The Help, Rai 1, ore 21,10.
Ripubblico la recensione del film scritta dopo la sua uscita nei cinema. Ricordo che Octavia Spencer ha vinto poi l’Oscar come migliore attrice non protagonista.
Un compitino edificante e politicamente correttissimo. Questo The Help rischia di essere il film più sopravvalutato dell’anno insieme a The Artist. Incassi stellari in America e un bel po’ di nomination all’Oscar. Un film che butta via una bella idea, quella di raccontare la segregazione razziale nel profondo Sud attraverso le storie delle padrone bianche e delle loro domestiche nere. Ma non c’è mai la minima sorpresa, e The Help è così buono ma così buono nella sua requisitoria antirazzista da trasformarsi in un sermone a edificazione del pubblico.
The Help, regia di Tate Taylor. Con Emma Stone, Viola Davis, Octavia Spencer, Jessica Chastain, Beatrice Dallas Howard, Sissy Spacek, Mike Vogel.
Niente male l’idea di trattare il gran tema della discriminazione razziale nell’America profondo sud negli anni tra Cinquanta e Sessanta attraverso le relazioni tra padrone e padroncine bianche e le loro serve (sì, è più onesto chiamarle così) nere. Il razzismo, l’apartheid, la sopravvivenza dello schiavismo in una società fintamente democratica e egualitaria, però raccontati tenendo sott’occhio quella sottile ma fitta trama che unisce inestricabilmente il padrone al suo servo. Anzi, in questo caso, la padrona alla sua serva (e viceversa). Che certo, siamo sempre dalle parti della famosa dialettica hegeliana tra chi sta sopra e chi sta sotto, però in versione tutta femminile, la qual cosa cambia abbastanza le faccenda, come con grande acume ha scritto un paio di settimane fa sul Foglio Annalena Benini (la dilettica servo-padrone tutta maschile ha più a che vedere con cose tipo Don Giovanni-Leporello). Due donne che abitano nello stesso spazio in cui si cucina, si mangia, si fa l’amore, si fanno i bambini e li si alleva. Spazio che è saturo di sentimenti, passioni, rivalità, conflitti, carne, corpi, lenzuola sporche, piatti sporchi, anche anime sporche qualche volta.
Due donne, una col potere l’altra senza, che però possono tacitamente ma anche possentemente confliggere e lottare per l’occupazione di quello spazio, per il predominio territoriale, il predominio affettivo sui bambini di casa, spesso sui mariti e gli altri uomini. Lui che si porta a letto la cameriera, quante volte l’abbiamo vista e sentita? O lei che si porta a letto il padrone, in sfregio all’odiata padrona-rivale. La quale su di lei può rivalersi e vendicarsi attraverso il licenziamento o, più crudelmente, attraverso lo sfruttamento brutale giorno per giorno. C’era da aspettarsi molto insomma da The Help, l’aiuto, come le signore dalla pelle diafana chiamavano in blocco i loro domestici da quelle parti, Mississippi-Tennessee-Alabama. Invece niente, non ci sono sottigliezze e ambiguità in questo film squadrato e monoblocco, rigidamente costruito su opposizioni nette e un manicheismo ideologico che è l’opposto ma è anche perfettamente, allarmantemente speculare a quello dei più biechi razzismi. Un film dove il male e il bene sono rigorosamente divisi, e il bene sta com’è ovvio e anche com’è giusto (ma non è questo il punto) tutto dalla parte dei neri. Loro sono le vittime, le signore sono tremende e talvolta criminali, col rischio che si scivoli nella santificazione dei poveri neri, nell’agiografia, anzi nella via crucis e nel martirologio. Non va bene, no. Vedendolo, The Help, mi è venuta forte la nostalgia di Mandingo, che nella sua rozzezza almeno cortocircuitava attraverso il desiderio e l’erotismo bianchi (anzi bianche) e neri. Era già qualcosa. Questo è invece un edificante film per famiglie da domenica pomeriggio non per niente prodotto da casa Disney. Siamo a Jackson, Mississippi. Di lì a poco Martin Luther King marcerà per i diritti civili ma qui, nel sud profondo che più profondo non si può, bianche ville colonial-neoclassiche dappertutto che nanche Rossella O’Hara, il Ku Klux Klan ruggisce ancora, i neri discendenti dagli schiavi dei campi di cotone vivono in bettole e in quartieri separati, l’élite dalla pelle chiara li accoglie in casa solo come domestici, e anche lì devono stare al posto loro. Due i caratteri scolpiti in primo piano, Aibileen, colf e tata che deve mettere le toppe ai disastri di una sciagurata padrona incapace di governare la casa e allevare la figlia, e Hilly. Cioè la Grande Stronza Bianca, capelli cotonati e boccuccia a cuore e gote d’alabastro e famigliola perfetta, che è la femmina alfa di tutte le signore del posto, quella che le influenza e le manipola, la leader del branco. Così stronza ma così stronza da costringere alle peggiori umiliazioni la sua domestica Minny e da presentare al governatore una proposta di legge per imporre a tutti di edificare in giardino una toilette separata per la servitù di colore, “per il loro e il nostro bene, per evitare le malattie”, squittisce la demente. Quindi, mentre il popolo delle sciure passa il tempo tra feste, party e gala benefici, caccia ai maschi ancora disponibili e difesa stenua del maschio accalappiato, il popolo delle serve subisce ogni possibile umiliazione in silenzio, solo la più sveglia di tutti, Minny, consumerà la vendetta tremenda vendetta confezionando per la Grande Stronza una specialissima torta di cioccolato insaporita da un ingrediente molto molto personale. È l’unico radicalismo, l’unico graffio di un film che non osa niente e ha paura della sua ombra, e chissà se chi ha scritto il libro da cui The Help è stato tratto aveva da qualche parte sentito quella vecchissima canzone di Mina (perché, una canzone di Mina non può arrivare in America?) “ma che bontà, ma che bontà, ma che cos’è questa robina qua, ma che bontà, ma che bontà…” dove si parlava, anzi si cantava, della stessa stessissima ricetta con lo stesso ingrediente molto umano.
