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File sharing: lo stato dell’arte

Creato il 05 settembre 2011 da Cindi
By Diego D'Agostini

File sharing: lo stato dell’arteRispondiamo sinceramente: chi non ha mai scaricato, tramite internet, opere tutelate dal diritto d’autore (ovvero files contenenti canzoni, film, immagini, libri…)? Almeno una volta nella vita, ognuno di noi lo ha fatto.
Alzi, ora, la mano chi ha scaricato tali beni gratuitamente tramite sistemi di file sharing. Il temine, come noto, indica un tipo di piattaforma che consente il download gratuito di file digitali dai p.c. di altri utenti connessi a Internet (sistema client/client) e senza l’intermediazione di un server centrale. Con tale sistema il diritto di proprietà intellettuale (e il connesso diritto di trarre un vantaggio economico dalla diffusione dell’opera) perde la sua peculiarità, in favore di una incontrollata condivisione digitale.
L’avvento e la diffusione di Internet hanno portato a un incontrollato aumento dello spazio di fruizione delle opere intellettuali e a un parallelo incremento di programmi di file sharing, liberamente scaricabili, per la trasmissione peer to peer di svariati tipi di file. L’effetto che ne è conseguito è che i tradizionali intermediari (editori, case discografiche e majors cinematografiche) si sono trovati a occupare una posizione più marginale ed economicamente svantaggiosa non potendo contare sul controllo della distribuzione delle opere intellettuali.
Il fenomeno ha, ovviamente, trovato la ferma e fiera opposizione di tali soggetti i quali hanno sollecitato soluzioni normative al problema (uno dei primi e più noti casi è stata la battaglia contro Napster – A&M Records Inc v. Napster Inc, n. C 99-05183 Mhp, n. C 99-0074 Mhp – piattaforma che permettendo il download gratuito dei file da un lato minacciava seriamente i fatturati delle case discografiche, dall’altro ledeva il diritto d’autore degli artisti).
Per contrastare il fenomeno del peer to peer dei file protetti da copyright, in Italia si è dovuto attendere sino al 21 maggio 2004 quando è stata pubblicata la legge di conversione – con modifiche al testo originario – del Decreto Urbani (decreto legge 22 marzo 2004 n.72 convertito con modifiche dalla legge 21 maggio 2004 n. 128). Prima di tale normativa non erano in vigore disposizioni di regolamentazione in tema di file sharing, a meno di non violare per scopi di lucro il diritto d’autore, a sua volta disciplinato dalla legge n. 633 promulgata nel 1941 (L.d.A.).
Sulla base del quadro normativo in vigore, oggi cosa si rischia, a quali sanzioni si esporrebbe il file sharer se la Guardia di Finanza o la Polizia Postale lo sorprendesse?
Tanto la normativa italiana, quanto quella europea sono improntate a una chiara e netta distinzione tra chi scarica per fini di lucro, e chi lo fa per “uso personale”. Ai “pirati professionali” è riservata una lotta senza quartiere, mentre vi è una maggiore tolleranza per chi appartiene alla seconda categoria (che ricomprende ogni uso legato alla ristretta sfera personale, compreso l’ambito familiare, sociale o professionale, con esclusione di un’attività che abbia risvolti commerciali e di profitto dalla diffusione dei file).
L’art. 171, alla lettera a-bis, e l’art. 171 ter L.d.A. puniscono, tra le altre, anche la condivisione dei file (il file sharing), distinguendo tra chi lo fa senza scopo di lucro e chi lo fa a scopo di lucro.
Invero, in un primo momento, il Decreto Urbani aveva sostituito – come elemento costitutivo dell’illecito penale – la finalità di lucro con la più ampia finalità di profitto salvo, poi, ripristinare tramite il d.l. n. 7 del 2005 la versione originaria.
Nello specifico, la condivisione per fini di lucro (per intenderci, l’utilizzo di e-Mule e software simili) comporta la pena da uno a quattro anni di reclusione e la multa da 2.582,00 euro a 15.493,00 euro, oltre le pene accessorie previste dall’art 174 bis, cioè 103,00 euro per ogni file condiviso.
All’opposto, la condivisione senza nessuno specifico scopo di lucro, invece, comporta la multa fino a 2.065,00 euro e i 103,00 euro per ogni file condiviso (art 171 a-bis).
In buona sostanza, oggi “scaricare” senza scopo di lucro opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore per mezzo di programmi di file sharing non costituisce reato ai sensi della disposizione di cui al comma 2, lett. a-bis) dell’art. 171-ter (sanzione più grave riservata ai pirati professionali), bensì ai sensi della lett. a-bis) dell’art. 171 L.d.A.. Peraltro, lo stesso art. 171 prevede per chi abbia commesso la violazione di cui alla lett. a-bis) un meccanismo di estinzione del reato simile all’oblazione.
Per ultimo, chi semplicemente scarica la musica da internet, ma non condivide con gli altri i file scaricati é punito con la sola sanzione amministrativa (quindi non penale) di 154,00 euro (a meno che non si sia recidivi o la quantità di file scaricati sia elevata, ipotesi questa che porta la sanzione a 1.032,00 euro più la confisca degli strumenti e del materiale).
Infine, recentemente, si segnala come – nell’ambito di questa battaglia tra majors ed esponenti dell’ICT – a breve la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrà pronunciarsi su una spinosa questione: può un giudice nazionale intimare a un Internet Service Provider di esercitare un’attività di controllo preventiva e il blocco o filtraggio delle comunicazioni tra i propri utenti colpevoli di pirateria? La Corte, infatti, è stata investita di tale problema da un Internet Service Provider belga, accusato d’aver consentito il file sharing tra i propri utenti.
La tematica è di grande delicatezza dato che il filtraggio e il blocco delle comunicazioni elettroniche per tutelare i diritti di proprietà intellettuale lede, in linea di principio, i diritti fondamentali degli utenti nella misura in cui si attua tramite il controllo di tutte le comunicazioni di dati che transitano sulla rete per individuare solo quelle che violano il diritto d’autore.
Non può passare inosservato che, se si adottasse siffatto controllo, la responsabilità giuridica della lotta allo scarico illegale su Internet sarebbe delegata agli I.S.P. (così come, del pari, sugli stessi graverebbero gli oneri risarcitori connessi alla violazione dell’obbligo di controllo).
Proprio per tale ragione l’avvocato generale presso la Corte di Giustizia Villalón, sulla base del bilanciamento degli opposti diritti e interessi, ha chiesto che venisse dichiarato che il diritto dell’Unione vieta a un giudice nazionale di emanare un provvedimento che ordini a un fornitore di accesso a Internet di predisporre, nei confronti della sua intera clientela un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi (in particolare su rete peer-to-peer) per individuare la circolazione dei file elettronici contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva sulla quale un terzo affermi di vantare diritti, e in seguito di bloccare il loro trasferimento.
Una battaglia si è conclusa, ma non altrettanto può dirsi la guerra tra majors e file sharers.

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