A tu per tu con Elisa Ruotolo
Al Festivaletteratura puoi scoprire anche nuovi talenti!Elisa Ruotolo, una delle voci più interessanti nel panorama dei giovani scrittori italiani, partecipa per la prima volta al Festival di Mantova con Michela Murgia in un evento dedicato alla riscoperta dei classici della letteratura italiana. Sul Romanzo l’ha incontrata prima del suo debutto e lei gli ha regalato la sua “grazia nelle parole”.
Come sarà il Festival 2010 di Elisa Ruotolo?
Anzitutto sarà il mio primo Festival: mi è capitato di “osservarlo” da lontano. Mi procuravo il programma, spulciavo tra gli eventi gli autori che preferivo. Speravo un giorno di poterci essere da spettatrice…
Perché pensi che sia importante (se lo pensi) che uno scrittore partecipi a festival ed eventi letterari?
In genere un libro, se è un buon libro, dovrebbe aver bisogno solo di un certo numero di eventi letterari opportunamente selezionati. Il Festivaletteratura di Mantova, ad esempio, è un evento importante, capace di dare spazio coraggiosamente anche a quei libri che altrove non sono abbastanza in luce.
Com’è entrata nella tua vita la scrittura? Quando hai deciso di farne una professione?
Non riesco a pensare alla scrittura come a una ‘professione’. Per me è stata sempre un bisogno che ha molto a che fare con la mia vita più intima, credo che le toglierei gran parte del valore e del senso che le attribuisco, parlandone come d’un mestiere. Per quanto riguarda il mio approccio ad essa posso dire che ho cominciato a scrivere quando ho capito che mi procurava sensazioni mai assaporate altrove: perché potevo essere tutto e io diventare niente. Per anni ho cercato la grazia nelle parole: non è stato semplice arrivare a un qualcosa che potesse avvicinarsi, almeno in parte, a questo desiderio.
Cos´è per te scrivere? E l´insegnamento?
Scrivere per me – come dicevo – è diventare altro da quel che sono: ho sempre pensato che forse un giorno avrei potuto trovarmi tra le mani qualcosa che fosse migliore di me, e a quel punto avrei potuto lasciarlo andare. Come un figlio adulto nel mondo. Ma è anche un innamoramento capace di farmi dimenticare quella “torre nera” di cui parla Buzzati nel finale di “Un amore”. L’insegnamento, tuttavia, è la metà che mi sarebbe mancata sempre, se non l’avessi ottenuta. È la mia garanzia di poter scrivere bene e liberamente, e pubblicare solo ciò in cui credo aspettando i tempi migliori. C’è un’armonia ragionevole in tutto ciò: ormai di mattina non riuscirei più a scrivere e di sera, del resto, non potrei insegnare…
In che modo l´ambiente in cui vivi, la tua vita, le canzoni, i film, i libri degli altri, influenzano la tua scrittura?
Devo molto all’ambiente in cui vivo: sia dal punto di vista della lingua, sia per quanto riguarda la sintassi che ho utilizzato nel mio primo libro. Poi c’è la mia vita, certo, e ci sono le storie ascoltate anche in tempi lontani. Scrivere è un po’ come mettersi in ascolto del mondo e dei suoi rumori, quelli che insistono ma anche quelli più rari. La mia maggiore fonte sono però le persone, i dettagli della gente, i resti che ciascuno di noi si lascia dietro vivendo. Io li raccolgo. Li ricombino. So che un giorno mi serviranno.
Lo stile di uno scrittore si evolve nel tempo? E come si crea?
Penso che lo stile di un autore risenta della sua vita e degli umori che attraversa, perché le storie vivono e respirano nelle sue giornate. Sono convinta, inoltre, che nel tempo esso si evolva in maniera naturale, ma non so immaginare come nasca uno stile. Forse è il frutto di un lungo e paziente esercizio, e di un seme deposto generosamente in noi per farci da destino.
Com´è cambiata la tua scrittura in questi anni e quale scrittore vintage ti ha più influenzata?
All’inizio, molti anni fa, la mia scrittura aveva più denti che pane: nel senso che avevo più lavorato sullo stile che sulle storie. Poi, ho cominciato a sentire il bisogno di raccontare, di trovare nelle pagine dei personaggi che fossero carne e non solo forma. Tra gli scrittori vintage a parte la Deledda che mi ha sempre affascinato per la fierezza e l’onestà con cui racconta il suo mondo, credo di aver subito anche il fascino di Giuseppe Berto (forse per il talento che aveva nello scrivere libri totalmente diversi tra loro: si pensi a”La gloria”, “Il male oscuro”, “Il cielo è rosso”).
Parise diceva che “esiste un punto dove cessa la ragione e ogni sua azione possibile e impossibile e comincia il destino”, i miei personaggi hanno un destino che in parte deriva da ciò che sono, e in parte dai luoghi in cui vivono. Tuttavia appare comunque innegabile una buona dose di connivenza con la propria sorte. Questo è più evidente nel primo racconto (che si intitola Io sono Molto Leggenda) ove il ragazzino protagonista alla fine trova il suo posto nel mondo e in esso riesce a vivere con grazia, accettando senza acrimonia un destino di normalità.Riguardo l’ambientazione sono convinta che in una storia sia fondamentale: raccontare senza avere chiaro lo sfondo è come costruire una casa senza aver ragionato sulle fondamenta. Carver confessa che suo padre gli chiedeva sempre «Scrivi di cose che conosci. Scrivi delle nostre gite per andare a pesca». Si parte – almeno per me è così – da ciò che si conosce, poi avviene spesso una contaminazione tra verità e immaginazione.
In che modo ti sei preparata al tuo Festival?
Con molta attenzione ma anche con tanta serenità, come in genere mi capita di fare per le cose importanti. So di non essere un critico e l’evento in cui io e la bravissima Michela Murgia ci occuperemo di Canne al vento sarà per me solo un’occasione per raccontare (e recuperare) un libro dimenticato, provare a farlo vivere ancora rimediando al silenzio.
ELISA RUOTOLO partecipa all’evento 129. Canne al Vento di Grazia Deledda con MICHELA MURGIA.