Film stasera in tv: L’UOMO D’ACCIAIO (dom. 26 apr. 2015, prima tv in chiaro)

Creato il 26 aprile 2015 da Luigilocatelli

L’uomo d’acciaio, Italia 1, ore 21,20. Prima tv.
L’uomo d’acciaio (Man of Steel), un film di Zack Snyder. Con Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diane Lane, Laurence Fishburn, Antje Traue, Russell Crowe. Soggetto di David S. Goyer e Christopher Nolan.  Sceneggiatura di David S. Goyer.  Co-prodotto tra gli altri da Christopher Nolan. Musiche di Hans Zimmer. In 2D e in 3D.
Anche se dirige lo Zack Snyder di 300, credo che la vera mente di L’uomo d’acciaio sia Christopher Nolan, coautore del soggetto e coproduttore. Il quale, dopo aver reinventato Batman, ci riprova con Superman. Scenari grandiosi, storia titanica, apocalissi e scontri finali con il sapore dell’ordalia. E un eroe fragile, dilaniato tra le sue origine kriptoniane e l’identità terrestre. Questo film è l’Apocalypse Now del genere super eroistico. Magnifiche la prima e l’ultima parte. Il plot è a tratti macchinoso, però a conti fatti l’operazione Superman reloaded riesce. Con un dubbio: ha ancora senso chiamarlo Superman? Voto 7.
Altro che reboot. Qui siamo al radicale revisionismo del Superman così come l’abbiamo conosciuto (dai tempi dei fumetti ribattezzati in Italia Nembo Kid), di cui restano in questo film solo elementi esteriori e labili segni. Come se una cosa venuta da un altro mondo si fosse impossessato di uno dei personaggi simbolo della mitologia popolare noventesca, l’avesse divorato dall’interno lasciandone appena appena l’involucro e rendendolo altro. Altro da sè. Il che, lo dico subito, non è un male, anzi. La massiccia rilettura (chi in Italia avrebbe mai il coraggio di una simile operazione su personaggi come Diabolik o Tex?) forse tradirà anche il superuomo meno nicciano e più amato di ogni tempo, ma funziona. Altrochè se funziona, nonostante molta critica americana abbia arricciato il naso (vedere gli score non entusiasmanti su Rotten Tomatoes e Metacritic) e nonostante che anche qui all’anteprima stampa sian stati più i musi lunghi degli entusiasmi, e che sui social network sian partite subito campagne antipatizzanti piuttosto antipatiche. Questo Man of Steel se perde in leggerezza e immediato appeal acquista in spessore, profondità, aggiungendo dimensioni e anfratti e molti angoli bui assenti nell’originale, e potenzialmente assai affascinanti e densi di sorprese. Scordiamoci – almeno qui, nel sequel si vedrà – il bravo ragazzo occhialuto dalla doppia vita, super eroe in incognito pronto a librarsi nell’aria per salvare il mondo o solo il cane di una vecchietta. Ci troviamo invece in uno scenario pre e post apocalittico da guerra dei mondi, tra distruzioni, catastrofi, scenari corruschi e fiammeggianti e quasi wagneriani. Man of Steel è l’Apocalypse Now del genere super eroistico. Potrà anche non piacere e non convincere, ma la sua carica suggestiva resta innegabile. Nonostante le recensioni perplesse, il pubblico americano nel primo weekend ha premiato l’operazione, facendo affluire al box office 120 milioni di dollari, e vediamo cosa succederà in Italia dopo l’uscita di oggi. Si sente nell’operazione la mano di Christopher Nolan – quello di Inception, quello soprattutto del reboot di Batman, character rinato e diventato brillantemente grazie a lui Il cavaliere oscuro -, qui presente in molti ruoli: come co-produttore, come co-autore del soggetto e, suppongo, come vero deus ex machina del tutto. Anche se il regista è uno bravo, tosto e di forte carattere come Zack Snyder (300, Watchmen), Man of Steel non può non dirsi nolaniano. L’impronta è ovunque. Nel titanismo della storia e degli scenari. Nel senso di minaccia che su tutto incombe e tutto pervade. Nelle fragilità del protagonista, perplesso e intimamente fallato come Il cavaliere oscuro: un outsider sociale a rischio continuo di diventare un outcast, un paria, un reietto a causa della sua insopprimibile diversità. Non siamo all’altezza della trilogia del nuovo Batman, il plot stavolta è qua e là eccessivamente macchinoso, alcuni passaggi narrativi restano inspiegabili e inesplicati, e se la prima e l’ultima parte sono magnifiche (laddove si va con decisione sull’apocalisse), quella di mezzo ha qualche cedimento strutturale. Però, facendo la sommatoria, i segni più prevalgono nettamente sui meno, e L’uomo d’acciaio è un film da vedere. C’è una notevole ambivalenza, per non dire altro, nei confronti