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Fettuccine Alfredo e cappuccino. Alcuni stereotipi sugli italiani all’estero

Creato il 13 giugno 2014 da Domenico11
Fettuccine Alfredo e cappuccino. Alcuni stereotipi sugli italiani all’esteroHo chiesto a Mario di farci un resoconto curioso dell’immagine, spesso stereotipata, che all’estero hanno degli italiani. Ecco il risultato  (D.F.)
L’esperienza mi ha convinto che all’estero gli italiani sono generalmente benvoluti perché paragonati al resto del mondo risultano sempre essere il male minore. Il nostro modo di fare, la gestualità esagerata generano simpatia anche nel dramma intrinseco di cerchi infiniti, disegnati con le mani, ai quali addossare tutte le colpe di questo mondo: dal buco dell’ozono al crollo dei governi, alla nostra incapacità di parlare sottovoce. La loquacità è socialmente accettata e incoraggiata, mentre i nostri difetti sono condonati perché fanno parte di quella italianità che ci caratterizza e rende unici.
Essere italiano è un biglietto da visita che negli anni mi ha aperto tante porte, perché portare a spasso oltre duemila anni di storia suscita fascino e una buona dose di curiosità. Se in Italia ci ricordassimo della popolarità che abbiamo all’estero, molte cose sarebbero diverse anche in casa nostra. Siamo una leggenda metropolitana alimentata da luoghi comuni così radicati nell’immaginario collettivo che è quasi impossibile smentirli. Un po’ come affermare che in Calabria nevica. Provate a dirlo a un inglese: non vi crederà mai. Eccoli, allora, alcuni di questi stereotipi, chicche made in Italy che di italiano hanno poco o niente.
LE FETTUCCINE ALFREDO. In America sono talmente popolari da avere una pagina su Wikipedia, con tanto di varianti alla ricetta originale. Con gli scarafaggi, che essendo in grado di sopravvivere a un’esplosione nucleare non potranno mai essere sterminati da nessuna disinfestazione, le “fettuccine Alfredo” sono la costante di qualsiasi ristorante americano. Ovviamente, tranne che nel borgo romano di provenienza, Alfredo è in Italia un emerito sconosciuto, così come le sue fettuccine, note con un nome semplice quanto la ricetta rubata da Alfredo e fatta sua. Andate su Google e scopritelo da soli. Da non credere.
BEVIAMO LITRI DI CAPPUCCINO. La colpa è dei ristoratori italiani all’estero che, per arrotondare il conto, a fine pasto offrono un cappuccino. Sembra non ci sia niente di meglio che lavare pranzo o cena con un bel tazzone di latte caldo. Hai voglia a spiegare che se in Italia ordini un cappuccino dopo le undici del mattino come minimo ti cacciano dal bar e in casi limite di sparano al petto senza avvertimento. Cavalcando l’onda infondata di questa nostra usanza, “Starbucks” in America, “Costa” e “Nero” in Inghilterra, oltre a creare franchising milionari, spingono intere e inconsapevoli nazioni a bere caffè e cappuccino sino a notte fonda. E poi ci si chiede perché non dorme mai nessuno.
I CAPELLI DI BERLUSCONI. 100% made in Italy, come la famosa bandana, ora sempre in testa ai chirurghi della serie televisiva americana Grey’s Anatomy. Non c’è dottore che non la indossi prima di praticare una qualsiasi operazione a cuore aperto o un massaggio cardiaco. Del resto, prima degli ultimi rovesci Silvio è stato cavaliere. Cos’altro aggiungere?
LA PIZZA HAWAIANA. Prendete una semplice pizza al prosciutto cotto, copritela con fette di ananas e poi sbattetela in forno, perché una cosa del genere merita di essere cotta senza pietà. Infine servitela a un qualsiasi anglosassone, che la sbaferà senza vergogna. In un mondo ossessionato dal mangiare “sano”, la pizza hawaiana è diventata una scelta obbligata, perché contiene due delle cinque porzioni di frutta e verdura che ipoteticamente dovremmo assumere giornalmente. Resta un mistero il motivo per cui è stata così battezzata dal pizzaiolo di dubbie origini che l’ha inventata. Forse voleva darle un’aura esotica. A me ricorda soltanto il bombardamento di Pearl Harbour, direttamente sul mio stomaco. Sublime alternativa per la colazione è il cornetto dolce, farcito con salame e formaggio.
GLI ITALIANI LO FANNO MEGLIO. Beh, sorvoliamo.
L’ORTO. Ogni italiano che si rispetti ha dietro casa l’equivalente della foresta pluviale di Avatar in 3D, terra generosa dove coltiviamo l’impossibile perché – si sa – da noi è tutto fresco e la spesa al supermercato è usanza delle grandi città. In campagna invece si vive di baratto. L’alba è una radiosa visione di casalinghe assennate e benevole che, con aria di santità e ceste alla mano, raccolgono un pomodoro qui e una pesca là, proprio come natura crea. Questo ci conduce direttamente alla leggenda metropolitana per antonomasia.
LA MAMMA. Per mezzo mondo, una creazione di menti malate. Infaticabile dea della cucina, fazzoletto in testa e grembiule, dall’alba al tramonto non c’è niente che non crei dal nulla. Immaginiamola di primo mattino avvolta in una nube di farina, a stendere pasta fresca mentre sforna una ciambella dietro l’altra per la colazione, in un delirio da Mulino Bianco. Quindi impegnata nella preparazione di conserve e sugo di pomodoro sufficienti per tutto l’anno, alle prese con salami da insaccare, formaggio da stagionare, creme e dolci, pomodori secchi e pesto fresco: un pezzo di casa da mettere in valigia e portare nel fumo di Londra o in giro per il mondo. Basta semplicemente ordinare.
In realtà, se portassi a mia mamma delle melanzane e le chiedessi di farle sott’olio, me le tirerebbe dietro una per una con mira da cecchino, prima di giustiziarmi con una ciabattata assestata tra capo e collo alla fine di un estenuante inseguimento attorno al tavolo della cucina.
Ma gli amici inglesi non mi crederebbero, perché l’Italia è il paese delle mamme e noi tutti mammoni siamo.

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