Benvenuti al Sud, Canale 5, ore 21,11.
Versione italiana e fedele ricalco del fortunatissimo film francese Giù al Nord, Benvenuti al Sud è molto, molto divertente e si merita l’enorme successo che ha avuto. Butta in commedia la rivalità Nord-Sud, demolisce pregiudizi e stereotipi. Al cinema il pubblico ha molto gradito. Ma ci avrà creduto davvero?
Un film che ha abbondantemente superato i trenta milioni di euro di incasso sul mercato italiano e non è un cinepanettone e nemmeno un cartone Pixar in 3D un po’ di attenzione se la merita, e anche un po’ di rispetto. Meglio dire subito che il successo a sorpresa del film con Claudio Bisio (e anche di Claudio Bisio, perché lui se l’è messo addosso, se l’èritagloiato e acconciato fino a diventarne co-autore a tutti gli effetti) non è per niente immeritato. Si ride e si ride molto. Si segue con divertimento e anche con partecipazione la storia di Alberto che, direttore in un ufficio postale della Brianza, si finge disabile per poter salire in graduatoria e ottenere finalmente l’agognato trasferimento a Milano, dove l’ambiziosa moglie Silvia (un’Angela Finocchiaro brava ma poco credibile come mamma, seppure tardiva, di un pargolo di otto anni) vuol tornare a vivere da sciura comme il faut (“così potrai andare alla scuola americana”, dice al figliolo). Smascherato, il postelegrafonico Alberto verrà mandato per punizione giù nel profondo Sud, in uno sperduto per lui paesino campano che di nome fa Castellabate. Parte col giubbotto antiproiettile immaginando spari camorristici perenni, mentre la moglie si dispera perché convinta (lei che è nordica, stranordica, al punto da far parte delle Rondinelle, vigilantes volontarie che ricordano parecchio le ronde più o meno padane) che lì il colera è endemico, altro che aviaria e suina. Chi ha visto il film, cioè quasi tutti, sa come la faccenda si sviluppa e va a finire. Che Alberto, con tutto il suo bagaglio di pregiudizi antimeridionali, arriva al paesello a picco sul mare tra Costiera e Cilento e scopre che è una meraviglia e ci si sta d’incanto. Gente che avrà i suoi usi e costumi ma che cucina da dio e il caffè non ce n’è di meglio al mondo, anche se lo tracannano a litri a ogni ora del giorno (“no, io prendo una tisana, al massimo un tè”, si prova a rifiutare Alberto l’ennesima tazzina, ma poi cede quando si sente dire: “Tè? Ma che stai malato?”). Sul lavoro, dopo le iniziali perplessità (“ma qui a che ora incominciate a lavorare? a mezzogiorno?”, dopo qualche goffo tentativo di ridare efficienza all’ufficetto postale (“cari colleghi, ho rilevato delle criticità che ora andrò ad esporvi”), si troverà alla grande con il postino Mattia (Alessandro Siani, quasi clonato da Troisi), l’impiegata – e di Mattia ex fidanzata – Maria (Valentina Lodovini), più i due adorabili quasi pensionati che sono una via di mezzo tra i Brutos e i primi e più selvaggi Franchi e Ingrassia, con un pizzico di Enzo Cannavale e Bombolo e che permettono alla regia di inscenare siparietti di pura comicità campana. Finisce che Alberto molla il giubbotto antiproiettile, si dà alla dolcezza di vivere dell’incantevole paesello sul mare, diventa anche lui caffè-dipendente, si adegua e gli