Il giorno in più, Rai 1, ore 21,15.
Ripubblico la recensione scritta al’uscita del film.
Il giorno in più di Massimo Venier. Con Fabio Volo, Isabella Ragonese, Camilla Filippi, Roberto Citran, Lino Toffolo, Luciana Littizzetto. Voto: tra il 5 e il 6
Film di parecchie ambizioni, che vuole distinguersi dalla solita commedia italiana vecchia e nuova e tenta la strada della romantic comedy all’americana. Niente cadute vernacolari o gag televisive. Dialoghi curati, confezione mai sciatta. Il problema è che Fabio Volo continua a rifare se stesso e il suo solito personaggio di trenta-quasi quarantenne paraculo, narciso e piacione, quello che l’ha reso idolo di una generazione (i suoi romanzi si vendono a botte di milioni di copie). Se solo avesse il coraggio di uscirne e andare oltre, ci potrebbe dare qualcosa di interessante. Però non è un film da buttare, e attenzione al cameo strepitoso e commovente di Lino Toffolo.
Peccato, perché c’è del buono in questo film. Peccato che la resa finale sia deludente, really disappointing, perché questo Il giorno in più ha delle ambizioni, ha vivaddio una qualche voglia di volare oltre i cieli stanchi della solita commedia, e cerca di perseguirle le sue ambizioni (e lo sforzo di tutti si vede), solo che poi non ce la fa. L’ambizione molto evidente è quella di mettere in piedi una romantic comedy all’americana, un boy-meets-girl fatto di nulla e tutto che cerchi di raccontare l’eterna storia dell’amore, della piccola guerra dei sessi, tra un ti-lascio-e-ti-riprendo, un po’ scappo e un po’ ritorno e un po’ riscappo per farmi riprendere. L’ambizione è, anche, di tenersi lontani dai più sdati cliché della vecchia e nuova commedia italiana, i tic dialettali, i macchiettoni, gli strascicati tempi televisivi, le battute telefonate, il tanfo irrimediabilmente provinciale e periferico (da periferia dell’impero). In Il giorno in più c’è lavoro dietro, e si vede. Si tenta la costruzione di una storia, si sente il lavoro di sceneggiatura, i dialoghi cercano, aspirano a essere scintillanti, cinici sul modello americano, e suonano molto più curati della media, lavorati, levigati, scritti e riscritti. Non c’è sciatteria. La regia di Massimo Venier incarta bene, azzecca toni, atmosfere, ambienti e ritmo del racconto. Però il film poi non funziona. È che, nonostante gli sforzi di tutti e anche suoi, Fabio Volo non riesce a uscire da Fabio Volo, non ce la fa a liberarsi dalla propria ombra, a emanciparsi da se stesso e dal suo personaggio che si trascina dietro ormai – tra tv, romanzi, cinema – da dieci e più anni. Questo Giacomo Casetti di Il giorno in più è il suo solito narciso trentenne di sempre, anche se ormai è quasi a quota quaranta, ed è spelacchiato e con profilo non più impeccabile con un sospetto di pancia. Il solito Fabio Volo o se preferite il suo solito alter ego, che cambia a seconda dei film e dei romanzi nome e cognome ma non tratti di base e anima (che sta peraltro molto in superficie, essendo ogni profondità abolita e aborrita). L’eterno irresoluto che non si decide a nulla con le donne, che continua a fluttuare nel solipsismo allontandando e procastinando (ma a quando?) il momento della realtà, e non solo con le donne ma proprio con la vita. Una ragazza via l’altra, e mai la voglia di provarci con una storia che sia una storia, perché poi quel che importa è solo muoversi tra gli specchi e assicurarsi che ce ne sia sempre uno pronto a rimandarti la tua immagine, anzi l’immagine che ti sei costruito di te per piacerti e piacerti ancora. L’abbastanza odioso, diciamolo, personaggio di Fabio Volo, che però deve essere riuscito a intercettato non solo l’aria del tempo, ma lo spirito di una intera generazione, visto il debordante successo con cui