Foto di Ircano Cogato
Alla fine di maggio, mese mariano per eccellenza, torniamo nella settecentesca chiesa-santuario della Gran Madre di Dio per ammirare un' antica tela dedicata al tema della Visitazione. Il soggetto, che nel corso dei secoli non ha subito grandi variazioni, è facilmente riconoscibile all'altare della seconda cappella di sinistra.
Nel finto cartiglio, dipinto sul plinto del pilastro, sono leggibili solo la data di esecuzione (1611) e alcune lettere abrase, dalle quali è tuttavia possibile risalire alla firma di uno dei più noti pittori del Seicento fidentino, Francesco Lucchi (1585?), già autore con il Malosso dell' Ultima Cena collocata nella Cattedrale.
L'artista ci offre una visione ravvicinata dell'episodio narrato nel vangelo di Luca per evidenziare il contrasto di età, tra la giovane Maria di Nazareth, "ancella del Signore", e la non più giovane cugina Elisabetta, madre del Battista e "simbolo degli aspettanti di Israele" (Messale Romano); ma è soprattutto nell'abbraccio affettuoso, nelle mani incrociate delle due future madri, che il pittore lascia trapelare il significato profondo di questo gioioso evento, che segna il primo incontro tra Cristo e il suo Precursore.
Al seguito della Vergine lo sposo Giuseppe, appoggiato al bastone di viaggio, e una graziosa servente, che reca un cesto di vimini con i panni per assistere al pano di Elisabetta. Tra le pieghe dei lini stanno accovacciati due vispi galletti, sicuramente destinati alla mensa di Zaccaria: un gesto di premurosa attenzione e di affetto, ma forse anche un timido suggerimento che i tempi si sono finalmente compiuti.
L'anziano sacerdote, diventato muto per non aver creduto all'angelo quando aveva annunciato la nascita di Giovanni Battista, si presenta sulla soglia di casa vestito con i paramenti sacri e manifesta con i gesti un reverenziale stupore nell'udire le parole di Elisabetta. La donna ispirata dallo Spirito Santo, riconosce la presenza di Dio fatto uomo nel seno di Maria: "Benedetta sei tu fra le donne e benedetto il frutto del mo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore". La Vergine ascolta e mantiene un'espressione assorta, mentre dalla sua bocca stanno per scaturire, in risposta al saluto di Elisabetta, le giubilanti espressioni di ringraziamento e di lode del Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore il mio spirito esulta in Dio mio salvatore...".
Giuseppe, come sempre, è tacito testimone degli eventi e la sua figura profetica è affiancata dalla giovane canefora che, con lo sguardo indirizzato all'esterno della scena sembra invitarci a partecipare alla sacra rappresentazione.
Ai lati dell'ingresso le colonne avvolte da racemi conferiscono alla casa di Zaccaria evidenti caratteristiche di decoro, come si conviene alla dimora di un alto esponente della casta sacerdotale; ma anche le pietre assumono un significato simbolico, per cui tale sfarzo architettonico potrebbe alludere all'elezione, al valore e perseveranza del "resto" di Israele, che ha saputo attendere e ora accoglie con esultanza la venuta del Salvatore. Sullo sfondo, a sinistra, uno scorcio di paesaggio montuoso coperto da lussureggiante vegetazione e punteggiato da torri e castelli lascia intravedere una piccola porzione di cielo per ricordare il lungo e faticoso viaggio verso la montagna, intrapreso con amorosa sollecitudine dalla Vergine, all'indomani dell'annuncio dell'arcangelo Gabriele. Non ha esitato infatti a mettersi in cammino per portare aiuto all'anziana parente, che tutti dicevano sterile e che, invece, è prossima a diventare madre. Ma in questo piccolo e arioso paesaggio, di gusto vagamente fiammigheggiante, ci sembra di avvertire anche l'eco del Cantico dei Cantici che la Chiesa applica alla Vergine in questa festa, un tempo celebrata il 2 luglio. In cammino verso Hebron, attraverso le mon tagne di Giuda, come si legge nell'antico messale romano, Maria s'intratteneva con il Figlio, il suo "diletto", che portava nel seno: "Ecco lo il mio diletto! Sale per i monti, saltella su per le colline, come una gazzella, come un caprioletto”.