Il fronte bianco femminile a Jackson però non è così compatto. Mentre il tempo passa e sugli schermi delle tv vediamo scorrere le immagini di Martin Luther King, della presidenza Kennedy e poi di Dallas, insomma, mentre il mondo, l’America sta cambiando, anche in quel buco di Jackson, Mississippi, qualcosina lentissimamente nelle coscienze e nelle cose si smuove. Eugenia, ragazza emancipata che ha studiato e che non ha come unico sogno un bel matrimonio, anzi vuole sfondare come scrittrice a New York, ha la bella idea di raccogliere le storie delle varie serve di colore, onde raccontare la segregazione razziale dal loro punto di vista. Faticherà a trovare le prime testimonianze, son tutte terrorizzate dalle rappresaglie, figuriamoci, il Ku Klux Klan è sempre lì pronto a colpire, ma poi ci sarà l’effetto valanga, e le turpitudini delle signore di Jackson verranno messe in piazze dal libro (che è il plot di Ritorno a Peyton Place, tale e quale). Qualcosa si smuove anche sul fronte delle mogli bianche quando una di loro, quella mai ammessa davvero in società, un’apparente oca bionda sul modello delle Judy Holliday e delle Marilyn (una strepitosa Jessica Chastain) slitta progressivamente dalla parte dei blacks, beccandosi della traditrice. Il finale è tutto dalla parte dei Giusti, e ci si commuove anche, come no? Però che bisogna c’era di un altro sermone? Se si pensa al film che The Help sarebbe potuto essere, se solo ci fosse stata un po’ più di perfidia e un po’ meno (parecchia meno) di melassa, cascan le braccia. Accontentiamoci di quel poco che riesce a passare attraverso le maglie ferree delle buone intenzioni e del politically correct. Quel ritratto amaro di un Sud che fa irresistibilmente ricordare Via col vento, perché la divisione tra bianchi e neri è sempre quella, le signore in fondo sono le eredi di Rossella e le serve dell’indimenticabie Mamie. Ci sono poi le interpretazioni. Questo film, che è un chick flick, un film di donne per le donne, è anche un vehicle per attrici. Difatti tre hanno avuto la nomination all’Oscar, Viola Davis, davvero bravissima come Aibileen, come miglior protagonista, poi Octavia Spencer (Minny) e Jessica Chastain tutte e due come best supporting actress. Chastain chiude con questa candidatura un anno formidabile dov’è apparsa in una quantità di bei film, e io che l’ho vista in The Tree of Life, Wild Salomé, Texas Killing Fields e questo The Help sono rimasto esterrefatto per l’eclettismo e la capacità mostruosa di calarsi in personaggi tanto diversi. C’è un abisso tra la dura, viriloide detective di Texas Killimg Fields e la superpupa maggiorata e finto giuliva di The Help, eppure Chastain è sempre credibile. Mi sa che sentiremo molto pararlare in futuro di lei. Niente nomination invece per Emma Stone, che è la scrittrice Eugenia, e Bruce Dallas Howard, la Grande Stronza (lo è, stronza, anche in 50/50, dove molla il fidanzato alle prese con un cancro: esce il 24 febbraio, non perdetevelo). I maschi in un film come The Help fanno le comparse, son figurine sullo sfondo. Si riesce a notare Mike Vogel, fidanzato codardo di Eugenia, pare molto apprezzabile nella serie tv Pan Am. Già, c’è anche Sissy Spacek, che sembra l’altroieri che faceva la teenager al sangue in Carrie, lo sguardo di Satana e adesso fa la vecchia madre svanita. Sic transit gloria mundi. Vanitas vanitarum. (La regia, dite? Perché, c’era una regia?)