“The World’s Greatest Comic Magazine!” …la più grande rivista a fumetti del mondo!
Questo è il sopratitolo che compare (dal terzo numero) sulla testata “The Fantastic Four”, e mai roboante, enfatica affermazione, si è rivelata tanto vicina alla realtà. L’origine e l’ideazione di questo comics, che si è posto nella storia del fumetto supereroistico come una pietra miliare capace di segnare una svolta epocale nella concezione e creazione delle storie a fumetti Made in USA, è stata per anni oggetto di “discussione” e motivo di “malumori” tra gli autori accreditati.
Da un lato il mitico Jack “King” Kirby afferma di essere il solo artefice della creazione:
“[…] Sono andato negli uffici della Marvel e stavano portando via i mobili, prendendo scrivanie… – ho pensato al mio bisogno di lavoro! Avevo una famiglia e un mutuo sulla casa, e lì, davanti a me, tutto ad un tratto la Marvel stava venendo meno. Vedo Stan che è seduto su una sedia a piangere, non sapeva cosa fare (era appena fuori della sua adolescenza). Gli ho detto di smettere di piangere. Che sarei andato da Martin [Goodman, N.d.R.] a dirgli di fermarsi e che ci avrei pensato io a fare i fumetti per fare soldi. In qualche modo hanno avuto fiducia in me… Sapevo che potevo farlo, ma ho dovuto presentarmi con personaggi freschi che nessuno aveva mai visto prima… ho portato i Fantastici Quattro, Thor, ecc. storie che possedevano tutte le caratteristiche per vendere. Stan non era mai stato di mentalità editoriale. Non è stato possibile per un uomo come Stan pensare a cose nuove – o alle cose vecchie per questa materia. Stan al tempo era un dipendente che non leggeva che non raccontava storie. Stan era un addetto che sapeva dove erano i giornali o chi si recava in sede quel giorno perché in effetti nella sostanza Stan è stato essenzialmente un impiegato, OK?”
“Io sono essenzialmente qualcosa di diverso: sono un narratore. Il mio lavoro è quello di vendere le mie storie. Quando ho visto quello che succedeva alla Marvel, ho fermato tutto. Li ho fatti smettere di portare via i mobili!”
“Ho portato i Fantastic Four, poi Thor e Hulk, gli X-Men e The Avengers... Ho ripreso quello che ho potuto e lavorato con quello che ho potuto. Ho provato ad attaccare la piazza con roba nuova, alla fine il nuovo materiale sembrava prendere slancio e tutti questi albi hanno cominciato a vendere”.
Come siano andate le cose nel dettaglio (forse) non lo sapremo mai. La formula alchemica che ha generato quel cambiamento epocale nella epopea dei comics d’oltre Oceano resta ancora sconosciuta nella “dose dei componenti dettati dagli artefici”.
L’unica certezza è che, nella realtà dei fatti, non si è arrivati a produrre FF svegliandosi la mattina, stampandolo il pomeriggio e distribuendolo la sera! Per arrivare alla fatidica data, dell’uscita del n. 1, nel novembre del 1961, c’è tutta una Storia delle Origini che affonda profondamente le radici nel periodo storico precedente, nella vita e nell’arte di un uomo incoronato “King of Comics”, di persone reali, di personaggi di fantasia, e parte da molto, mooolto lontano.
Siamo negli anni ’40. Jack Kirby (nome d’arte di Jacob Kurtzberg) e l’amico Joe Simon decidono di associarsi (i due già collaborano da anni, dai tempi di “The Blue Bolt” e sono co-creatori del famoso comics best seller: “Captain America”) e fondano a Long Island lo studio di produzione di Comics Simon & Kirby: studio in cui bazzicano talenti nascenti come Steve Ditko, John Prentice, Bill Draut, Marvin Stein, e tanti altri.
Nel 1954 la crociata contro i Comics partorisce la Comics Code Authority che, nel giro di pochissimo tempo, stritola e porta alla chiusura quasi tutte le case editrici indipendenti mettendo in grossa difficoltà persino le majors. I due creativi finiscono col ritrovarsi nella spiacevole situazione di doversi arrangiare e arrabattarsi per poter portare sussistenza alle famiglie. Simon trova lavoro come supervisore alla “Harvey” mentre Kirby, senza molta fortuna, tenta di proporsi come illustratore o scrittore di racconti.
