Django, Rai Movie, ore 23,25.
Eccolo, il leggendario – e non si esagera – Django di Sergio Corbucci, insomma il film preso a riferimento (ma non remakizzato), da Quentin Tarantino per il suo ultimo, travolgente, oltre che di gran successo commerciale in tutto il mondo, Django Unchained (anche vincitore di due Oscar di peso qualche mese fa). L’ho ritrovato a Bologna in Cineteca qualche tempo fa, e devo dire che regge molto bene i 47 anni che si porta sulle spalle. In fondo, più citato e riverito che davvero visto. Allora, meglio non perdere l’occasione di stasera su Rai Movie.
L’hanno anche riportato nelle sale americane sull’onda di Django Unbchained, con esiti purtroppo abbastanza deludenti. Per qualcuno, anzi molti, resta comunque lo spaghetti western assoluto, anche più di quelli di Sergio Leone. Il più estremo di sicuro. Se Leone filma paesaggi e personaggi abbacinati dal sole e dalla troppa luce, Corbucci, regista di questo classico riconosciuto in tutto il mondo, affonda qui il suo eroe nel fango, mentre intorno la pioggia incessante toglie ogni spiraglio di luce e ogni speranza. Django cammina trascinandosi dietro una bara e già questa è un’invenzione formidabile. Dentro però c’è una mitragliatrice con cui lui, uomo solo contro tutti, affronterà le bande opposte degli incappucciati rossi, razzisti yankee al soldo del despota Jackson, e i torvi rivoluzionari messicani del generale Rodriguez. Franco Nero/Django – è il 1966 - conquista le plateee proletarie del pianeta e farà innamorare di lì a qualche anno non solo Tarantino, ma anche Alex Cox. Per non parlare del reggae-movie giamaicano The Harder They Come con Jimmy Cliff, che lo omaggia devotamente. Film di rara potenza. Django, con le dita spappolate dagli zoccoli dei cavalli, con la faccia tumefatta dai pugni, che si trascina senza cedere la sua bara è indimenticabile. Grazie a questo film Franco Nero sarà chiamato a Hollywood sul set di Camelot, dove conoscerà Vanessa Redgrave. Ancora oggi quando va in giro per il mondo lo chiamano Django. Un paio di edizioni fa la Mostra di Venezia ha organizzato una giornata di omaggio ai film western di Sergio Corbucci e Tarantino, prima di arrivare al Lido a presiedere la giuria del festival, ha detto: “Sergio Corbucci non è semplicemente uno dei più grandi registi dello spaghetti-western, ma anche uno dei più grandi registi del periodo western e non vedo l’ora di rendergli il dovuto omaggio”. Film amato, rifatto, citato infinite volte da infiniti autori. Tra cui il Takashi Miike di Sukiyaki Western Django.
Ripubblico questo post del 21 gennaio 2013.
