«La fiducia in se stessi fa nascere la maggior parte della fiducia negli altri» dice una delle massime di La Rochefoucauld. C’è da fidarsi? Io di primo acchito mi fido perché il caro, carissimo La Rochefoucauld non ho imparato a conoscerlo sui libri di scuola – lì, mai letto il suo nome – ma lo ascoltavo da ragazzino al termine della trasmissione serale, poco prima del telegiornale e subito dopo le previsioni del tempo con il colonnello Bernacca, che s’intitolava Almanacco del giorno dopo: che meraviglia di programma! Dunque, non so voi, ma io mi fido. Tuttavia, il più noto dei proverbi popolari, così noto da essere praticamente universale – esiste in ogni comunità e in ogni paese – dice che “fidarsi è bene, non è fidarsi è meglio”. La traduzione o spiegazione del proverbio è questa: è sempre meglio controllare, verificare, essere sicuri al cento per cento. Ma proprio qui è il punto: si può controllare tutto? E siamo sicuri che la sicurezza totale, qualora fosse possibile, sarebbe meglio di un po’ di naturale insicurezza?
Il tema della fiducia non è di poco interesse. I maggiori filosofi vi si sono soffermati per giungere alla conclusione che si fida degli altri solo chi non teme il peggio e rimane tranquillo. Gerd B. Achenbach, uno dei padri della moderna consulenza filosofica, con l’aiuto di un racconto di Franz Kafka, La tana, mostra come la fonte dell’insicurezza sia l’ossessione di realizzare la sicurezza perfetta o totale la quale, essendo inesistente e impossibile, fa cadere il suo ossessivo ricercatore nella più perfetta delle insicurezze: la mancanza di fiducia.
L’animale di Kafka si è scavato una tana e ci si è infilato dentro. Lì dentro è al sicuro, controlla cosa accade là fuori nel mondo e si sente al sicuro. Anche se, in verità, proprio sicuro sicuro non è e non si sente. Perché, ad esempio, deve stare lì davanti, all’ingresso, per vedere e controllare che non accada qualcosa di pericoloso, e così non può starsene tranquillo nella sua tana. Ah, se solo potesse fidarsi di qualcuno e metterlo lì di guardia mentre lui se ne sta dentro al calduccio della sua tana. È così che la sicurissima tana è diventata per l’animale la fonte della sua insicurezza, tanto da rendergli impossibile l’esistenza. Infatti, «cosa vuole l’animale di Kafka? Vuole stare sicuro. Vuole essere sicuro che le cose vadano come devono andare, come lui vorrebbe che andassero. Ma in questo caso la fiducia è impossibile. Si fida solo chi lascia aperta la conclusione della sua fiducia, solo chi riesce a lasciarla aperta. L’animale di Kafka non ne è capace».
Quell’antico proverbio, di certo non insensato, va preso un po’ con le molle o almeno interpretato. Andrebbe un po’ riscritto: «fidarsi è bene, perché non fidarsi sempre e comunque è impossibile». La fiducia è connaturata all’esistenza. Tanto che non c’è l’una senza l’altra. E non solo in cose importanti e profonde, ma anche in cose più semplici e banali ma che, a conti fatti, son quelle più concrete dell’esistenza. Avrete senz’altro un’automobile e ogni tanto la portate in officina per un controllo: olio, acqua, freni (non c’è bisogno di controllare benzina e gasolio, non ci sono mai). Quindi ripartite. Ma prima di partire potete controllare sempre tutto? Inevitabilmente vi dovete fidare. E la spesa? Non vi fidate di tutti ma solo del vostro fidato negoziante sotto casa perché è di vostra fiducia e lo conoscete da una vita e vi sentite sicuri. Bene. Ma vi fidate, altrimenti non sareste in grado di controllare la freschezza e la genuinità di ogni prodotto.
