Filippo è bocciato.

Da Jessi

A wimpy kid

“Modificare l’equilibrio tra narcisismo e altruismo non è facile”

(Daniel. N. Stern)

Filippo è bocciato. Se l’aspettavano tutti tranne lui. Adesso è consumato dalla rabbia, dalla frustrazione. Non riesce a fermare in testa un solo pensiero e non riesce a capire cosa vuol fare oggi, o domani, o a settembre, quando dovrà scegliere in quale scuola andare.

La situazione è normale, comune, diffusa e per niente grave: si riparte. Nella stessa scuola o in un’altra. Ma per lui, la situazione non è così chiara. Lui ha in testa troppe cose e questa decisione da prendere non trova posto nella sua mente, ne supera la capacità e lo fa uscire di sè.

Rabbia, frustrazione, vergogna, blocco completo su tutti i fronti.

Filippo è al mare, ma resta nervoso da solo sotto l’ombrellone. Filippo è a tavola, ma non ha voglia di dire nulla. Filippo farà vacanze bellissime di cui non gli importa niente.

Un gomitolo di nodi e pensieri non detti che i suoi genitori non riescono a sciogliere. Che lui non riesce nemmeno a intravedere.

Servirebbe una soluzione gordiana, una lama che invece di pensare a sciogliere i nodi li tranci di netto. Una soluzione così a quattrodici anni non sai che possa esistere finchè non la sperimenti, e allora provi ad uscire dalla finestra dicendo che vuoi ucciderti perché non ce la fai più. Ma non è dalla finestra che arrivano i tuoi pensieri, anche se l’immagine di te che provi a uscire, sebbene dalla parte e dall’altezza sbagliata della tua casa, dovrebbe dirci molto.

Ci dovrebbe dire che forse il problema non è nella tua testa, ma dentro casa tua. Che vuoi uscirne, ma che non sai trovare la strada, da solo.

E anche i tuoi che ti richiamano e riprendono al volo, è un’immagine che ci dice tanto: che ti vogliono, ti vogliono dentro, ti vogliono bene.

Forse per sciogliere quei fili, ognuno dovrebbe prenderne un capo e tentare insieme l’impresa. La mamma potrebbe chiedere aiuto al papà e non cercare di arrivare a tutto da sola, per poi lasciare inevitabilmente il lavoro a metà.

Il papà dovrebbe prendersi il suo capo e lasciarsi avvolgere da quella parte di filo che lo vorrebbe tenere più vicino, più legato, più devoto, più amorevole, più generoso. Quella parte di filo che gli dice non sfuggire, non temermi. Per crescere ho bisogno di te, è per questo che stai lontano? Se cresco, ti minaccio?

E allora, se resti- ti giuro- non cresco. Però avvicinati…

E invece no, il filo tira ma il padre fugge e il figlio comunque cresce, rivelando il tempo che passa i ruoli che cambiano le minacce e le paure che restano e che anzi crescono anche loro.

Con la sorella, la situazione è diversa: lei è ancora piccola e i suoi voti e i suoi riccioli belli sono l’orgoglio del padre. Lei non è una minaccia, per ora. E non lo sarà fino a quando, almeno, lei non cercherà di essere l’orgoglio di qualcun altro e allora per il papà comincerà un’altra dura lotta, di cui anche lei soffrirà, come il fratello grande: lui deve limitarsi, contenersi, non crescere, non brillare troppo. Lei può splendere, ma la sua luce non può guidarla, illuminarne o costruirne la strada: può solo farla brillare, impreziosirla, come un gioiello.

Il figlio dovrebbe essere all’altezza del padre, senza mai superarlo. La figlia dovrebbe esserne la ricompensa, senza mai minacciarlo.

Ma questi figli sono perle, e il sale e le onde e le difese del padre possono solo farli crescere. E brillare.

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