“Volevo fare film e stavo facendo fumetti”
Di idee per realizzare nuovi fumetti, il genio di Kirby ne ha elaborate tante eppure, la sua poca dimestichezza nel proporsi agli editori e il suo naturale rifiuto di piegarsi a tangenti e percentuali da versare ai supervisori, lo penalizzano sino al limite della sopravvivenza. Ma, come detto, di idee in testa per realizzare fumetti ne ha in abbondanza. Alla fine, costretto dalle circostanze, per mezzo dell’intermediazione di Frank Giacoia, ritorna lì, da dove tempo prima è andato via sbattendo la porta: la Timely/Atlas Comics di Martin Goodman. Comincia con il fare fumetti di guerra per Stan Lee, poi gli è affidata la realizzazione di “Yellow Claw”. Purtroppo, però, solo pochi mesi dopo, a causa della contrazione del numero di tavole da realizzare imposta dalla crisi, Kirby si vede nuovamente senza lavoro.
La regola più importante (innovativa), è dunque, quella di rendere le cose possibili e credibili (nella loro fantasticità) senza sacrificare nei contenuti la loro umanità. In una storia di genere supereroistico come i Challengers, i protagonisti hanno dei tratti interessanti e realizzano prodezze incredibili proprio grazie alla loro umanità. Inoltre, essendo un gruppo, ogni personaggio può svolgere ruoli all’interno di una storia che possono essere di volta in volta attivi o passivi. Le personalità che poi si modificano durante la storia danno l’effetto di variare gli atteggiamenti, di provocare sbalzi d’umore e di conoscenza.
“[…] ogni personaggio è dotato di una personalità che definisce il suo ruolo all’interno del gruppo. Ad esempio, il leader ha l’astuzia, il “forzuto” è l’audace, il più giovane è una testa calda, ecc. ecc. E’ come un qualsiasi gruppo di amici – continua Kirby -, uno è così, l’altro è colà e tutti si completano a vicenda, i gruppi non hanno bisogno di duplicati.”
“[…] nelle storie di un solo personaggio, il character principale potrebbe avere due o tre tratti di personalità di base per creare il conflitto interno sufficiente a farlo lottare. […] Lo sappiamo, gli eroi perfetti sono noiosi per il lettore. […] C’è bisogno di avere debolezze umane per mantenere la storia interessante. Raccontare una storia avventurosa va bene ma bisogna ricordare costantemente al lettore che c’è da vivere, respirare, pensare, e la sensazione di essere parte dell’ingranaggio. Immagino che sia per tale motivo che quasi tutti i miei personaggi parlano molto a se stessi.”
Il Professor Harley, è un esperto sub e uno scienziato rispettato che prende la sfida sul serio, e, come suggerisce il suo nome, con aplomb scientifico. Ace Morgan, ovviamente, come dice il nome, è un famoso “asso” della guerra in Corea, un “pilota di jet senza paura” – proprio il tipo di operatore cool che si vuole come leader. Per i muscoli, c’è Rocky Davis, il “roccioso” campione di lotta olimpica, che prende “l’ignoto” con un po’ più di grinta. Infine, c’è Red Ryan, il “rosso”, un temerario acrobata da circo, il più giovane del gruppo e colui che, a causa della sua “incoscienza giovanile”, spesso si trova in difficoltà.
“It’s All teatralità”, spiega Kirby.
Il fumetto è un medium che più di ogni altra cosa è simile al cinema muto: tutto deve essere esagerato e in bella vista, in modo che si può dedicare il tempo raccontando la storia piuttosto che passarlo a spiegare perché un personaggio ha fatto qualcosa.
“[…] Challenger per me era un film. Le immagini di fantascienza si diffondevano e ho sentito che Challengers of the Unknow faceva parte di quel genere. […] Ho cominciato a pensare alle tre cose che mi hanno sempre incuriosito: cosa c’è là fuori?, cosa mi interessa di quello che c’è là fuori, è scontatamente il lato sconosciuto… O ciò che è veramente là fuori?”
“Poi ho iniziato a disegnare personaggi provenienti dallo Spazio, da sottoterra, da qualsiasi impensabile luogo. I Challengers sono stati il tramite che ci ha condotto in questi luoghi e fatto incontrare le cose più strane. […] Un ragazzo inventa una pozione e diventa un superuomo che abbatte gli edifici a mani nude, come si può affrontare una tale minaccia? Come si fa a fermarlo? A volte l’ho fatto usando l’intelligenza evitando il confronto diretto, altre volte l’ho fatto col confronto diretto. Ho trovato il modo di neutralizzarlo, di indebolirlo, di imprigionarlo… il divertimento di fare fumetti è stato trovare questa varietà di modi con cui concludere una storia. Non mi piace utilizzare sempre la stessa cosa. […] Nella mia carriera ho sempre utilizzato molteplici apparecchi fantascientifici, ho persino tirato fuori la bomba atomica due anni prima che fosse una realtà prendendo spunto da un articolo di giornale in cui si diceva che un certo Nicola Tesla vi stava lavorando. Mi son detto: grande idea, la posso utilizzare in un’avventura.”