E il medico? È forse lo sforzo di fiducia più serio, persino per gli stessi medici che hanno bisogno a loro volta di un medico. Il giudizio del medico lo pesiamo, lo consideriamo, lo valutiamo ma alla fine bisognerà fidarsi. Come ci si dovrà fidare delle medicine: o siamo forse in grado, al di là della data di scadenza, di verificarle?
Come si vede: vivere senza fiducia è “praticamente” impossibile. Non possiamo decidere se fidarci o non fidarci perché la fiducia inerisce direttamente alla vita così com’è. La fiducia non è facoltativa ma necessaria. La si potrà considerare e riconsiderare, valutare, limitare, ritirare, confermare ma non se ne potrà fare a meno. La fiducia altro non è che il ri-conoscimento della impossibilità di tutto sapere e tutto controllare. La fiducia è un atto di conoscenza in cui si ri-conosce la propria limitata conoscenza e la altrettanto limitata altrui autorevolezza o autorità. Fidatevi.
Naturalmente, la fiducia può essere tradita. Ma anche questo rientra nella fiducia: la fiducia tradita implica la riconsiderazione dell’autorità in cui si è riposta fiducia. Ma la fiducia tradita non genera sfiducia perché è semplicemente l’accadimento del fatto di quanto poteva accadere anche se non se ne aveva la certezza. In altre parole, si era preparati (che naturalmente è cosa semplice da dire e un po’ diversa da sopportare: perché l’esistenza si sopporta). Come dice Montaigne: «Poiché le precauzioni che si possono prendere sono piene d’inquietudine e d’incertezza, è meglio prepararsi con piena fiducia a tutto quello che potrà accadere e trarre qualche consolazione dal fatto che non si è sicuri che accada».
La fiducia non riguarda solo il singolo. Riguarda tutti i singoli. Riguarda la società. «Siamo tutti in un fosso, ma alcuni di noi guardano verso le stelle» dice un aforisma di Oscar Wilde che leggo aprendo a caso Aforismi e citazioni. È un atto di fiducia anche aprire un libro, per certi versi è il maggior atto di fiducia possibile se si è disposti a farsi dire qualcosa da qualcuno, vivo o morto che sia – sempre che i vivi siano vivi e i morti morti. Non siamo in un tempo in cui si ha massimo bisogno di fiducia? La società più debole, quindi più esposta ai suoi nemici interni ed esterni, è quella società in cui non c’è fiducia: non ci si fida degli amici, degli avversari, della politica, delle istituzioni e tutto va proprio secondo i nostri timori che fabbricano i nostri fantasmi.
La fiducia in noi stessi e negli altri è il bene più prezioso per creare uomini e società al di là dell’ottimismo e del pessimismo che in quanto tali sono solo due stati d’animo. «La mia generazione è chiamata a un compito storico assai gravoso – leggo nell’ultimo libro di Ferdinando Adornato -: rimuovere le macerie dell’ultimo ventennio e gettare le basi di una “seconda ricostruzione” del Paese».
È compito per il quale non solo si deve aver fiducia in sé e negli altri, ma soprattutto è necessario aver fiducia nella fiducia ossia, detto con parole al contempo semplici e vere, fede nella vita e nei suoi doveri. È proprio questa, la fede nella vita che si forma e aspira al miglioramento civile, la chiave di lettura del libro ora citato di Ferdinando Adornato: fornire a chi ha vissuto solo gli ultimi venti anni della storia italiana un’altra esperienza politica e morale. È un esercizio di fiducia a cui siamo massimamente chiamati quando parliamo all’ultima generazione che, per forza di cose, non ha termini di confronto diversi rispetto a quelli che passa il convento della realtà, mentre quelli ulteriori e migliori possono giungere solo attraverso un discorso di senso per il quale è indispensabile nutrire quella fiducia di cui è fatta la tragica storia dell’uomo.
tratto da Liberalquotidiano.it dell’11 novembre 2012