettato nel teatro che oggi ospita “coniminuticontati” , qui ha la sua folgorazione sulla via di Damasco e comincia a sognare un evento nella duplice dimensione culturale e popolare per far conoscere a più persone possibile una forma di comunicazione considerata dalla maggior parte della gente come una masturbazione intellettuale per pochissimi iniziati, oppure un prodotto da ragazzini realizzato con faciloneria.
Il difficile per Nicola sta nel coinvolgere più culture possibili e mantenere nel contempo un livello comprensibile a tutti.
La fatica di questo piccolo ma compatto collettivo è comunque premiata: in tre anni i finanziamenti e gli sponsor sono aumentati, tanto che alla fine di ogni anno rimane anche un piccolo fondo cassa per pensare all’anno successivo.
Tra i mecenati che danno prestigio alla lista vanno annoverati la Camera di Commercio di Perugia e il comune di Montefalco (che concede l’uso del teatro). Tra le istituzioni che hanno concesso il loro alto patrocinio, vale a dire una bella pacca sulle spalle, figurano invece: il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero dello Sviluppo Economico e quello della Cooperazione Internazionale e Integrazione.
Dopo aver chiacchierato del dietro le quinte con gli organizzatori e aver consumato una cena che mi costerà una settimana di dieta teutonica è il momento di concentrarsi sulle proiezioni. L’onore di aprire le danze tocca al gustoso video “Fiesta whit somebody” della band Spaziobianco. Va detto che il sound latino-americano non è assolutamente il mio genere, quindi non sarei obiettivo se dovessi parlare della band nello specifico, tuttavia il filmato che vede un Berlusconi triste e depresso rincuorarsi in compagnia di grandi trombati dalla storia tipo Sarkozì, Bin Laden, Obama, Bush, Merkel, in un caraibico samba-party all’interno di un affollatissimo tram, è veramente divertente e mi fa sorridere.
“Joselyn” di Susan Bejar
Effetto opposto, deprimente, per non dire soporifero viene provocato dallo stucchevole “Joselyn”. Tecnicamente impeccabile, con regia e fotografia di alto livello, il cortometraggio diretto dalla spagnola Susan Bejar non riesce però a bucare la corazza di luoghi comuni che si sono sviluppati intorno al tema della ricerca dell’amore come medicina alle amarezze della vita. Tanto bello stile sembra sprecato nel tentativo di far venire un attacco iperglicemico allo spettatore e il finale con tanto di innamoratini “interracial”, lacrime, sorrisi e pasticcini, indulge in un buonismo utopista che rischia di far scoppiare un diabete fulminante anche nel pubblico più smaliziato.
Coscientemente di minori pretese e per questo più apprezzabile è l’Italianissimo “Disinstallare un amore” di Alessia Scarso. Consapevole di non aver scoperto l’acqua calda l’autrice gioca col tema della delusione amorosa con una buona vena di autoironia in una pellicola dagli evidenti sincretismi tra cinema e antropologia. Dal misterioso resettatore di amori che ricorda il satanico De Niro di “Angel Heart” (con tanto di barbetta e panama bianco!!!!), al mito del buon selvaggio cui si ruba l’anima(in questo caso i ricordi) con una polaroid. Si recuperano senza farne mistero trovate da mille altri lavori e proprio per il suo candore esplicito questo lavoro risulta senza grosse pretese, ma al contempo amabile e divertente.
Un discorso a parte lo meritano i due film Iraniani in concorso “Maybe another time” di Amir Hossein Asgar e il corto di animazione di Amin Rahbar “Scale” .
Per il primo va detto che per chiunque non abbia mai visto un film di Abbas Kiarostami l’opera risulta fresca, nuova e coinvolgente, delicata e struggente. Tuttavia per chi, come il sottoscritto ha dovuto fare a suo tempo indigestione di cinema mediorientale, è facile riconoscere i clichè cardine su cui viaggia la poetica del grande regista Iraniano e non è un caso che entrambi i due giovani cineasti siano allievi di Kiarostami alla Scuola Cinematografica di Teheran .
