Good Kill, un film di Andrew Niccol. Con Ethan Hawke, Bruce Greenwood, January Jones, Zoë Kravitz. Al cinema da giovedì 25 febbraio.
Tommy lavora in una base militare vicino a Las Vegas, manovrando a distanza i droni mandati a colpire i talebani in Afghanistan. Guerra pulita, armi immateriali, la sera si torna a casa in famiglia. Ma giocare alla playstation con veri morti ammazzati può mandarti fuori di testa. Che è quanto succede al protagonista. Purtroppo lo sviluppo drammaturgico è risibile, e di questo film restano solo la buonissima idea di partenza e quelle immagini perturbanti dei bersagli. Presentato al festival di Venezia 2014 in concorso. Voto 4 e mezzo
La guerra signora mia non è più quel di una volta. L’aviazione nemmeno. Dove sono finiti i Top Gun? Adesso, almeno a quanto ci mostra questo film, se ne stanno tranquilli nella loro cabina di comando climatizzata a manovrare e indirizzare droni a undicimila chilometri di distanza. Che sembrano giochino alla playstation o xBox, e invece quelli che provocano son morti veri, sangue dapertutto e brandelli urmani sparsi per decine di metri. Teatro di guerra, l’Afghanistam degli eterni talebani, mai davvero scomparsi e sconfitti, anzi più che mai al contrattacco dalle loro zone santuario. Li vedi in video distintamente, ne distingui quasi la faccia, e se ti dicono (e a un certo punto è la Cia a dirlo, e dare gli ordini) che sono il bersaglio anche se sembrano civili, anche se intorno ci sono dei civili, gli mandi addosso il drone e booom. Good Kill! Bel colpo! Ecco, l’idea di farci un film – su questa nuova, strana guerra asettica, soi-disante intelligente, dove ammazzi e vedi i corpi smembrati delle tue vittime ma ti sembra un videogame, e dove non ti devi insozzare le mani -, era ottima. Ma il film di Andrew Niccol la spreca. Centro della narrazione è Tommy (un Ethan Hawke sfuocato), già top gun amante del brivido dell’aria (ah, quegli atterraggi di emergenza sulla portaerei nella burrasca, che orgasmo!), ora invece stanziato a terra in una base militare vicino a Las Vegas a manovrare droni a distanza. Con lui una collega tosta ma di cervello e cuore perfettamente funzionanti, cosa che non si può dire degli altri due del gruppo, che di scrupoli non se ne fanno e non tengono pensieri. La prima parte del film ha una sua efficacia, e impressionano quelle immagini di villaggi afghani, di quegli uomini che possono essere civili qualsiasi o appartenti a una cellula terroristica, e allora se qualcuno ti ordina di colpirli bastano otto secondi per spazzarli via con tutto quello che gli sta intorno, e se per caso entrano nel raggio d’esplosione donne e bambini, peggio per loro. Il drone logora chi lo deve comandare, e difatti Tommy, che ha una coscienza ancora desta nonostante tutto, comincia a farsi parecchie domande su quel lavoro così pulito fuori e così sozzo dentro, che ti fa diventare matto per come anestetizza la realtà e la svuota. Almeno, nel combattimento di un tempo, nella vecchia guerra, c’era la corporeità, la fisicità dello scontro, del far male e del farsi del male, qui tutto è immateriale. Purtroppo, quando il film deve presentarci la crisi del suo protagonista, accumula solo stereotipi e si perde. Senza mai essere decollato davvero. E giù con la bottiglia di vodka, che Tommy si scola già appena sveglio prima di colazione. Poi ad andare in malora è il suo matrimonio con la biondissima e bellissima moglie (January Jones infatti, purtroppo sacrificata in un ruolo da cretina), la quale non fa altro che rinfacciare a quel pover’uomo che la sera arriva a casa distrutto dopo aver ammazzato afghani su afghani che lei si sente tanto trascurata, che lui non è più carino come una volta, ‘e caro perché non ti confidi con me? perché non ne parliamo?’. Come se fosse facile parlare a una che è appena tornata dall’estetista, sua occupazione massima probabilmente, di ammazzamenti alla playstation, però veri. Good Kill non ce la fa mai a costruire una credibile, attendibile e minimamente interessante pista narrativa. Al di fuori di e oltre quelle immagini schermiche ipnotiche e perturbanti non c’è purtroppo niente. La buona collega è Zoë Kravitz, sì, la figlia di Larry Kravitz e Lisa Bonet, bella come mamma e papà.
Magazine Cinema
Film-recensione: GOOD KILL. I turbamenti di un pilota (a distanza) di droni
Creato il 25 febbraio 2016 da LuigilocatelliI suoi ultimi articoli
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