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Festival Internazionale del film di Roma: “Blue sky bones” di Cui Jian (In Concorso)

Creato il 15 novembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Festival Internazionale del film di Roma: “Blue sky bones” di Cui Jian (In Concorso)

Anno: 2013

Durata: 101′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Cina

Regia: Cui Jian

Finalmente visiono un film in concorso, Blue sky bones del regista cinese Cui Jian.  Non avendo mai sentito nominare l’autore in questione, mi faccio un giretto su internet e scopro che è stato un’icona rock in patria e che, a causa della sua musica, ha subito violente censure da parte delle autorità cinesi nel corso di tutti gli anni ’90. Questa informazione è utile per comprendere l’importanza che la parte musicale riveste nel film, anzi si potrebbe proprio dire che è una canzone la vera protagonista del lungometraggio d’esordio del regista cinese.

La storia è intergenerazionale, si sviluppa dagli anni settanta ad oggi, e mette in scena le vicende di una famiglia – padre, madre e figlio – attraverso le quali viene affrontata la questione della libertà, declinata in maniera differente a seconda delle epoche storiche cui ci si riferisce. Tutto ruota intorno a una canzone, intitolata “La stagione perduta” che, osteggiata dai caporioni della rivoluzione culturale, comporterà la condanna della protagonista ai lavori forzati. Qui conosce un uomo, e, pur non amandolo – in realtà era attratta dall’amico omosessuale -, lo sposa, e dalla loro unione nasce un figlio, Zhong Hua. Nel frattempo la donna scopre che il marito è una spia e, mentre sta fuggendo portandosi via il figlio, gli spara, provocandogli una ferita.

La narrazione è volutamente molto confusa, c’è un montaggio alternato che dagli anni settanta ci catapulta alla contemporaneità in cui Zhong Hua, anch’esso alla prese con la canzone della madre, si trova a doversi districare dalle maglie del sistema capitalista, con riferimento alle logiche del mercato discografico e alla apparente liberta della rete.

Insomma, c’è un evidente attenzione al problema della censura esercitata nei confronti della libertà d’espressione, però le questione sollevate non vengono analizzate adeguatamente, poiché i contesti storici rimangono solo uno sfondo rispetto alla saga famigliare che prende il sopravvento nella narrazione. La questione emotiva – l’amore negato e ricercato – svetta in maniera non misurata nell’economia della storia, e ci si sente smarriti rispetto alla mancanza di linearità del racconto (eccessiva anche la presenza della voce off, proprio per sopperire alla mancanza di rappresentatività delle immagini). La sensazione che si prova è che il regista, un po’ inesperto, abbia concentrato in un solo film troppi elementi, e che non abbia saputo gestire tutta questa materia. Il risultato è un po’ un pasticcio che non convince. Per non parlare poi della sequenza finale in cui, per celebrare la tanto osteggiata canzone, assistiamo a una sorta di videoclip abbastanza kitsch, che sa di “cineseria”.

Quindi, troppo impeto e poca capacità di ordinare una storia che aveva in sé una forza espressiva interessante. Un’occasione mancata.

Luca Biscontini


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