del Superman tradizionale, al punto che per ben due ore non si pronuncia mai quel nome. C’è perfino una scena in cui Amy Adams (più che mai grintosa quale Lois Lane) sta per dire la non dicibile parola e subito qualcosa la blocca, le impedisce di proseguire: più chiaro di così. Il protagonista viene chiamato Kar-El, il nome (dal suono arabeggiante) che si porta dietro dal pianeta natale Krypton, oppure Clark, come l’hanno chiamato i genitori adottivi qui sulla Terra. La grande S disegnata sull’uniforme non sta per Superman, ma per una parola che in kryptonese vuol dire speranza, e sta indifferentemente addosso a tutti coloro che da quel pianeta provengono. Tutta la divisa del nostro eroe è cupa, blu notte, anzi blu copiativo e pure un po’ punitivo, con stivali e un mantello che non sono più del solito rosso brillante e allegro. La saga viene ridisegnata e ripensata a partire dall’inizio, dalle origini, dal pianeta Krypton. Il quale sta per collassare perché i suoi governanti, per far fronte alla crisi energetica, hanno osato intaccare il nucleo di kriptonite che lo regge. Papà (Russell Crowe), capendo che la fine è imminente, dopo aver inoculato al figlio neonato il codice genetico che consentirà di replicare i kryptoniani, lo spedisce con una nave spaziale sulla terra. Non bastassero i guai, c’è pure il malvagio e fanatico generale Zod che cerca di impadronirsi di Krypton con un colpo di stato e di instaurare un regime totalitario. Verrà fatto prigioniero e mandato insieme ai suoi seguaci su altri mondi. E sarà proprio per questo che, quando il pianeta morirà, lui e gli altri malvagi paradossalmente sopravviveranno. Assistiamo intanto a infanzia e adolescenza di Kar-El diventato sulla terra Clark Kent, vediamo come i genitori adottivi (in particolare papà Kevin Costner) lo addestrino a nascondere i suoi super poteri perché non venga riconosciuto, usato, manipolato e magari interdetto dal consesso civile. Ma attraverso la visita a una nave spaziale scoperta tra i ghiacci artici il giovane uomo Clark capirà da che mondo proviene, conoscerà la sua origine parlando con l’ologramma del padre. Quel che segue è l’arrivo sulla terra del malvagio Zod con il suo esercito, deciso a impadronirsi del codice genetico impresso nelle cellule di Clark/Kar-El e a ridar vita a Krypton e ai kriptoniani sul nostro pianeta: ovviamente dopo aver sterminato tutti i suoi abitanti. Dilaniato tra la vecchia apartenenza kriptoniano, tra il richiamo delle sue origini e la nuova identità terrestre (come un immigrato di seconda generazione), Kar-El deciderà di schierarsi dalla nostra parte. Fino allo scontro finale con Zod. La distruzione, all’inizio del film, di Krypton a poco a poco divorata dalle fiamme, è magnifica. Ma è l’ultima parte a fare di questo Man of Steel qualcosa di epico, con il lungo duello – quasi un’ordalia – tra Kar-El e Zod in una Metropolis, e sopra una Metropolis, che somiglia molto alla New York dell’11 settembre. Zack Snyder riproduce quasi filologicamente i molti video di quell’epocale disastro, fino a rifare le storiche scene del crollo e della nube di polvere che man mano avanza verso i passanti che fuggono terrorizzati. Davvero, ci si rende conto di cosa sia stato il trauma del 9/11 nel corpo e nella psiche dell’America, se ancora oggi c’è bisogno di riprodurre, rielaborare, metabolizzare, esorcizzare con scene come queste. Anche se di apocalissi metropolitane ne abbiamo viste tante al cinema – di recente l’invasione aliena in The Avengers e gli attentati a catena in The Dark Knight Rises – qui si va oltre (Nolan va oltre), in una sequenza impressionante di crolli e devastazioni. La caduta degli dei, davvero. Trapela perfino un che di sacrale, di mistico. Superman qua e là tende al supernatural, al sovrannaturale, apparendoci una creatura salvifica che, più che librarsi nell’aria, sembra ascendere al cielo per poi tornare sulla terra a riportare il bene e la grazia. Aiuta in questo la faccia di Henry Cavill, inespressiva sì, ma anche da santo buono, da santo dei miracoli. Non appare benedicente, ma se in certi momenti lo fosse non ci si sorprenderemmo più di tanto. Nell’ultima scena tutto sembra reincanalarsi su binari più tradizionali e il Superman che abbiamo conosciuto prima di questo film riaffiora. Aspettiamo l’inevitabile sequel per capire se e quanto si proseguirà sulla strada della radicale revisione.


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