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Fiaba: “La canzone del menestrello” (I parte)

Da Cultura Salentina

LA CANZONE DEL MENESTRELLO*

(fiaba del popolo leccese di fine ‘700 -  Titolo originale: “La canzune de’ lu poeta”)

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Il re di un potente impero aveva una sola figlia di nome Speranza la cui salute era piuttosto delicata. Il padre la contentava in ogni suo desiderio, malgrado fosse capricciosa e strana, e perciò spesso organizzava una grande caccia per i feudi di sua proprietà, tornei, una corsa di cavalli e molte altre simili cose. Molti principi erano innamorati della fanciulla e chiedevano spesso al re la sua mano ma lei aveva sempre rifiutato rispondendo: 

La mia mano sarà data a colui che con ogni specie di sacrificio dimostrerà il suo amore per me”.

Un giorno, in una delle tante feste che frequentemente si svolgevano al castello, all’improvviso si presentò un giovane menestrello chiedendo al re il permesso di potersi esibire. Era vestito in modo semplice pur sfoggiando ricchi di decori come quelli dei buffoni di corte. Aveva i capelli biondissimi e lunghi sino alle spalle, molto curati e ben pettinati, e in testa un grande cappello abbellito da una piuma bianca. Alla cintola portava appeso un pugnale del quale si vedeva il manico. Il re gli concesse il permesso di esibirsi e il menestrello, salutate le dame e i cavalieri che si trovavano a corte, con il suo liuto entrò nella sala dove tutta la corte si era radunata.

La sua comparsa fu accolta da un sommesso mormorio di ammirazione poiché il menestrello aveva un piacevole aspetto. Cominciò a suonare e a cantare. Era molto bravo tanto che tutti giurarono di non aver mai ascoltato un menestrello così compiuto in quell’arte. Alla fine dell’esibizione, tutti gli spettatori erano rimasti stupefatti dal canto del giovane tanto che vollero dimostrargli il loro compiacimento donandogli del denaro. Anche la figlia del re volle offrirgli la preziosa spilla che sino a quel momento aveva ornato il suo seno. Il menestrello, con gli occhi bassi disse:

Cavalieri e dame, io non posso e non devo accettare nulla. A me basta un po’ di pane e un bicchiere di vino perché non saprei cosa farmene del vostro oro e dei vostri gioielli. Prendo solo il dono della principessa il quale sarà la mia guida nei giorni e negli anni a venire”.

Detto questo, garbatamente prese la spilla dalle mani della principessa e, baciato il prezioso oggetto, lo ripose in una borsa ricamata che gli pendeva dal fianco.

Il gesto del menestrello affascinò la principessa a tal punto che il re permise al giovane di essere ospitato nel castello. Per questo gli fu data larga e affettuosa ospitalità anche perché la principessa aveva ordinato alla corte di trattarlo come suo amico piuttosto che da buffone. Durante i suoi giorni passati a corte, il menestrello diede anche dimostrazione di tante altre sue virtù e in particolare quella delle arti cavalleresche. Nel tirar di spada, nel cavalcare, nel combattere a piedi e a cavallo, pochi cavalieri riuscivano a tenergli testa. Come è facile immaginarsi, la principessa si innamorò pazzamente di lui e giurò a se stessa di farselo sposo.

Anche il giovane non era rimasto insensibile di fronte alle gentilezze che la fanciulla gli riservava e aveva anche notato come lei lo prediligesse su tutti gli altri giovani che venivano a trovarla al castello. Il menestrello, infatti, solitamente usciva dalla sua dimora nel cuore della notte e si recava sotto il balcone della principessa per cantarle soavi canzoni d’amore. Lei, con il suo candore, apriva la tenda della porta che si affacciava sul balcone faceva cadere ai piedi del menestrello una rosa bianca. In un’altra notte, invece, lasciò cadere un involto di carta nel quale era nascosto un anello d’oro, e un’altra volta ancora una lettera con la quale gli confidava il suo amore promettendogli eterna fedeltà.

Mentre i due innamorati di notte in notte si scambiavano speranze d’amore, un vecchio servo del castello, scandalizzato dal vedere un vile giullare corteggiare e amare la figlia del suo signore, pensò bene di confidare tutto al re. In una di quelle notti, il servo lo fece assistere al loro incontro notturno ed è semplice immaginare la rabbia del re di fronte a quella scena. Immediatamente egli ordinò che l’indegno menestrello fosse rinchiuso nella più oscura prigione del castello in attesa della più severa sentenza. Alla figlia, invece, il re parlò severamente ricordandole l’onore della loro antica famiglia, i suoi doveri e, in ultimo, come una principessa doveva per forza avere nel cuore altre idee in fatto di uomini e non quello di un volgare menestrello, cantore di piazza, buffone di corte e da circo. La principessa ascoltò in silenzio quanto il padre proferiva mentre fra sé e sé mormorava:

Sempre lui”.
Dopo pochi giorni fu pronunziata la sentenza e il menestrello fu condannato a morte.
(domani verrà pubblicato il resto della storia…)


Fonti:  R. Gigli, Superstizioni pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto con un’aggiunta di canti e fiabe popolari, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1893, p. 271 e seg.

*Menestrello è “lu poeta” del titolo originario. Si tratta di un adattamento reso necessario dalle qualità artistiche che il personaggio richiede.

 


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