è stato accolto (i suoi libri sono venduti a milioni di copie, non solo in Italia, e qualcosa, anzi molto vorrà pur dire. Proprio stamattina, se hanno senso certe osservazioni spicciole, ho visto in metrò qui a Milano una ragazza, bellissima tra l’altro, immersa nella lettura del più recento Volo). Questo Casetti è proprio così, vende (in una banca?) prodotti finanziari che si chiamano Silver e qualcosa, e mai un accenno però alla gran crisi finanziaria gobale, con i suoi derivati marci, le bolle speculative ecc., ma si può? Dunque, la sua ragazza lo molla perché vorrebbe più certezze da lui, lui invece proprio non gliele sa dare, e deve aver combinato pure qualche stronzata. Qualche gag, giusto per farci vedere che lui ha casa sul Naviglio e farci capire la specie antropologica di appartenenza, che è il milanese medio mediamente in carriera sui 30 vicini ai 40. Sul tram ogni mattina vede una ragazza che è un incanto, difatti è quella delizia di Isabella Ragonese, veramente una delle più belle creature che attraversano oggi lo schermo italiano. Lui, che passa per un womanizer (ma sì, diciamo femminiere) e lo è, però con lei non ha il coraggio di approcciare, ridiventa timido, se la mangia con gli occhi un po’ acquosi da cane bastonato e stop. Però ai colleghi, al capo, alla mamma (una Stefania Sandrelli che fa la Sandrelli, sempre più matronale e paciosa, ormai molto simile alla Shelley Winters matura) che lo tormentano perché non ha una ragazza fissa, e gli fanno una capa tanta che sarebbe anche ora si sposasse, lui si inventa lì per lì che ce l’ha sì la ragazza, lavora all’università, e la descrive con la faccia e il corpo e i modi della misteriosa ragazza del tram, e le dà pure un nome, Agnese. Sicchè li mette a tacere tutti e tutti son contenti. Finchè un giorno è lei ad approcciarlo sul tram e a chiedergli di prendere un caffè insieme (cosa che succedono nei film, nei film di Fabio Volo, ma vi par possibile?).
Si conoscono, approfondiscono, lui se ne innamora anche perché era già innamorato, e però lei è terrorizzata come più di lui da una storia fissa a tempo indeterminato (“siamo una generazione di precari in tutto, a tempo indeterminato in tutto” dice più o meno lei, ed è una delle battute più felici). Quando però si tratta di quagliare – è sera, piove, sarebbe il momento di salire su da lei – Michela, questo il suo vero nome, mica Agnese, gela il Casetti rivelando di essere in partenza per New York, anzi che si trasferirà lì per sempre visto ha trovato un lavoro come editor o consulente editoriale in una publishing company di libri tipo Harmony. Crisi del nostro Casetti Giacomo alias Fabio Volo, ma come proprio adesso che ho trovato la donna giusta lei mi va dall’altra parte dell’oceano? Quando si vede offrire un importante viaggio di lavoro in Argentina, all’aeroporto devia e si invola per i grattacieli di Manhattan in cerca di Michela. Molte inquadrature di skyline e ponti sospesi, dall’alto, dal basso, di sguincio. Lui le capita in casa, lei si arrabbia poi abbozza poi ci sta poi la cosa si fa man mano più seria (e la messa in pratica dei consigli del manuale d’amore è tra le cose migliori del film e, bisogna ammettere, un’idea degna di una buona romantic comedy americana). Ma anche qui incombe un altro trasloco. Lei difatti si vede offrire dal suo capo Tom, bello, elegante, simpatico, intelligente, e innamorato di lei, un nuovo lavoro importante (“sai, un posto di direttore editoriale” dice all’esterrefatto Casetti) a Chicago. Sicchè il Fabio/Giacomo se ne deve tornare a Milano, dove lo attendono grossi guai lavorativi. Finale che non sto a rivelare, ci mancherebbe, ma che non ci vuole mica tanto a intuire. Fino all’ultima scena il film si conferma non