Mentre si occupa di Challenger Kirby scrive e disegna svariate storie del sovrannaturale (pubblicate su “House of Secrets”, “House of Mystery”, “Greatest Adventure”, “Tales of the Unexpected” e altri (in una di queste, edita ad agosto del 1957, un tizio s’imbatte nel martello di Thor e si trasforma nel “dio del Tuono”). Questo è un buon periodo per la produzione di Kirby che, in circa tre anni, realizza oltre 600 tavole (anche se ben lontano dal suo standard capace di sfornare 20 tavole a settimana!). Inoltre accumula ulteriore esperienza confezionando la strip “Sky Masters of the Space Force”.
Anche questo periodo, comunque, sfortunatamente finisce male. L’innesco è una lite col suo editor (il quale pretende un’ulteriore percentuale sui compensi di Sky Masters!) che, per tutta risposta al suo rifiuto, lo taglia fuori dai Challengers e fa in modo che non gli giunga più lavoro dalla DC.
Ancora una volta Simon, che aveva raggiunto un accordo con la Archie, gli offre lavoro su due testate “Adventures of the Fly” e “The Double Life of Private Strong” ma anche queste esperienze durano l’arco di soli due numeri. La curiosità è che il primo, The Fly, era la rielaborazione di un progetto di Simon, “The Silver Spider” (a cui gli autori sostituiscono i poteri di ragno con quelli di mosca), con l’aggiunta di elementi da “Night Fighter”, un inedito progetto dello studio Simon & Kirby. Inattesa, ancora una volta, sopraggiunge una telefonata di Stan Lee che offre a Kirby del lavoro. In tale periodo Lee assembla per Goodman e le sue etichette, soprattutto la Timely (in futuro Marvel), una decina di uscite mensili di cui la gran parte è di genere horror e fantascientifico, secondo anche il modello cinematografico del tempo. Kirby comincia ad inventare storie e a lavorare per tutte queste testate, disegnando sovente le cover e la storia introduttiva, nelle quali fanno capolino i semi di molta della produzione successiva che genererà l’Universo Marvel. Tra storie dedicate a mostri chiamati “Hulk” o, al bruto battezzato “La Cosa”, s’intravede il diverso approccio a tematiche che non distinguono più nettamente il buono e il cattivo mettendo in evidenza sentimenti di sensibilità in mostri “buoni” e “lati oscuri” nei buoni o, ancora, un approccio di responsabilità verso un grande potere. Ancora una crescita del percorso narrativo derivata dai Challenger, sviluppata nei mostri e poi esaltata nei FQ.
“[…] Mi è piaciuto fare storie di mostri. Mi hanno dato l’opportunità di disegnare cose fuori dall’ordinario, erano una vera sfida – che tipo di mostro avrebbe affascinato i lettori?”
“Non riuscivo a disegnare qualcosa che era troppo stravagante o troppo orribile. Non l’ho mai fatto. Quello che ho disegnato era qualcosa d’intrigante. C’era sempre qualcosa sul mostro di turno che si poteva mettere in discussione. […] Non c’era nulla di abominevole nel suo comportamento. Non c’era niente di lui che ci ripugnava. I miei mostri erano adorabili. Ho dato loro dei nomi – alcuni sono stati indovinati, altri meno. Hanno venduto, e questo è sempre stato il mio obiettivo primario per potermi mantenere il lavoro nei fumetti e così ho messo tutti gli ingredienti che potevano indurne la vendita.”
I soggetti erano scritti da Lee e da Kirby e il lavoro comune li aveva portati ad elaborare, come detto e definito da Lee il “metodo Marvel”; un metodo figlio del sovraccarico dello stesso Lee e dall’esigenza di “sfruttare a pieno” l’abilità di Kirby. La verità compiuta è che il metodo di lavoro che Kirby aveva sviluppato lo portò poi a prendere il sopravvento anche nel procedimento di scrittura, finendo per “rimaneggiare” qualsiasi sceneggiatura, sua o di altri.
Ad ogni modo le storie di mostri alla lunga stancano e Kirby si sente “ingabbiato”.