piace. Finale che non si svela ma che è facile intuire. Dunque la morale (altrochè se c’è la morale in Benvenuti al Sud, in questo è un film quasi brechtiano) è chiara e semplice: superiamo i pregiudizi e le incomprensioni, l’Italia è una e soprattutto è bella proprio per le sue differenze, impariamo a conoscerci, a rispettarci e a andare d’accordo, e smettiamola di farci del male tra Sud e Nord. Ora, che un film così abbia un così incredibile successo qualche domanda la fa sorgere. Soprattutto: com’è possibile che questo inno all’Italia una e indivisa arrivi e funzioni così bene in un momento in cui, proprio alla vigilia delle celebrazioni del 15oesimo anniversario dell’Unità d’Italia, il paese è più diviso e frammentato che mai? Il distacco tra Nord e Sud non è mai stato così ampio dai tempi del Risorgimento, il divario di reddito e ricchezza prodotta anziché diminuire si accentua, i mali del Sud sembrano enedemici e irrimediabili, criminalità organizzata in testa, e poi tra Lega Nord sempre più forte e partiti del Sud in rapida ascesa, per la prima volta nella storia post-risorgimentale la scissione è un rischio reale e non più solo uno scenario simulato da centro studi di geopolitica. Non bastasse, si fa largo al Sud il revisionismo neoborbonico e antisavoia e antirisorgimentale, della serie si stava meglio quando si stava peggio sotto Franceschiello. Eppure proprio adesso arriva Benvenuti al Sud e fa sfracelli. C’è chi ha visto e letto nel suo sbalorditivo successo il segno che in realtà il sentimento nazionale regge ed è in buona salute. Io sarei meno ottimista. Il film non intercetta nessuna corrente profonda tesa all’unità del paese (semmai, come ha scritto qualche giorno fa Angelo Panebianco sul Corriere della sera, la corrente va nella direzione esattamente opposta della disunione), è solo un film ben fatto che coglie i pregiudizi e li butta in commedia con tanto di happy end.
Film ben diretto da Luca Miniero (regista qualche anno fa dello stravagante Incantesimo napoletano che giocava sugli stereotipi etnici ribaltandoli, con una bambina di Napoli innamorata del Nord che parlava milanese, rifiutava pastiera e babà e voleva solo panettone), benissimo interpretato da Bisio e dagli altri, Alessandro Siani (Mattia) in testa. La ragione del successo dunque è solo da ricercarsi all’interno del film, non all’esterno, dentro i suoi meccanismi di costruzione del racconto e di messinscena, tutto qui. Lo schema è un classico della commedia, due mondi opposti costretti a interagire, creando una gran mole di equivoci, buffonerie, battute. Gran parte del merito va all’originale francese Bienvenus chez les Ch’tis, distribuito da noi come Giù al Nord, enorme successo transalpino di due anni fa di cui Benvenuti al Sud è la versione italiana e il fedelissimo ricalco. Sull’operazione c’è il sigillo dello stesso Dany Boon, regista, sceneggiatore e anche interprete di Giù al Nord, che di Benvenuti al Sud è il produttore esecutivo. Per chiarire poi che il film di Miniero è stata realizzato con il suo consenso e sotto la sua sorveglianza, Dany Boon appare anche in un fugace cameo (è il francese che chiede informazioni nell’ufficio postale del paesello).
