La Fiat non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana. La Fiat, ormai, ha scelto di essere una delle maggiori imprese multinazionali dell’auto. Certo, una multinazionale basata in Italia. Ma un’impresa italiana è una cosa, una multinazionale il cui quartier generale è collocato in Italia è un’altra cosa. Perché nel primo caso, anche se l’impresa in questione non agisce solo all’interno del mercato domestico, e si proietta verso l’esterno, il suo gruppo dirigente continua a pensarsi nei termini tradizionali: noi siamo qui e dobbiamo penetrare anche altrove. Nel secondo caso, la differenza tra il qui e l’altrove viene cancellata. Il mercato mondiale diventa uno scenario unico.Sono di questi giorni i licenziamenti di alcuni dipendenti, tra cui diversi sindacalisti, della Fiat di Termoli e la Fiat di Melfi; i licenziamenti risulterebbero motivati da infrazioni disciplinari. La Fiom ha proclamato un nuovo sciopero dei lavoratori del gruppo Fiat «per il salario, per i diritti, per il lavoro» e «contro i licenziamenti» di alcuni sindacalisti. La protesta di due ore, fissata per venerdì 23 luglio, è stata decisa dal coordinamento nazionale Fiom del Lingotto.
La Fiom rivendica, inoltre, la corresponsione immediata di una cifra non inferiore all’anno scorso (600-800 euro) a tutti i dipendenti, anche a quelli in cassa integrazione, relativa al premio di risultato.
Non é necessario entrare nei dettagli dei licenziamenti e della giustezza o meno delle rivendicazioni della Fiom, per comprendere come questa organizzazione sindacale non si sta rendendo conto degli errori di metodo che sta compiendo.
L'analisi di Fernando Liuzzi, collegata alle recenti dichiarazioni di Marchionne sull'intenzione Fiat di spostare alcune operazioni dall'Italia alla Serbia, pone lo storico problema se e quanto i sindacati, in questo caso Fiom, operano realisticamente nell'interesse dei loro rappresentati.