“[…] Dovevo fare qualcosa di diverso. Le storie di mostri hanno il loro limite – si può solo farne tanti uno di seguito all’altro. Allora, mese dopo mese, diventa una ripetizione, era dunque inevitabile che ci dovesse essere un interruttore, un limite dove staccare.”
Si giunge così al momento in cui la DC sta rilanciando i comics attraverso il significativo successo di “Justice League of America” cosicché Martin Goodman (la leggenda narra dopo una partita a golf con Jack Liebovitz, editore della DC, che gli parla del successo della testata che aveva raggruppato alcuni degli eroi della casa – la JLA appunto) rinviando il rilancio di “Two-Gun Kid” (rivitalizzato dalle storie firmate Lee/Kirby), sollecita Stan Lee ad allestire una testata dedicata ad un gruppo di eroi. Goodman aveva perso il treno e il suo piano era semplice e diretto: mettere fuori una testata supereroistica dedicata ad una squadra il più velocemente possibile per cavalcare l’onda e non perdere ulteriore terreno sul mercato.
Stan Lee convoca Kirby e si gettano le basi per la testata.
Nelle ben note origini del gruppo dei FQ lo scienziato, Professor Reed Richards, il pilota Ben Grimm, Sue Storm e il fratello “testacalda” Johnny si lanciano nello spazio per un esperimento, ma l’imprevista esposizione ad una tempesta di raggi cosmici provoca un incidente con conseguente ricaduta del missile e schianto dal quale, miracolosamente, i protagonisti emergono incolumi pur riportando ognuno di essi delle profonde mutazioni e strabilianti poteri; a dispetto di ciò la loro personalità rimane intatta, con le loro debolezze, tutte importanti e proprie dell’essere umano. Radiazioni ed esplosioni atomiche erano molto di moda negli anni ‘50/’60 sul palcoscenico della guerra fredda ed era un ottimo espediente narrativo.
“[…] Ho avuto l’idea circa i raggi cosmici dopo aver letto il programma spaziale. […] Erano tutti preoccupati – e lo furono per un po’ – per l’effetto che le radiazioni della cintura di Van Allen potessero avere sugli astronauti, almeno finché non si scoprì che potevano essere schermate.”
“[…] L’idea era nell’esplorare il risvolto tragico dell’evento. Riuscire ad immaginare te stesso vittima di una mutazione, non sapendo mai quando si stava per cambiare, e quello che potesse significare per i tuoi genitori o le persone che ami.”
Kirby non ha fatto altro che “aggiungere” l’elemento spazio/mutazioni/poteri al modello Challenger! Infatti, gli elementi chiave presenti, ripresi dall’idea di Kirby, sono tutti derivati dalla sua precedente creazione, gli “Sfidanti dell’ignoto”; anche la storia dell’origine è familiare: la sopravvivenza ad un disastro di volo (aereo da una parte, missilistico dall’altra).
“[…] Lee voleva utilizzare alcuni vecchi personaggi Marvel come possibile formazione del gruppo. Io ho deciso di utilizzarne uno solo (la Torcia Umana N.d.R.). Ho sentito che l’idea giusta era quella di elaborare nuove cose: in altre parole, ci doveva essere un’innovazione e sono arrivato fino ad essa.”
D’importanza non secondaria è poi, la scelta dei nomi dei personaggi principali.
“[…] I nomi sono importanti, […] dovrebbero dire al lettore qualcosa sul personaggio. Tu non hai il tempo per spiegare chi sono ogni volta che compaiono nel racconto. Il nome lo fa e ricorda i personaggi al lettore ogni volta che vedono il nome in stampa.”
I nomi dei personaggi, le qualità individuali, il loro temperamento e le fattezze fisiche sono dunque amalgamati ed esaltati dalla penna di Kirby, basandosi sui personali poteri spaziali di ciascuno.
La sorella maggiore di Johnny, Sue (Susan) Storm, diventa la “Ragazza Invisibile” – indiscutibilmente una caratterizzazione alquanto “maschilista” visto che il suo potere le permette di sparire di fronte alla difficoltà. Anche se, dopo la manifestazione del potere di evocare dei campi di forza intorno ai suoi amici appariva, se non altro, protettiva e maternalistica. Il pilota del razzo, Ben Grimm, è diventato The Thing “La Cosa” mostruosa, una bestia orribile grande come un blocco di granito con una complessa personalità da abbinare (derivato dai mostri che Kirby aveva disegnato nei fumetti horror e da… se stesso!).