Benvenuti al Sud ribalta le polarità di Giù al Nord – nel film francese un provenzale è costretto a lasciare il tepore del Sud per andarsene verso le brume e le desolazioni del Pas de Calais, qui è il contrario -, ma riprende il film francese e lo rifà quasi scena per scena: il fingersi disabile per avere la promozione, la punizione con il trasferimento in luogo ritenuto inospitale, il ritrovarsi in un ufficio postale con tre colleghi uomini e una collega. Perfino la figura secondaria della madre di Mattia è ripresa da Giù al Nord, perfino Alberto che fa il giro di consegna della posta e costretto a fermarsi a bere il bicchierino dappertutto se ne torna ubriaco, e ancora la messinscena per la moglie in visita, l’amore di Mattia per Maria, la pisciata di Mattia e Alberto in mare (in Giù al Nord il protagonista imparava con gran godimento a fare la pipì nei gelidi canali). Tutto clonato, tutto copia-incollato. Certo, l’inversione della polarità Nord/Sud non è di poco conto. Una cosa è realizzare, come Dany Boon, un film sui pregiudizi che dividono un paese che resta però culturalmente compatto come la Francia, altra cosa è realizzare la stessa operazione in Italia dove la divisione Nord-Sud è profonda e fa male più che mai. Le differenze e le diffidenze reciproche da noi sono tali che Benvenuti al Sud per risolverle in commedia ha dovuto depotenziarle parecchio, edulcorando la realtà molto più del corrispettivo francese. Ma è una commedia, semplificare si può e si deve. Anche se qua e là qui si rischia il senso di irrealtà. Castellabate è una delizia di paese, ma possibile che tutto funzioni così alla perfezione? Neanche un cassonetto bruciato, neanche un’infiltrazione equivoca negli affari pubblici, neanche un caso di dissipazione o cattiva amministrazione delle risorse? Allora Gomorra, inteso in entrambi i sensi come libro e film, che è vero che sta nel casertano e non qui, ma insomma non è proprio dall’altra parte della Luna rispetto a Castellabate, ecco, benedetto iddio, è mai possibile che Gomorra che è praticamente dietro l’angolo sia l’inferno e Castellabate il paradiso? Non è che in Benvenuti al Sud si semplifica un po’ troppo? In questo però vale la par condicio. Anche il Nord è semplificato, per non dire banalizzato. Sarà che io vengo dalla Brianza e il paese di Usmate, dove abita il protagonista Alberto con moglie e figlio in villetta a schiera, lo conosco piuttosto bene, e mica è così retrivo, mai viste le Rondinelle o simili, nessuno pensa che nel Cilento si muoia di colera e che bisogna andarci col giubbotto antiproiettile. Tra l’altro, ho proprio saputo un paio di ore fa che il comune di Usmate (o la biblioteca, non ricordo bene, ma comunque un’istituzione pubblica) oganizza anche corsi di arabo per la locale popolazione brianzola. Ecco, per dire, siamo lontanucci dalla Usmate rondaiola dipinta nel film. Che poi quell’accento lombardo-lumbard-meneghino lo ha solo la Finocchiaro, io non ho mai sentito nessuno lì parlare in quel modo.
Insomma la realtà, sia del Nord che del Sud, nel film di Luca Miniero è banalizzata e appiattita per farne commedia. Ma va bene così, è cinema, non un trattato sociologico. Poi l’estremizzazione e la deformazione ironica e grottesca del reale fanno da sempre parte di ogni opera di finzione. Ci si diverte, si ride, ci si ritrova anche a pensare qua e là che questo povero paese, sempre in procinto di spiezzarsi in due, un accordo per continuare a restare unito potrebbe anche trovarlo, proprio come nel film. Benvenuti al Sud è una favola, ma ogni tanto ci vogliono anche le favole per tirare avanti.
(P.S. Il protagonista di Giù al Nord, incarnazione del francese medio, anzi del provenzale medio, è Kad Merad, attore popolarissimo di origine algerina, nato anzi proprio in Algeria, a Sidi Bel Abbes. La mente e anima del film Dany Boon – regista, sceneggiatore, anche attore – di nome fa Daniel Hamidou ed è di origine kabyla per parte paterna. Ve lo immaginate se in Benvenuti al Sud avessero chiamato a impersonare il brianzolo medio non Claudio Bisio ma un marocchino o un egiziano? Eppure è esattamente quanto è successo in Francia. Il che rende Giù al Nord molto più stratificato di quanto non appaia al primo sguardo, con una trama di testi e sottotesti che suggerisce allo spettatore come il cittadino francese cosiddetto medio sia pura astrazione e che chiunque può esserlo, un francese di cento generazioni o il figlio di un immigrato dal Nord Africa. O forse Giù al Nord è irrisione alla stessa categoria di medietà francese, la sua liquidazione. Tutto questo lo rende non solo divertente ma anche complesso e profondo, a tratti geniale, e lo colloca a un livello parecchio superiore al pur buono Benvenuti al Sud).
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