La breve animazione invece è divertente e pur ricordando in modo incredibile lo stile dei corti divulgativi dell’Italiano Bruno Bozzetto non manca di originalità e racconta con ironia la nascita, l’evoluzione, l’apice, la caduta e il nuovo inizio del genere umano.
Entrambi costituiscono dei buoni esercizi d’autore. Per onestà devo aggiungere che per circa un’oretta ho tentato di condurre un’intervista con Amin, ma trovandomi di fronte a uno dei rari esseri umani che si esprime in un Inglese peggiore del mio, il risultato della mia conversazione è talmente surreale da farmi dubitare della sua validità, quindi preferisco ometterlo.
“Vicky and Sam” di Numo Rocha
Due parole è doveroso spenderle per “Vicky and Sam” produzione USA/Portogallo di Numo Rocha di cui consiglio la visione quantomeno per l’inedito tentativo di ironizzare in maniera metafilmica sul solito tema dell’amore.
In merito al lavoro di Gelormini “Reset” direi che era lecito non aspettarsi nulla di meno del bel noir psicologico realizzato dal collaboratore di sorrentino. Ottima fotografia, musiche azzeccate, montaggio alienante e mozzafiato, finale grandguignolesco, che dire? La classe non è acqua e l’esperienza è maestra di vita.
Un ottimo lavoro, ma anche un rischio, perché visto il curriculum dell’autore, un lavoro inferiore a queste aspettative, anche di poco, sarebbe stata una delusione imperdonabile.
Mi preme invece chiudere per ora la carrellata di giovani promesse con quello che secondo me è stata la rivelazione del festival: “L’accordeur” di Olivier Treiner.
Non solo un tipico noir, ma anche un recupero e una rielaborazione totale del thriller all’italiana del primo Argento, negli interni che ricordano l’immortale “Profondo rosso” e l’ironia della commedia nera Americana che trovò la sua sintesi in “Arsenico e vecchi merletti”.
Un piccolo Alfred Hitchcock in versione 2.0 che sposa lo sgangherato elogio della truffa nello stratagemma della finta infermità della banda dei “soliti ignoti”.
Stasera, la premiazione ha confermato a sorpresa quanto il mio gusto personale abbia coinciso con quello infinitamente più competente della giuria.
Il Francese “l’accourdeur” si aggiudica infatti un meritatissimo primo premio.
Secondo e terzo posto rispettivamente per Vicky and Sam e Maybe Another Time. La direzione artistica riserva il premio a “Die Katze Tanzt” , mentre gli Spaziobianco si aggiudicano il miglior lavoro musicale.
“Die Katze Tanzt”
Una menzione speciale come miglior corto Italiano invece va al lavoro di Emanuele Pica per il suo “Ombre”.
Mentre scrivo queste righe aggiornandomi quasi in tempo reale, credo sia più che doveroso spendere due parole in chiusura su questo bel lavoro made in Italy che ho con mio grande godimento appena visto e il cui autore ho appena placcato.
Primo, perché questa produzione costata 30.000 euro è uno dei lavori che con estrema delicatezza tocca vari generi, dal giallo al fantastico, passando per il drammatico, senza privilegiarne uno in particolare, ma tenendo la barra su una chiara indipendenza intellettuale e stilistica dell’autore che mette sapientemente a frutto la sua preparazione tecnica e culturale senza però trascendere in una sterile e incomprensibile prosopopea, malattia infantile di molti giovani cineasti.
In secondo luogo perché Pica nonostante abbia dalla sua l’esperienza di un lungo lavoro sul campo, in ultimo nel film Scialla e la forza di una grande produzione alle sue spalle, è caratterizzato da una costruttiva umiltà che lascia libertà di espressione alle potenzialità delle maestranze nel suo staff.
Possiamo quindi fruire delle splendide prove degli attori: Vinicio Marchioni, Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli, Daniela Virgilio, facendo a loro e all’autore i nostri migliori auguri per il futuro.
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