“[…] Tutti vogliono associare The Thing a me, perché lui ha continuato ad agire come un ragazzo normale, non importa che aspetto avesse, non ha mai cambiato la sua personalità, è sempre stato un essere umano, nonostante il suo cambiamento fisico.
Beh, se mi associano a Ben Grimm, suppongo che devo essere un po’ come Ben Grimm! […] Io sono un po’ ruvido, a volte, ma cerco di essere una persona per bene tutto il tempo è questo il modo in cui ho sempre vissuto, perché ho figli. […] In altre parole, la mia ambizione è sempre stata di essere una perfetta immagine di americano. Una persona per bene con una famiglia, con bambini, come è desiderio di molti, fare ciò che gli piace e lavorare con la gente che gli piace, sentendosi soddisfatto di sé nella vecchiaia.”
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Ecco dunque i nuovi Eroi che agiscono in gruppo: dotati, è vero, di capacità incredibili e poteri sovraumani, ma sempre più personalizzati e, soprattutto, umanizzati. Non a caso (altra derivazione dai Challenger) essi sono riconosciuti e chiamati, sia dal pubblico virtuale delle loro avventure che da quello reale che li compra in edicola, coi propri nomi di Reed Richards, Sue Storm, Ben Grimm e Johnny Storm, piuttosto che con quelli da “Eroi” di Mr. Fantastic, La Ragazza Invisibile, La Cosa, la Torcia Umana.
Nel loro successivo rendez-vous creativo Kirby mostra il suo lavoro di caratterizzazione a Lee, dopo di che i due passano il resto della giornata di lavoro a pianificare le trame per i primi 10 episodi. In poco più di una settimana, Goodman ottiene la sua team heroes e la testata di debutto. L’unico contributo diretto del ”patron” della Timely è stato quello di cambiare il nome indicato da Lee come “The Fabulous Four” nell’ormai famoso “The Fantastic Four”.
La testata (partita bimestrale) diventa subito uno dei best seller (Goodman si affretterà a passarlo mensile nel più breve tempo possibile): era dai tempi di “Captain America” che l’editrice di Goodman non pubblicava un titolo dal successo così popolare. Ma quello era solo all’inizio, e a distanza di 50 anni da quella storica data FF è il team di supereroi tra i più longevi nella storia dei fumetti.
“[…] Beh, era una rivoluzione, nel senso che in quel momento – il supereroe era diventato tale in quell’occasione – mi sentivo come lo sperimentatore di espedienti. Quando ho disegnato una soluzione, non era il vecchio tipo di rimedio, ma era tutto basato su quello che allora era l’adesso, quello che la gente vedeva tutti i giorni e ciò che avrebbe potuto vedere cinque o dieci anni nel futuro. Ho preso le configurazioni elettroniche e le ho proiettate senza freni in ciò che ha poi portato a realizzare gli accessori che si possono vedere oggi. […] E’ così che la Zona Negativa è nata. Ho cominciato a sperimentare questo genere di cose ed è così che è nato Ego. […] Ho cominciato ed ho lanciato la mia mente in tutte le direzioni possibili.”
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Lee, da buon editor, ha cercato quindi di sfruttare la crescente popolarità di FF per tirare fuori ogni supereroe e “villain” della Golden Age che la Marvel aveva nel suo “freezer”. Kirby era però in disaccordo con tale strategia, sostenendo che ci si dovesse concentrare su nuovi personaggi e nuove trame. Fatto è che in quel fatidico novembre 1961 e dall’esplosione creativa che n’è conseguita si è dato inizio ad una rivoluzione narrativa del fantastico nei fumetti e dato inizio all’Universo e alla leggenda Marvel, destinata a diventare “l’altra faccia del supereroe” contrapposta alla DC Comics. “Action comics” numero 1 aveva creato il supereroe incarnato dal primogenito Superman. “The Fantastic Four” numero 1 aveva rielaborato e ridefinito il concetto stesso di supereroe.
Detto alla Ben Grimm, dunque, a cinquant’anni da quel fatidico novembre 1961, ancora oggi: “è tempo di distruzione!”
Viva il Re! E lunga vita ai FF!
Nota 1: le dichiarazioni di Kirby sono tratte da: The Comics Journal Library Volume One: Jack Kirby
Nota 2: si consiglia vivamente la lettura del blog kirbymuseum.org/blogs/dynamics
E in particolare si suggerisce l’articolo dal quale abbiamo ripreso il paralello fra le tavole de The Fantastic Four e le tavole di Challengers of the Unknown: kirbymuseum.org/blogs/dynamics/2011/03/14/ff-1-synopsis