Cos’hanno in comune il Django di Corbucci e il Django Unchained di Tarantino
Proprio l’altra sera mi son rivisto mentr’ero a Bologna, alla locale (ed efficientissima) Cineteca, il seminale Django di Sergio Corbucci, l’italian western del 1966 che, come ognun sa, è stato preso a modello di riferimento da Quentin Tarantino per il suo Django Unchained. Film (il Django corbucciano) di cui molto si parla, ma che pochi – diciamola tutta – hanno visto. Visione caldamente consigliata, qualora ve ne capitasse l’occasione (tv, dvd, blu-ray ecc.), perché al di là del culto che gli è cresciuto intorno nei decenni successivi, resta un film importante in sè. Diverso e lontano da Sergio Leone, da cui peraltro prende a prestito parecchi elementi, a partire dal taciturno protagonista biondo e occhiceruleo (Franco Nero) venuto da chissà dove stretto parente dello Straniero della Trilogia del dollaro. Ma della solennità e ieraticità di Leone, anche della sua magniloquenza, resta poco. Tutto, uomini e cose, è immerso in un paesaggio plumbeo, tutto affonda nel o è sommerso da fango putrescente, tutto vien inghiottito da vischiose sabbie mobili. Django è uno spettro emerso da chissà quale catastrofe (la guerra civile, ma fors’anche da altre discese all’inferno) che si trascina una bara dove, scopriremo, nasconde un mitragliatrice letale che userà contro i suoi nemici. Che sono, da una parte gli uomini incappucciati e razzisti e sadici del sadicissimo, infame maggiore Jackson, uno che vuole tenere pulita la zona di frontiera dai messicani, considerati esseri luridi e inferiori. E dall’altra da una banda di messicani che si dicono rivoluzionari e sono attratti come gli altri e peggio degli altri dall’oro e dal sangue. Tutto è oscuro, senza speranza e senza pietà in Django, e si capisce come Tarantino abbia guardato a questo film, alla sua riduzione al grado zero di ogni umanità, e non a quelli di Leone, per mettere in scena quella lunga sinfonia del massacro e della vendetta (nonostante qualche tono picaresco qua e là) che è il suo film. Il clima di Django Unchained, ammorbato dal virus letale della ferocia, viene (anche) da Corbucci e dai suoi western sporchi e irrimediabilmente cattivi. Tarantino però non gira un clone o un remake, tutt’altro. Prende dal suo modello di riferimento la darkitudine, mentre il plot è altra cosa. Django Unchained si muove assai liberamente rispetto a Django, con la stessa libertà con cui si muoveva Inglorious Basterds rispetto a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari dichiarato come fonte di ispirazione. Restano comunque in Django Unchained citazioni, tributi e strizzate d’occhio, perfino sequenze ricalcate sul veccchio western di Corbucci. Oltre naturalmente al nome del protagonista, che immediatamente denuncia il debito di Tarantino.
1) La presenza di Franco Nero. Il protagonista di Django, allora 25enne e oggi 72enne, viene ripescato per un cameo. È il padrone dello schiavo Mandingo che si batte in casa di Calvin Candie/Leonardo DiCaprio.
2) La canzone dei titoli di testa è la stessa. Trattasi di Django di Luis Enriquez Bacalov cantata da Rocky Roberts, title-song del film di Corbucci. Ripresa pari pari, filologicamente.
3) Le frustate sulla schiena a Kerry Washington in DU riprendono l’analoga scena di Django in cui Loredana Nusciak viene legata e frustata dagli uomini di Jackson. Il ricalco è molto evidente. La differenza maggiore è che in Corbucci la scena appare a inizio film o quasi, in Tarantino arriva dopo due ore.
4) Gli incappucciati. La spedizione punitiva di Django Unchained capitanata da Don Johnson con quegli uomini a cavallo incappucciati è un palese rifacimento della banda con i cappucci del maggiore Jackson in Django. La diferenza sta nel colore: cappucci rossi in Corbucci, bianchi in Tarantino.
5) L’uso degli schiavi per giochi sadici. In DU assistiamo a giochi gladiatori tra neri Mandingo organizzati dal turpe padrone Calvin Candie (Leonardo DiCaprio), scontri all’ultimo sangue in cui solo uno sopravvive e l’altro soccombe. Nel film di Corbucci il villain, il maggiore Jackson, si diverte a sparare ai prigionieri messicani, da lui considerati feccia, in un perverso tiro al bersaglio umano.
6) Le sparatorie finali: Django (uno e due) contro tutti. Iperbolica, iper realista e irrealistica: la sparatoria con cui in sottofinale Jamie Foxx/Django (attenzione: spoiler) spazza via tutte le carogne che dimorano a Candieland somiglia parecchio a quella in cui Franco Nero/Django, pur con le dita spappolate, fa fuori Jackson e i suoi sgherri.
7) I sudisti carogna. Son sudisti, e si dichiarano orgogliosi di esserlo, i villain di entrambi i film, il maggiore Jackson di Django e il Calvin Candie di Django Unchained.