Nella compiaciuta impostazione didascalica e nella descrizione dei personaggi si avverte una riduzione a misura umana dei Vangeli che però nulla toglie all'evento, uno dei vertici della storia della salvezza. Anche la presenza di Giuseppe e Zaccaria, niente affatto scontata, tende a conferire a questa Visitazione un'impronta quasi confidenziale, forse con l'intento di stabilire un rapporto di partecipazione anche emotiva da parte del fedele. La tela del Lucchi, caratterizzata da una composta retorica di gesti, da una certa monumentalità manieristica e da un acceso cromatismo di scuola cremonese, proviene dall'antica chiesa parrochiale di san Michele Arcangelo. Il dipinto era esposto all'altare della Visitazione, retto dal l'omonima confraternita, soppressa nel 1778 dal vescovo Alesssandro Garimberti, insieme ad altri enti religiosi, per sostenere la realizzazione del primo ospedale di Borgo San Donnino. Come l'attuale santuario settecentesco della Gran Madre di Dio, anche il vecchio tempio sconsacrato di san Michele era incentrato sul culto della Vergine Maria: una devozione antichissima, eccezionalmente documentata da un prezioso affresco trecentesco attribuito a Tommaso da Modena, già presente sulla facciata della primitiva chiesa, fondata nel 1181 dal nobile Storto Pinchelini sotto il titolo di san Michele Arcangelo e san Donnino Martire. Ed è in onore di questa miracolosa icona della Vergine che, nel corso del Cinquecento, fu eretto al posto della precedente chiesa romanica l'edificio rinascirnentale a croce greca che si affaccia sull' atttuale via Berenini.
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Il tema della Visitazione ricorre anche nel repertorio iconografico di un altro pittore fidentino, Giovanni Battista Tagliasacchi (1696-1737), figura di tutto rilievo nella storia della pittura del Settecento emiliano. L'opera, che risale al 1726, è conservata presso l'oratorio di san Giuseppe di Cortemaggiore, dove fa pendant con il "Riposo" durante la fuga in Egitto. Nello stesso tempietto tardo-barocco (rivestito di splendidi stucchi e restaurato di recente per iniziativa del parroco di Cortemaggiore, mons. Luigi Ghidoni) sempre il Tagliasacchi aveva dipinto nel 1722 le due grandi tele, raffiguranti Lo sposalizio di Maria e Giuseppe e il Transito di san Giuseppe.
In questa Visitazione si avverte la scioltezza di un linguaggio pittorico particolarmente attento -ad esprimere i moti dell'animo e i caratteri dei personaggi. Non è da escludere che per la tenerissima immagine della giovane Madre di Dio, che mostra i segni di una gravidanza avanzata, il pittore sia ricorso come modella, all'amata consorte Elisabetta Testa, madre dei suoi cinque figli. Allo stesso modo, per il volto scavato dagli anni della matura Elisabetta, egli potrebbe aver ripreso un'altra figura familiare: probabilmente la stessa madre, donna Livia Arcari Scarabelli. Identiche fisionomie compaiono infatti anche anche in altri quadri noti del pittore borghigiano. Nella tela di Cortemaggiore s. Elisabetta si accosta timidamente alla Vergine e sembra sussurrarle all'orecchio le parole rivelatrici del grande mistero dell 'Incarnazione: come un'anziana devota che recita una preghiera a fil di voce. Lo sguardo colmo di venerazione e soprattutto l'inchino di Elisabetta tendono a stabilire tra le due cugine una gerarchia spirituale e, al tempo stesso, prevenire le parole di Giovanni Battista: "Lui deve crescere, io diminuire".
Alla continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento rimanda simbolicamente anche l'intreccio delle mani, motivo quest'ultimo studiatissimo dal Tagliasacchi, che ci ha lasciato attente osservazioni dal vero nei disegni della raccolta Ortalli e di altre collezioni. Zaccaria appare sorpreso per la visita inaspettata e il suo profilo scorciato (con un richiamo al Parmigianino di Fontanellato) pare indicare uno stato di agitazione interiore e di movimento.
La casa del vecchio sacerdote è descritta come un'antica rovina, su cui s'inerpica l'edera e l'erba selvatica: forse un ricordo del recente soggiorno romano del pittore, ma più probabilmente una metafora architettonica che allude al compimento dei tempi messianici, cioè all'antico Israele che ha esaurito la sua missione e l'inizio della nuova era di Cristo. Sulla destra la figura di Giuseppe è arretrata nella zona d'ombra per sottolineare il modo discreto con cui il patriarca ha vegliato Maria e il suo Bambino fin dall'inizio del concepimento. La grandezza di san Giuseppe è segnalata inoltre dal bastone miracolosamente fiorito, tradizionale attributo biblico che esprime la volontà e il favore divino. Alle spalle del santo, che sorride allo sposo di Elisabetta, si muove l'immancabile zelante ancella con il cesto dei panni, portato sul capo con la tipica eleganza delle donne mediterranee. Intanto le prime luci dell'alba dissipano le ombre della notte e rischiarano le rovine della vecchia casa di Zaccaria, su cui verdeggiano le fronde di un albero.
Guglielmo Ponzi