sciatto, meditato, scritto e anche riscritto, curato in fase di dialoghi e regia. Una confezione sopra la media anche della nuova, buona commedia all’italiana. Poche o niente cadute vernacolari, che sono sempre un flagello del nostro cinema, le gag televisive contenute a livelli accettabili, i personaggi di contorno che hanno una loro funzione narrativa e non sono tirati via (Lino Toffolo, come maturo fidanzato di mamma Sandrelli, è strepitoso e commovente, da premiare subito). Insomma, i segni positivi non mancano in questo Il giorno in più. Quello che resta incompiuto, e che è il punto di fragilità dell’intera operazione, è il personaggio di Giacomo Casetti, che Fabio Volo modella su di sè senza riuscire a renderlo autonomo e altro da sè. Un personaggio paraculo e ombelicale che non ce la facciamo mai ad amare, che non riesce mai a convincerci, e che rende la storia d’amore con Michela inverosimile. Non si capisce proprio come una ragazza quale Isabella Ragonese (così carina che le perdoniamo anche l’accento romano di Roma-bene asslutamente improponibile per un personaggio milanesizzato e poi newyorkizzato come il suo) possa davero innamorarsi del Casetti e mollare quel figaccione di Tom, il suo capo pazzo di lei e pure inteligente e simpatico, insomma l’uomo perfetto. Nella grande commedia americana certi errori mica si facevano, studiare e imparare, please. Quando in L’appartamento di Billy Wilder Shirley Mac Laine lascia l’amante Fred MacMurray, ricco e aitante, per l’anonimo travet Jack Lemmon – cosa che sfiora l’assurdo – gli sceneggiatori hanno la professionalità di dipingere l’amante ome un grande stronzo, sennò la scelta di lei non si giustificherebbe. Qui invece niente, si dà per scontato che la cosa sia del tutto naturale. È che il Casetti Giacomo è intimamente convinto di essere il meglio figo del bigoncio, il più irresistibile sulla faccia della terra, dunque perché mai bisognerebbe fornire una spiegazion del perché le donne gli si appiccicano addosso come alla carta moschicida? Lui è l’alter ego di Fabio Volo dunque il meglio e basta, se va a una festa diventa subito la preda maschile più ambita, e Michela (il personaggio della Ragonese) non può non preferire lui a Tom. È qui che il film precipita e si sconquassa, è nel narcisismo di Fabio Volo proiettato sul suo personaggio, che rende il tutto irreale e alla fine, nonostante l’accurata confezione, indigeribile e indigesto. Volo dovrebbe avere il coraggio di rinunciare davvero al personaggio che si è costruito e che ha fatto la sua fortuna, dovrebbe finirla con le furbate, le paraculaggini e le piacioneri, smetterla di adorarsi allo specchio e di compiacere il suo pubblico, rischiando magari di deluderlo. Finirla, adesso che è arrivato ai quaranta, di fare il Casetti, anzi il Volo, e tirar fuori anche il lato sgradevole che c’è in lui, quel lato-ombra che nel film trapela più di una volta. Avesse il coraggio, Volo potrebbe rinfrescare e continuare la tradizione dei Sordi, dei Gassman, dei Tognazzi, che non avevano paura di misurarsi con personaggi laidi e vigliacchetti e però densi di verità. Ma forse oggi questo non è più possibile con questo cinema italiano, con questa Italia. La carineria è un dovere sociale, il piacionismo un obbligo di massa, oggi i laidi Gassman e Tognazzi dei Mostri di Risi non li andrebbe a vedere nessuno. Allora ci dovremo tenere per chissà quanto il Fabio Volo autoreferenziale e narciso e ammiccante al suo eterno e affezionato pubblico, però è un peccato, davvero.
Magazine Cinema
Film stasera sulla tv in chiaro: IL GIORNO IN PIÙ con Fabio Volo (merc. 23 apr. 2014)
Creato il 23 aprile 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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