Magazine Cinema
Please GiveNazionalità: Statunitense
Durata: 90 Minuti
Regia: Nicole Holofcener
Cast:
Rebecca Hall
Catherine Keener
Amanda Peet
Oliver Platt
Sarah Steele
Ann Morgan Guilbert
"Please Give" è stato presentato con successo al Festival Di Berlino 2010. E' uscito in patria, in poche copie, i primi giorni di Maggio e ha avuto un box-office piuttosto buono per un prodotto indipendente.
Oltre ad analizzare il film, mi propongo, tra mille dubbi e poche certezze, di comprendere perchè questo film non è adatto al pubblico italiano.
In primis è l'antitesi del blockbuster. In Italia i film di successo hanno necessariamente questa vocazione. Almeno i film Hollywoodiani. Il Cinema d'Autore, che non è per nulla passato a miglior vita, è la maggior parte delle volte orientato verso produzioni europee o, comunque, estere. Il Cinema Italiano è un pò già denominato (il vecchio dare nome alle cose) a prescindere. In realtà, vista la situazione attuale, non è uno scandalo l'assunzione di partenza.
Il primo motivo, in ordine generale, è che un film indipendente americano ha molte più difficoltà di attecchire da noi, a prescindere a punto, per una scelta del pubblico.Il secondo elemento, invece, va proprio ravvisato nella motivazione della scelta del pubblico. In questo versante, le variabili sono infinite ed indecifrabili. Certo è che il pubblico Italiano ama il serial americano, in genere, nella circostanza in cui i prodotti siano tradizionali. La "serata crime" delle reti generaliste è il punto forte del genere. Per quanto riguarda altri prodotti, il tipo di successo è settoriale, legato per esempio ad un certo tipo di appassionati, e individuale (l'accavallarsi delle serie non mandate in onda o nemmeno acquistate, determina spesso il ricorso allo streaming, in modo individuale). I film indipendenti americani, per molti versi, possono essere inglobati nel medesimo calderone. Da un punto di vista stilistico, non vi è molta differenza con alcune tipologie di serial. In molti casi, i serial sono addirittura superiori alla versione cinematografica, o nascono come se fossero destinati (e talvolta lo sono) al mercato cinematografico (HBO ne produce moltissimi). Quando un film indipendente, made in USA, esce in Italia, anche il pubblico non indirizzato al blockbuster, maggiormante incline alla cinefilia e divoratore di giornali e affini, oppure galvanizzato da Internet, ha, in buona parte visto il film, giacchè la data di scarto tra le uscite è tale che versioni in dvd siano già oltremodo diffuse, legalmente (all'estero) o meno. Per quanto riguarda quella fascia di pubblico cinefilo (onnivoro di cinema, meglio) che non fa ricorso a queste possibilità, per diversi motivi, è quasi certo che il film lo vedrà in seguito, giacchè di norma l'uscita sarà, visto le potenzialità basse a prescindere, tecnica, in pochissime copie, in pochissime città, in pochissime sale, normalmente di piccole dimensioni e poco appetibili per il grande pubblico.
Il terzo elemento, l'ultimo, il conclusivo, si pone forse nel contenuto-tipo del film. Il cinema-indie americano tende, in genere, a seguire canovacci base e ha un tono non esportabile in altri Paesi o, comunque, di lettura difficoltosa. Non a caso, il cinema indipendente nasce come sostegno interno al mercato ufficiale, nei momenti di crisi, e non come prodotto esportabile ed è, inizialmente, fuori dalle majors e legato alle minors. Sicuramente è un sistema troppo complesso per avere una definizione certa, soprattutto perchè le eccezioni sono comunque presenti. Se fossi un distributore, io ragionerei in questo modo.
Recensione
"Please Give" è un racconto molto sentito di una serie di storie che si congiungono, si allontanano e si avvicinano. E' un film corale, in cui ogni relazione è di rimando ad un'altra. E' un film di incontri fortuiti o programmati, di interiorità che riverbera sugli altri, di piccole sequenze perfettamente integrate. Lo stile, come evidenziato dalla scelta della professione di designer per una protagonista, è quello che unisce camp a minimalismo. E' un film parlato, ma anche spigoloso, riflessivo e che cerca di dottare un linguaggio nuovo, piuttosto sottile, poco gridato, per nulla politicamente corretto (quasi ogni personaggio fa consapevolmente e continuamente male all'altro, tradisce l'altro, odia l'altro).
E' la storia presente di tante storie passate che si congiungono, di tante insoddisfazioni, alcune implicite e difficili da comprendere, altre chiarite dopo un lungo tragitto. La caratteristica della pellicola è la grande naturalezza. Sia espositiva che contenutistica, ma soprattutto interpretativa. Il cast è realmente eccezionale. Se la mia passione per Rebecca Hall si accresce di giorno in giorno, e la pone come vera candidata alla fama e alla notorietà, anche Catherine Keener si conferma grande interprete. Più complesso analizzare il lavoro di Amanda Peet, a cui viene affidato un personaggio meno compensibile e tendenzialmente meno positivo. Anche in questo caso, va dato atto all'attrice di aver saputo far emergere quei tratti mutevoli di un character ben scritto, ma che avrebbe potuto, senza una buona direzione, cadere nel clichè e nello stereotipo. Il film, prettamente femminile (Sarah Steele, brava, ricopre un ruolo molto simile a quello interpretato in "Spanglish", Ann Guilbert viene dalla televisione e ha tempi, comici e non, perfetti), vanta anche un univo vero coprotagonsita maschile, Oliver Platt, altrettanto capace. E' una commedia che si tinge di dramma, o forse più un dramma che si tinge di sprazzi comici intenso e soprattutto dotato di quel quid di originalità e di sapienza autoriale che manca ad altri prodotti. Nicole Holofcener è da seguire, per chi ancora non l'avesse annotato.
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